Quanto è difficile essere ebrei in Alabama!

A millionaire paid Jews to move to a small town in Alabama
Now, a couple struggle with their choice
(Washington Post, 27 dicembre 2018)

Sarebbe arrivata comunque tardi in chiesa, dove per l’ennesima volta avrebbe cercato di spiegare la sua religione, anche se la maggior parte delle persone nella sua città sembra non ne voglia saperne. E intanto i latkes, le tradizionali frittelle ebraiche, stanno bruciando. Lisa Priddle si chiede perché continui a provarci, perché si è messa a cucinare latkes e comprare dreidel (le caratteristiche trottole di Hanukkah) per gli abitanti di Dothan, la piccola città dell’Alabama dove lei e suo marito hanno deciso di trasferirsi dopo che un milionario ebreo ha finanziato la costituzione di una comunità ebraica locale: dietro il compeso di 50.000 dollari hanno deciso di trasferirsi nel Sud.

Tuttavia ora i due devono fare i conti con l’antisemitismo, con esperienze che difficilmente dimenticheranno, con la sottile sensazione di “essere di troppo”. Negli ultimi tempi continuano a pensare che forse è venuto il momento di arrendersi. Per questo i Priddle hanno persino contatto un agente immobiliare per dare un’occhiata alla casa.

Fino all’ultimo però la coppia si è torturata con mille dubbi. Ora non sono rimaste loro che due scelte: vendere la propria casa e tornare a New York, dove li attendono l’amata sinagoga e i nipotini che a malapena conoscono; oppure provare a recuperare l’entusiasmo che li ha condotti fino a Dothan, una città chiamata così su ispirazione biblica “Andiamocene a Dotan” (Gn 37,17)

“Penso che questo posto sia fantastico”, afferma Lisa. I latkes sfrigolano nella padella. “E mi spiace tanto. Sono veramente dispiaciuta. Non vorrei dirlo, ma è molto difficile essere ebrei in Alabama”. Quando i Priddle sentirono parlare per la prima volta di Dothan, sembrava una cosa troppo bella per essere vera. L’annuncio della rivista era però chiarissimo: un milionario locale, Larry Blumberg, era disposto a donare 50.000 dollari a ogni famiglia ebrea disposta a trasferirsi nella sua città. Lisa era così eccitata dalla notizia che corse fuori dal bagno con la copia della rivista Reform Judaism per dire al marito che dovevano assolutamente andarci. “Sarebbe bello in effetti diffondere l’ebraismo nel Sud”, convenne il marito.

A livello nazionale le comunità ebraiche sono progressivamente calate di numero a causa dei matrimonio misti e della crescente secolarizzazione. Il fenomeno è più marcato nel Sud, una regione che secondo il Pew Research Center ospita il 37% della popolazione degli Stati Uniti ma solo il 23% degli ebrei statunitensi. Molte sinagoghe nelle piccole città non hanno più membri sufficienti per definirsi tali: il Jewish Legacy Project, un’organizzazione no profit, ha aiutato 14 sinagoghe a chiudere negli ultimi dieci anni e sta lavorando con altre 47 a piani di chiusura.

Blumberg non voleva che anche la sinagoga della sua giovinezza, il Tempio di Emanu-El, facesse quella fine: perciò nel 2009 ebbe la stravagante idea di pagare delle famiglie ebree per trasferirsi a Dothan, una città di 65.000 abitanti lontano da tutto, due ore da Montgomery e Tallahassee. “Le sinagoge delle piccole città stanno chiudendo tutte”, afferma Blumber, la cui azienda Larry Blumberg & Associates gestisce decine di hotel e altre proprietà nel sud-est, “anche se è comunque è un bel posto in cui vivere. Davvero. Io ci ho provato in tutti i modi”.

A suo parere mantenere una popolazione ebrea in Alabama scongiurerebbe anche il pericolo dell’antisemitismo, che altrimenti potrebbe manifestarsi in uno Stato in cui l’86% degli abitanti si identifica come cristiano e la maggior parte degli altri non è religiosa. Solo l’1% si identifica con una religione non cristiana.

“Ho creduto fosse importante porre le basi di un dialogo aperto, anche se quando ho dato il via all’iniziativa dieci anni fa la situazione non era poi così brutta”.

Altri ebrei hanno abbracciato l’idea di Blumberg, invogliati dall’atteggiamento “rilassato” di Dothan, dalla calorosa accoglienza southern, dalla storica sinagoga sostenuta dalla comunità nonostante la mancanza di un rabbino.

I Priddle in particolare erano attratti dalla prospettiva di “insegnare la tolleranza”, un compito che praticano quotidianamente. Per questo nel 2011 affittarono la loro casa newyorchese di Schenectady e si trasferirono a Dothan. Lisa, infermiera specializzata, ottenne presto un lavoro in un ospedale locale; Kenny responsabile dei servizi alla loro sinagoga, dovette invece faticare per trovare un impiego nel piccolo mercato del lavoro di Dothan, prima di diventare finalmente assistente a domicilio per anziani.

