Quale sarà la prossima avanguardia rivoluzionaria della sinistra globale?

Negli ultimi anni/decenni/secoli si è parlato spesso di “morte della politica” (soprattutto perché un Dio mortale non può far altro che morire). In realtà si tratta fondamentalmente di un’infinita agonia che si può apprezzare anche nella conformazione in cui si esprimono rispettivamente a livello internazionale la sinistra e la destra contemporanee: da una parte gli eredi del materialismo filosofico, del collettivismo e del populismo che si vendono a idealismi piccolo-borghesi, all’individualismo più sfrenato in materia di diritti e a un’idolatria delle minoranze; dall’altra, i sostenitori dell’autoritarismo, del neofeudalesimo e dell’intellettualismo farsi araldi delle istanze plebee, del liberalismo “pre-rivoluzionario”, della giustizia sociale in senso classico, e di tutto quanto si possa rimandare a una dimensione pragmatica, concreta, “pratica”.

Probabilmente queste continue professioni di militanza anti-elitaria da parte della destra, che si traducono in una difesa ad oltranza delle “priorità” (occupazione, crescita, sviluppo ecc…), a mio parere esprimono più la necessita di contrapporsi ai “sinistri” che non una reale evoluzione politica. Non è un caso infatti che la destra di governo si trovi regolarmente intrappolata nei trabocchetti hegeliani della sinistra di opposizione, che in un modo o nell’altro riesce a portarla sul proprio terreno e rinchiuderla in paradigmi culturali, sociali e ideologici che essa dovrebbe semplicemente ripudiare, anche attraverso un mero disinteresse.

Ecco perché nonostante il trionfo ormai consolidato delle destre in Europa e oltreoceano nessuno si sente realisticamente di coltivare la speranza che al centro del discorso pubblico rifacciano capolino gli interessi e le necessità della cosiddetta “maggioranza silenziosa”.

Staremo ancora, e per sempre, costretti a discutere di stronzate, anche se qualora uno storico del futuro provasse a render conto di tutto ciò, non penso userebbe un’espressione di tal fatta. Immagino semmai che qualche politologo americano (se ne esisteranno ancora, o se esisterà l’America) prima o poi conierà un neologismo come Irrelevantics (sul modello di politics o economics, che varrebbe anche come crasi di irrelevant + antics).

Temo  in ogni caso che i posteri non riusciranno a comprendere che tutte queste diatribe non siano sorte da un normale confronto, ma da un grumo ideologico utilizzato per soffocare il dibattito stesso. A dimostrazione di ciò le modalità –osservabili da tutti– con cui la irrelevantics sparisce dalla ribalta non appena si ripresentano le “priorità”: giusto per dire, prima delle grandi “crisi” internazionali (Grecia, Brexit, Trump, Ucraina), l’Unione Europea esisteva nell’immaginario collettivo come garante dei diritti delle minoranze sessuali e nemica dei crocifissi nelle aule scolastiche, nello stesso modo in cui per oltre un decennio gli Stati Uniti avevano ridotto la loro politica estera (almeno a livello mediatico) all’esclusiva difesa dei diritti degli omosessuali, finché il lessico da Guerra fredda non ha rimpiazzato all’istante l’imbarazzante psicodramma “arcobaleno” inscenato contro della Russia.

Nonostante ciò, la questione non può essere ridotta esclusivamente ai diritti sessuali, poiché riguarda più in generale l’espansione semantica del concetto di “diritto”, attraverso la cui degenerazione si tenta di mimare un fantomatico “compimento” dell’ideale di democrazia. In una dinamica ormai resa “classica” da Augusto Del Noce, tuttavia, sulla breve distanza la rivoluzione finisce sempre per suicidarsi.

Sempre per restare in tema di Irrelevantics, è notizia di questi giorni che l’eterno astro nascente dei democratici, Alexandria Ocasio-Cortez, ha rimosso dai suoi profili social la dicitura she/her, i famigerati pronouns con cui la massa progressista ha entato di accattivarsi gli elettori transessuali.

Pur non avendo dato alcuna giustificazione al gesto (che comunque nelle parrocchiette dem è visto come una negazione di uno dei loro nuovi dogmi), c’è chi ipotizza che dietro di essi si celi il rammarico per il “tradimento” elettorale subito da parte dell’ultima minoranza rivoluzionaria su cui aveva puntato la sinistra globale (ricorderete che durante l’intermezzo bideniano la questione trans era stata fatta diventare una vera e propria ossessione).

Mi preoccupa ora che la fazione che continua a detenere un’influenza mediatica inversamente proporzionale al mandato degli elettori, si metta in testa di affidarsi a un altro “gruppo sociale” da mantenere in uno stato di mobilitazione perpetua. Del resto, chi è che gli rimane?

Gli immigrati, per esempio, se li sono giocati tutti, sia quelli di fede islamica che quelli appena sbarcati. Come ha scritto un onesto osservatore liberal, “ci è stato sempre detto che la demografia fosse un destino e che il Partito Democratico fosse sulla buona strada per una coalizione ‘arcobaleno’ imbattibile”. Questi credevano realmente che con l’importazione forzata di milioni di allogeni avrebbero moltiplicati i consensi, mentre non sono riusciti nemmeno a prevedere un esito obiettivamente scontato, cioè che chi emigra non lo fa per rendere la “moltitudine” di approdo più diversa e multiculturale, ma per  cercare robe brutte e destrorse (per tornare ab ovo) come il benessere e una società che funzioni nonostante il razzismo, la xenofobia, l’omofobia, la bitransfobia, il cambiamento climatico ecc ecc.

Non so, a questo punto rimangono i pedofili, i cannibali, gli eroinomani, i necrofili, i furry (i malati mentali che si vestono da animali), alcune combo di minoranze (gay islamici afro-ucraini, per dire) o qualche nuova creatura transumanizzata (bisessuali con protesi robotiche, oppure lesbiche ibridate con farfalle e anguille, come nelle migliori fantasie transfemministe). Non sia mai per i sinistroidi abbandonare il tritacarne in cui continuano a infilarsi: devono giocare il gioco fino in fondo, fino a quando l’ultimo mulatto autistico vegano non avrà diritto a cambiare toilette “in diretta” per un attacco improvviso di disforia di genere.

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One thought on “Quale sarà la prossima avanguardia rivoluzionaria della sinistra globale?

  1. Io ancora non mi sono fatto un’idea chiara della questione arcobaleno. Perché tutto è iniziato con il secondo mandato Obama (prima c’era stata solo la Spagna del ridicolo Zapatero), mentre nel primo avevano mantenuto (lui e Biden) la decenza di non forzare quel punto (https://www.youtube.com/watch?v=l4UPQARTC8E).

    A mio avviso si tratta di una questione tutt’altro che irrilevante: la usarono per dividere l’Europa dalla Russia, sapendo che gli slavi, meno lobotomizzati degli occidentali, avrebbero rifiutato questa roba? Alla fine è stata un’arma a doppio taglio che ha dilaniato la società americana (anche perché, come detto, questi trovano sempre una porcata più grossa da proporre al grande pubblico).

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