Quando il mondo funzionava le donne stavano in cucina

“Quando il mondo funzionava, voi stavate in cucina. Vi hanno aperto le cucine, ed è morta l’Europa”, osservava pochi eoni fa Svart Jugend (quanto ci manca, vero?). L’inossidabile apoftegma mi è tornato in mente al cospetto di un volume intitolato We, che di primo acchito ho interpretato quale interiezione (/‘we/), come nella frase “We, subito in cucina”. Ci ero andato vicino: si tratta per l’appunto di Selbsthilfeliteratur pseudo-femminista extra coquinaria, imbastita dall’attrice Gillian Anderson e da una giornalista “madre e single” (conta il nome?). WE. Un manifesto per tutte le donne del mondo. 9 principi guida per dare significato alla nostra vita.

Impossibile resistere alla tentazione di guardare nell’abisso, con l’atroce consapevolezza che Wenn du lange in einen Abgrund blickst, blickt der Abgrund auch in dich hinein (come diceva lo Svart Jugend dei poveri, Nietzsche: “Quando guardi a lungo in un abisso, anche l’abisso ti guarda dentro”). Forse bastava il Salmo: Abyssus abyssum invocat. È l’abisso della femminilità liberata, o sarebbe meglio dire “scatenata”, a contemplare il nulla esistenziale e cosmico che si riflette nello stesso gergo reclamistico con cui si descrivono solitamente tali opere: Un libro scritto da donne per le donne.

“Quando un’umanità deforme ed imbastardita aprì le cucine, le donne smisero di piangerci e corsero fuori a fare finalmente tutto ciò che gli era prima proibito” (sempre Svart). Tra le altre cose, leggere libri del genere. Perché lo fanno, lo fanno. E allora dobbiamo farlo anche noi, scrutare le profondità ctonie alla ricerca di un senso alla nostra sofferenza di patriarchi ghettizzati e umiliati.

Il Manifesto per le donne di tutto il mondo si pone il proposito di dar vita a una “sorellanza che unisca fedi religiose e culture diverse” partendo da uno strumento essenziale: il taccuino. In effetti, tutti i 9 principi-guida (onestà, accettazione, coraggio, fiducia, umiltà, pace, amore, gioia e gentilezza) possono ridursi a un solo: acquistare un taccuino. Il taccuino (assieme alle sue emanazioni: il diario e i post-it) è il Sacro Graal del matriarcato prossimo venturo, la chiave di volta di una nuova era universale di Liberté, Égalité, Sororité.

Secondo le Autrici, il miglior modo per avere sempre a portata di mano una “rapida dose di positività” è quello di annotare “dieci cose per cui si è grate”: per esempio, “il sorriso di uno sconosciuto sul treno” (naturalmente è implicito che il sorriso di  un sub-7 rappresenti una micro-aggressione) e “un amico che si offre di tenere vostro figlio per un’ora” (perché in We la figura del Padre non è contemplata nemmeno per sbaglio: un abisso di donne solo per donne).

Dopo le gioie, vengono i dolori: la perenne esortazione a stilare liste foureriane non è indirizzata solo a immagazzinare “dosi di positività” (il terzo principio, il coraggio, si traduce nel consiglio di compilare post-it con frasi del calibro di “sono resiliente e forte” e “sono perfetta così come sono”), ma anche a fare i conti con i pensieri negativi (“sono grassa”, sic!). Per fermarli, garantisce l’ex attrice, bastano “tre secondi”: il metodo più semplice è “decorare una tazza e metterci dentro dei bigliettini con le cose che ti fanno soffrire”.

Dopo la grafomania, viene la meditazione, per le Autrici un momento essenziale della quotidianità, “un po’ come quando il computer impazzisce e devi spegnerlo”. Per la preghiera va bene qualsiasi cantilena disponibile (“cercate un mantra online”, ri-sic!), l’importante che il presupposto sia areligioso e il contesto aconfessionale (ovviamente il libro viene venduto nelle librerie cattoliche, ci mancherebbe). Il modo migliore per coadiuvare la meditazione è “acquistare o creare un taccuino comodo da portare sempre con voi”, sul quale annotare ciò che è bello e piacevole in vista della preghiera quotidiana che con questo serrato lavoro di auto-analisi dovrà a tutti gli effetti configurarsi come “chirurgia spirituale”.

Va da sé che la donna, pur sottoponendosi a un severo esame di coscienza, possa comunque concedersi qualche dispensa: in fondo, “chi ha detto che dobbiamo per forza essere sensate?” (p. 108). In effetti tale insensatezza pervade, oltre che una società governata dalle donne, anche le pagine del volume in questione: nell’esplicare il secondo principio, l’accettazione, Anderson e la sua ancella (o la sua Martha, fate vobis) invitano apertamente alla resa: “Accettare le cose per come sono”. Un approccio che si traduce in “consigli di vera saggezza” del tenore che segue:

“Potete uscire con qualcuno da cui non siete attratte per evitare di sentirvi sole, ma soltanto se siete inclini ad affrontare il dolore che a lungo andare proverete entrambi” (p. 137).