Sette anni dopo, Lisa e Kenny, ora 57 e 63 anni, sono profondamente coinvolti nel Tempio di Emanu-El, una comunità di meno di cento membri in cui fanno un po’ di tutto, dai servizi principali alla manutenzione dell’edificio, fino alla gestione di una squadra di bowling. Ultimamente, però, si sentono logorati dalle esigenze della minuscola sinagoga riformata, composta da solo 56 famiglie, e rimpiangono la vivace congregazione dieci volte più grande che si sono lasciati alle spalle, Mentre la maggior parte degli amici ebrei dei Priddle afferma di non aver mai sperimentato l’antisemitismo a Dothan, Lisa e Kenny ricordano momenti in cui hanno sentito lo stigma della discriminazione. Dal 2016 hanno assistito a un acuirsi della piaga dell’antisemitismo in tutto il Paese.

Undici famiglie si sono trasferite a Dothan da quando Blumberg ha iniziato a pagare, e il magnate afferma che darà la stessa cifra ad almeno altre sei che si impegneranno a rimanere almeno per tre anni. Quasi dopo un decennio di esperimento, però, sette famiglie su undici se ne sono andate. E con Lisa e Kelly diventerebbero otto.

La coppia di ebrei nel frattempo continua a recarsi all’imponente chiesa metodista che fa impallidire la loro sinagoga dall’altra parte della strada, per condividere la loro fede con chiunque. Proprio oggi sono stati invitati a spiegare cos’è Hanukkah a una decina di persone affette da demenza.

“La gente dell’Alabama è sempre stata molto accogliente con noi”, esordisce Lisa, pensando che non sia del tutto vero, mentre il marito offre ai partecipanti una frittella e una trottola. In realtà una volta un buon uomo dell’Alabama fece sbiancare Kenny affermando che gli ebrei facevano gli hamburger col sangue dei bambini cristiani. Un’altra signora, che Kenny assisteva a domicili, dopo aver scoperto che non andava in chiesa e che anzi era ebreo, ha telefonato all’agenzia per informarli che non lo considerava “adatto” a prendersi cura di lei.

Mentre Lisa osserva i convenuti nell’aula e lo scintillante albero di Natale in miniatura su ogni tavolo, decide di condividere alcuni dei suoi timori come ebrea in America, rievocando l’uccisione di undici fedeli alla sinagoga di Pittsburgh. “Quando ci riuniamo in gruppo diventiamo vulnerabili”, afferma osservando le persone e sperando che ci sia qualche domanda. I partecipanti restano silenziosi mentre Kenny propone un secondo giro di latkes, e Lisa si domanda se abbiano capito il suo discorso o semplicemente non sappiano cosa dire. Una donna chiede: “Potrebbe parlarmi del pane azzimo?”; un’altra vorrebbe saperne di più sugli knish di patate e le polpette di pesce

Poco dopo, Lisa e Kenny gettano le frittelline rimaste nel cestino e vanno via, incerti se tutto ciò sia servito a qualcosa. “Non so perché tutto ad un tratto sia diventata così nervosa”, dice. Entrambi hanno il giorno libero, ma si recano comunque all’ospedale dove lavora Lisa per trovare un amico ricoverato. Una volta entrata, la prima persona in cui Lisa si imbatte, come al solito, è Janice. E come al solito Lisa ricorda “quella preghiera”. Janice sapeva che lei fosse ebrea, glielo aveva detto mille volte che non credeva a Gesù, ma quando gli infermieri hanno organizzato un pranzo in occasione del suo reindirezzamento ad altre mansioni, Janice ha voluto dire una preghiera prima del pasto. “Nel nome di tu-sai-chi”, ricorda Lisa ironicamente: la cosa la infastidisce ancora.

Lisa dà un’occhiata all’ufficio. Tutti quegli scomparti le ricordano il suo status di estraneo, le loro croci di legno e le loro placche con incisi i versetti del Nuovo Testamento: “Io posso ogni cosa in Colui che mi fortifica”, ” Confida nel Signore con tutto il cuore”…

Lisa ha imparato a discutere della sua fede anche sul posto di lavoro, cosa che non aveva mai fatto a New York. Prima che lei e Kenny si dirigano verso la stanza d’ospedale del loro conoscente, incrociano una delle sue colleghe, un’infermiera bionda e allegra di nome Jackie. Lisa le chiede come sta andando la sua convalescenza dopo un intervento che ha subito: “Non ce l’avrei fatta senza le preghiere di tutti”. E Lisa le ribatte: “Ringraziate Dio per questo”. In ascensore, sospira e si rivolge al marito: “Tutto questo sta diventando insopportabile!”.

