«Le scrivo per attirare la sua attenzione sulla situazione della Polonia. Queste sono le riflessioni di un cittadino preoccupato, piuttosto che di un analista o un attivista. Un cittadino che ha dormito per quarant’anni e il cui risveglio è coinciso con il cambiamento della situazione politica polacca nel 2015, quando è comparso sulla scena un partito per il quale finalmente la Polonia era al primo posto.
Il partito, Diritto e Giustizia (Prawo i Sprawiedliwość, PiS) è stato dipinto come nazionalista, conservatore e cristiano. Dopo otto anni di Piattaforma Civica, è stata una boccata d’aria fresca. O almeno così sembrava: ma non è una cosa che concerne solo il sottoscritto o l’annosa questione del “predicare bene e razzolare male”. Il problema è la falsa dialettica, la negligenza deliberata, le pericolose contraddizioni. Non ho più alcun dubbio che sia stata tesa una trappola per impossessarsi della Polonia dirottando la nostra identità, già sotto il tacco neomarxista dell’europeismo che non ha prodotto altro che mediocrità, indolenza e falsa moralità.
Per cominciare, il presidente della Polonia, Andrzej Duda, ha annunciato nel suo primo discorso pubblico di provenire da un Paese composto da due nazioni, la polacca e l’ebraica, le quali hanno vissuto fianco a fianco per mille anni, contribuendo alla formazione di una cultura e un’eredità comuni. Costui chiama il mio Paese Polin [il nome con cui gli ebrei definiscono la Polonia], in assoluta contraddizione con la storia, ma in perfetta armonia con la narrazione ebraica che dipinge i polacchi come crudeli antisemiti. Il rifiuto ebraico di chiarire la questione del massacro di Jedwabne [perpetrato dai nazisti ma attribuito ai polacchi] una volta per tutte è l’esempio lampante di tale punto di vista.
Inoltre, Andrzej Duda in visita negli Stati Uniti ha dedicato appena venti minuti alla diaspora polacca ma un’ora intera alle organizzazioni ebraiche durante il suo tour newyorchese. E come se non bastasse, si è inginocchiato in preghiera davanti alla lapide commemorativa degli eventi del marzo 1968, accreditando in pubblico una falsa versione della vicenda, secondo la quale gli ebrei non sarebbero stati solo espulsi dalla Polonia, ma addirittura sterminati.
In secondo luogo, il Ministro della Cultura sostiene attività anti-polacche offrendo grosse sovvenzioni a personaggi del calibro di Michal Bilewicz e Barbara Engelking [due psicologi esperti di olocausto]. Il risultato? Nel primo caso un progetto di ricerca di due milioni di zloty (250mila dollari) sull’hate speech affidato a chi pensa che l’incitamento all’odio non sia che un’espressione naturale dell’antisemitismo polacco; nel secondo, un libro in due volumi sui contadini polacchi che sterminano gli ebrei. Ciliegina sulla torta, il professor Bilewicz opera per conto del Polin, il Museo della storia degli ebrei polacchi, finanziato interamente dai soldi dei contribuenti polacchi.
Qual è stata la reazione del governo polacco? Altri cento milioni di zloty per il restauro del cimitero ebraico di Varsavia, mentre i cimiteri polacchi nell’Est del Paese giacciono trascurati, per non parlare dei milioni investiti nella produzione di film anti-cattolici e anti-polacchi.
[…] Terzo punto, Jonny Daniels [un ebreo inglese che ha scatenato l’affaire internazionale della “Legge polacca sulla Shoah“]. Tutti lo conosco, ma nessuno sa chi è veramente. Secondo le scarne informazioni a disposizione, viene dalla Gran Bretagna. Ufficialmente, è il fondatore e direttore della fondazione From the Depths che ha come missione quella di “collegare il passato al futuro”. Quando venne in Polonia nel 2016, un anno dopo la sorprendente vittoria del PiS alle elezioni, era stato presentato come consulente del governo israeliano e di alcuni politici britannici. In un’intervista si è vantato di essere grande amico di Trump. Si fa i selfie col primo ministro polacco e con altri membri di spicco del governo, discute in privato con Jarosław Kaczyński, il leader del PiS. Si comporta come il miglior amico della Polonia e tuttavia afferma che nonostante 40 milioni di polacchi abbiano firmato una petizione per riprendere l’opera di riesumazione a Jedwabne, la cosa non cambierebbe alcunché. Il fatto che costui sia spuntato improvvisamente dal nulla con un forte odore di Mossad addosso non gli ha comunque impedito di infiltrarsi nei più esclusivi circoli del potere in brevissimo tempo. Riuscite a immaginare un polacco a Gerusalemme fare la stessa carriera? Io no.
Per rendere la situazione ancora più insostenibile e assurda, tutto ciò si è verificato nel bel mezzo della crisi isterica per la “controversa legge sull’olocausto” e il JUST Act 447 [Justice for Uncompensated Survivors Today], approvato dal Congresso americano e firmato nientedimeno che da Donald Trump in persona (teoricamente il nostro migliore alleato). La legge costringerà gli Stati Uniti a pretendere “la restituzione ai legittimi proprietari dei beni sequestrati ingiustamente, incluse proprietà pubbliche o a uso religioso, o la messa a disposizione di beni sostitutivi di eguale valore, o il pagamento di un equo compenso al legittimo proprietario”, e il proprietario in questione sono, naturalmente, le organizzazioni ebraiche che adesso vogliono 300 miliardi di dollari dalla Polonia. Inutile dire che la controversa legge sull’olocausto è stata subito ritirata, la campagna sui “Campi di concentramento polacchi” giustificata, e l’approvazione del JUST Act 447 completamente ignorata. E questa è solo la punta dell’iceberg».
(Jakub L., Say one thing, do another, “Culture Wars“, gennaio 2019, vol. 38, n. 2, pp. 9-10)