Una donna americana sola (seppur naturalizzata britannica) può raggiungere gradi di disperazione inediti. Pensate a quanta infelicità ha prodotto il femminismo nel mondo, per entrambi i sessi. Ora è questa la vostra vita: compilare liste, scrivere bigliettini, decorare tazze, uscire a cinquant’anni con dei relitti umani raccattati su qualche app. Gesù, Buddha, Gandhi (queste li nominano tutti), voi che dite? Ah già, Allahu Akbar.

Dopo quattrocento pagine di “princìpi saggi e santi”, si arriva infine a qualcosa di meno deprimente: il congedo di maternità. Sì, perché gli Stati Uniti sono l’unico paese sviluppato a non prevederlo: o per meglio dire lo erano fino alla fine del 2019, quando Donald Trump in persona lo ha fatto approvare ai repubblicani. Sarebbe stato bello vedere la faccia di queste due streghe alla notizia, anche se constatiamo che già all’epoca avessero rilanciato con la richiesta di un “congedo mestruale” (quindi avrebbero trovato un altro motivo per deprimersi).

Comunque, dicevamo, almeno nelle ultime dieci pagine Stacy e Becky provano a concludere con dignità, seppur stigmatizzando banalmente “i messaggi dannosi dell’industria della cosmesi e dell’alimentazione”, ma al contempo dando la colpa anche alle donne americane (!) che “controllano l’80% degli acquisti globali”. Come soluzione per “orientarsi in modo etico e sostenibile” nell’universo consumistico e spendere il proprio denaro consapevolmente, propongono… il taccuino, ovviamente: “Scaricate una app per tenere traccia delle spese e portate sempre con voi un taccuino”.

È triste, davvero, perché uno parte sempre dal presupposto di avere a che fare con delle amazzoni e invece poi le nostre nemiche sono cinquantenni che cercano elemosine da chiunque, giustificano la mancanza di senso della propria vita raccattando briciole di spiritualità da brochure e tutorial e sono talmente scazzate e pigre da lasciar morire di inedia le piante e forse addirittura i gatti (perché hanno speso 200 euro in Moleskine dimenticando il Whiskas). Questo dunque sarebbe il “femminismo dal volto umano”: ma quello non è un sorriso, è palesemente un rictus.

Entrambe le autrici sono madri, ma nelle loro spataffiate non avanzano una riga da dedicare ai figli (figuriamoci ai mariti – che poi nemmeno ci sono): se almeno questo vuoto artefatto fosse riempito da qualcosa che valesse la pena fare, un maschio se ne farebbe una ragione. Anzi, forse proverebbe una qualche perversa soddisfazione all’idea che tutta la felicità che gli è stata sottratta sia stata conferita alle donne. Ma loro, le donne, non potranno davvero mai essere felici. Credo che dietro tutto questo si celi come un Genio della specie: la donna può permettersi di “pagare il prezzo” dell’immobilità, della conservazione, della staticità nella prospettiva di non farsi ferire da nulla. Ecco perché il leitmotiv del sermone femminista di cui sopra è la resa, seppur ammantata da una patina di religiosità (che la trasforma in “accettazione”, “fare amicizia con la realtà”): solo a un uomo non è consentito arrendersi. Che il segreto della felicità umana sia la consapevolezza della caducità di quest’ultima? Una sapienza atroce che alle donne era stata risparmiata, forse perché in fondo era prevedibile che non avrebbero saputo cosa farne.

Per questo il mondo non funziona più e tutti sono infelici. Sicuramente è semplicistico ridurre il tutto a un problema di ruoli e di spazi (la cucina), ma è almeno un modo per porre la questione in prospettiva.