La sera, Lisa e Kenny con altri dieci ebrei di Dothan si riuniscono per celebrare la terza notte di Hanukkah a casa di altri membri della sinagoga. Ridono degli stoppini che non si accendono mentre danno fuoco alle fiamme della menorah. Questa è la ricorrenza che ha innescato il senso di appartenenza di Lisa al popolo ebraico. Aveva solo 11 anni quando ascoltava la madre di uno dei suoi compagni di classe di prima media che parlava alla classe di Hanukkah. “Non so se fosse la fiamma della candela, del cioccolato o della lingua ebraica. Penso che sia stato il canto ebraico”, ricorda. Decise allora di “sentirsi ebrea” e da adulta si convertì ufficialmente. Kenny divenne anche lui ebreo da adulto, ispirato dalle discussioni sullo studio della Torah nella sinagoga dove ha lavorato per vent’anni.

Nel corso dei decenni, la loro fede è diventata cruciale nel modellare le loro identità. Hanno cresciuto i loro figli come ebrei. Alla loro sinagoga di New York, Kenny ha organizzato qualsiasi cosa; Lisa si è persino esibita come solista. Quando sono partiti per Dothan, la comunità delle 500 famiglie ha dedicato loro una targa: “A Lisa e Kenny, cuore e anima della nostra congregazione”. Ogni giorno rimpiangono la sinagoga newyorchese.

Dopo aver recitato le benedizioni, si riuniscono nel soggiorno di Karen e Terence Arenson, un’altra coppia che si è trasferita a Dothan attraverso il progetto di Blumberg. Gli Arenson sembrano soddisfatti della loro decisione: “Dothan è un ottimo posto in cui far crescere nostra figlia, il ritmo è molto più lento, il costo della vita inferiore e le persone del profondo sud sono molto amichevoli”. Stasera per la festa di Hanukkah vogliono proiettare il documentario della PBS There Are Jews Here, sugli ebrei di quattro piccole comunità americane, compresi gli Arenson di Dothan.

Tutti infatti esultano nel vedere la famiglia sullo schermo, ma poi si fanno cupi quando il documentario parla di un edificio a Laredo, in Texas, che una volta era una sinagoga. Oggi ci sono 130 ebrei in una città di 248.000 persone (circa un quarto del numero presente nel 1980) e quell’edificio è ormai abbandonato.

“Non credo che ciò possa accadere anche a Dothan”, afferma Leon Minsky, un southerner di lunga data. “Non accadrà”, si ripromette Karen. Lisa però è meno ottimista: “Potrebbe succedere anche qui”. Mentre sullo schermo si vede una sinagoga che si chiude a Latrobe (Pennsylvania) e una vecchietta che dà via i rotoli della Torah, Lisa singhiozza: “Una cosa veramente triste”, mentre si gira a guardare Kenny, i loro volti illuminati dal bagliore dello schermo televisivo. “Non voglio essere un’altra famiglia ebrea che se ne va via”, dice. Tuttavia la coppia lascerà presto l’Alabama per tornare a New York. They will leave Alabama.

2 thoughts on “Quanto è difficile essere ebrei in Alabama!

  1. -la sottile sensazione di “essere di troppo”-
    Micro-aggressioni, è questa cosa da guerrieri sociali il problema?
    Questo sarebbe un post sull’antisemitismo, questa sarebbe una storia di segregazione e discriminazione? come leggo dai tag?

    “mantenere una popolazione ebrea in Alabama scongiurerebbe anche il pericolo dell’antisemitismo, che altrimenti potrebbe manifestarsi in uno Stato in cui l’86% degli abitanti si identifica come cristiano e la maggior parte degli altri non è religiosa. Solo l’1% si identifica con una religione non cristiana.”
    Ma avete una mezza idea di cosa accade dove invece c’è una numerosa popolazione di “nuovi cittadini” appartenenti, alla “religione di pace”?
    Di cosa accade nella vicina Francia?
    Di cosa sta accadendo ora al di fuori delle balle raccontate dai media?
    Avete spulciato su Twitter, avete rovistato tra fogne di siti dovendovi munire di stivali e maschera antigas per lo schifo presente, avete cercato tra i giornali locali esteri tutte quelle storie che non è bello far sapere al vasto pubblico?

    Avete sbagliato bersaglio, sprecato un’occasione, e paradossalmente minimizzato una situazione che è peggiore di quello che potete immaginare.

    1. “Avete” chi? Si tratta della traduzione di un articolo del Washington Post, come è BEN SPECIFICATO, dunque già di per sé il tuo commento è fuori luogo (ma lo sarebbe comunque per i toni imbarazzanti da “arringa” rivolta a chissà chi). Ad ogni modo questo è quanto compare su uno dei più importanti quotidiani americani: alcuni ebrei considerano “antisemitismo” anche le preghiere prima dei pasti e gli auguri di natale. Ognuno può trarne le conseguenze che vuole.

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