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Professore di Yale: con la mia propaganda ho fatto bombardare la Serbia nel 1999

Questo articolo è stato pubblicato dal portale serbo Vidovan il 1 marzo 2020 e tradotto da Britić (rivista anglo-serba) il 5 aprile (American Historian admits his actions in 1999: I ‘planted’ stories so that NATO could bomb Serbia). Non è indicata da nessuna parte la fonte delle dichiarazioni del professore Samuel Moyne, che tuttavia appaiono in linea con quanto il docente di storia del diritto a Yale ripete ormai da anni nelle sue conferenze.

Uno dei più influenti storici e professori contemporanei della Yale University, Samuel Moyne, afferma che durante il bombardamento della Jugoslavia lavorò alla Casa Bianca come stagista e “disseminò” false storie da far pubblicare al Washington Post.

“Si trattava di vendere la guerra e di spiegarne le virtù. Il mio momento di onestà è arrivato poco dopo”, afferma Samuel Moyne (classe 1972). Il suo desiderio era far coincidere l’internazionalismo col risveglio delle politiche progressiste, ma solo dopo la guerra in Iraq si è reso conto di quanto aveva combinato con la sua propaganda.

“Il mio impegno accademico sui diritti umani è anche un modo per riflettere sull’accaduto”, sostiene Moyne, che ha scritto quattro libri sui diritti umani. Durante il bombardamento della Serbia il suo compito era quello di svolgere “diplomazia pubblica”, cioè fornire ai media notizie sulla guerra in corso.

“Chiaramente non ho divulgato tutti i fatti, ma solo quelli favorevoli alla nostra lettura della guerra. Il problema è che c’era poca ricerca giornalistica indipendente. Ai tempi del Vietnam, i giornalisti si davano più da fare nella ricerca della verità, cosa che ora non accade più”. Per Moyne il bombardamento della Serbia non ha infatti avuto un Seymour Hersh in grado di rovesciare la narrativa dominante come  fece lo scrittore americano con la sua inchieste sul massacro di My Lai.

Discutendo sul fatto che gli interventi delle grandi potenze hanno ormai luogo senza l’approvazione delle Nazioni Unite, Moyne ha detto che dopo il 1989 si registra una costante diminuzione dell’impegno a contenere la guerra da parte degli attori internazionali, “soprattutto nel momento in cui un membro permanente del Consiglio di sicurezza sta combattendo una guerra, come la Russia in Crimea o gli Stati Uniti. Penso che l’eccezionalismo americano sia più preoccupato dell’umanità che della pace, nel senso che gli americani badano più a come sono trattati i prigionieri o di quanti civili vengono uccisi dai droni, ma non sembra che si preoccupino della guerra senza fine in quanto tale. Questo è nuovo atteggiamento da parte loro”.

Secondo il professore pochi interventi “umanitari” hanno avuto finora successo nel mondo e hanno contribuito a ridurre i problemi e le sofferenze. Si tratta di un fallimento per la politica internazionale. Moen stima inoltre che gli intellettuali degli anni ’90 non siano riusciti a vedere cosa stesse realmente succedendo: il risveglio dell’imperialismo dopo la fine del regime bilaterale della guerra fredda.

“Gli intellettuali hanno contribuito al mito del fine morale nella storia. Oggi si comprende che dietro le quinte agivano forze più oscure “, ha concluso lo storico.

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