2 thoughts on “Quando il mondo funzionava le donne stavano in cucina

  1. “uno parte sempre dal presupposto di avere a che fare con delle amazzoni e invece poi le nostre nemiche sono cinquantenni che cercano elemosine da chiunque”
    E’ questa la tragedia. Fosse vera la redpill che le donne “liberate” ipergamano e quindi fanno la fila per prendersi il loro quarto d’ora di celebrit..ehm sesso col chad come più o meno sostiene il redpillatore, un incel potrebbe anche farsene una ragione nel nome del progresso della specie, che in un paio di generazioni sarebbe fatta per metà (quella maschile) di alfa, e per l’altra (quella femminile) di geni alfa al 50%. E sul medio-lungo periodo le donne verrebbero ripagate con la loro moneta, perchè i chad che si dovranno sbattere per avere un 5 (quando il padre aveva le 8 che si tuffavano nel letto), si redpilleranno in massa, e quindi tante resteranno a secco, e non ci saranno più beta da sfruttare.
    Ma torniamo al punto iniziale: la redpill è smentita dall’evidenza che le donne non sanno quello che vogliono. A parte esercitare la libertà negativa di respingere gli incel, ovviamente. Al netto della retorica femminista di regime, tantissime donne vengono brutalizzate ogni giorno dai propri uomini (stalking e lesioni personali del convivente sono tra i reati più consumati, e le denunce sono la punta di un iceberg,) , se “ipergamassero” si terrebbero distanti da uomini del genere mille miglia e farebbero lega per segnalarli pubblicamente. E invece lo stalker e il violento non resta mai solo (l’obiezione che il violento attrae perchè la donna percepisce che garantisce la sicurezza sua e dei figli è un’idiozia, chi è violento lo è in primo luogo con chi gli sta vicino), persino dopo che alle donne è stato dato ogni mezzo legale per tenersene a distanza.
    La mia teoria è che non solo non sanno cosa vogliono, ma sanno ancor meno come evitare i rischi di scelte non ponderate. Lasciando perdere gli uomini violenti, divorzi e separazioni ormai sono più numerosi dei matrimoni. E non ci si separa se prima non si è stati conviventi/coniugi, una scelta che è autoevidente che hanno fatto, e sbagliato, in due, donna “libera” inclusa. E sbagliano sempre di più!
    https://www.agi.it/fact-checking/matrimoni_divorzi_come_cambiata_italia-6450905/news/2019-10-29/
    “Nel 2018 gli uomini divorziati erano poco più di 681 mila e le donne poco più di 990 mila…nel 1991.., i divorziati erano poco più di 150 mila e le divorziate circa 225 mila: nel giro di 27 anni il loro numero è insomma più che quadruplicato.”
    il che vuol dire che il tasso di fallimento dei matrimoni negli ultimi 30 anni è cresciuto nettamente, insomma, chi si sposa oggi fallisce molto di più di 30 (e figuriamoci di 50) anni fa. I dati non lasciano scampo: le donne sono sempre più incapaci di capire quello che fanno, ma vogliono farlo lo stesso. Io che sono un mezzo comunista saprei anche dire perchè: l’imperativo categorico del capitalismo è consumare, la donna che cambia partner come i vestiti (e quindi deve fare fitness, cambiare outfit, andare nei locali in per trovarne di nuovi) è il consumatore perfetto. ALtro che liberazione, queste sono passate dalla gabbia della monogamia alla libera scelta di sfinirsi nella ruota del criceto!

    1. Mostrare i biases dell’Incellismo è una pratica igenica che i più avvertiti tra di “noi” dovrebbe porsi come impegno costante, tanto più quanto la categoria di incel supera una certa limitazione anagrafica e si allarga genericamente a tutti la platea dei “senza donne”, privati del sesso, della “intimacy”, della genitorialità.
      Le donne del discorso redpillato-incel non sono tutte le donne, così come le donne di questo saggio sono una generalizzazione: le “donne-tutte troie” del nostro quotidiano misogino incel sono sostanzialmente quelle femmine che in un arco di tempo di 25-30 anni esprimono la loro fertilità/scopabilità attraverso un potere ipergamico incontrollato, svincolato dal limite che una volta era della donna afroditica o dell’amazzone. Le culture e le religioni hanno svolto l’arduo compito di domare questa energia femminile creativa-creatrice (fino a che ci sono riuscite) canalizzandola come era necessario, coi modi del patriarcato e della subordinazione, con quel prodotto di alta tecnologia sociale che è la famiglia (più volte citato in queste pagine).
      Nell’Europa cristiana, nell’ultimo secolo, come tutti sperimentiamo, il cattolicesimo ha perso proprio su questo terreno la sua sfida più grande: il cattolicesimo ha perso le donne (che sono sempre state il suo grande patrimonio che fossero verginelle, madri o attempate bigotte), ha dilapidato la capacità di cattura del femminile, per ottusità delle gerarchie, impreparazione dei sacerdoti, degli educatori, catechesi infantil-devozionali (o semplicemente perché era impossibile arginare lo tsunami del benessere e dalla secolarizzazione relativista).
      Le generazione di donne dai ’70 in poi dei paesi avanzati si sono ribellate questo dispositivo oppressivo paternalistico che nella sua espressione più alta era anche garanzia del loro ruolo, centralità nelle comunità e del loro stesso equilibrio psichico: la maternità è diventata un’espressione di potenza prestazional-pagana per nulla temperata dalla cornice mariana, del matrimonio come rappresentazione della progettualità escatologica sono le principali sabotatrici, la liberazione ha mostrato la maschera dell’assoggettamento a un consumismo feroce e senza scampo imprigionandole nel presente oriental-buddista totalmente misinterpretato.
      Questo saggio-pamphlet è il prodotto triste di questa generazione di donne alla fine dell’arco di potenza, che hanno compiuto la parabola di desiderabilità-fertilità senza essere diventate né Madonne né Demetra, senza maturazione e sfrondamento del superfluo, privo di saggezza per questo incapace di qualunque trasmissione di sapere intergenerazionale alle loro figlie-nipoti.
      Personalmente da un saggio del genere mi aspetterei anche un a capitolo con un invito alla fluidità sessuale tra sorelle, al lesbianismo senza età o esplicitamente come prospettiva senile.

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