Reinhard Raffalt: Roma è l’antidoto all’Anticristo

Esiste un libro tanto grande quando misconosciuto, Der Antichrist, di un Autore tanto grande quanto misconosciuto, Reinhard Raffalt (1923-1976). Si tratta del suo unico volume tradotto in italiano per la meritoria opera del professor Andrea Sandri, che ha anche curato una postfazione lunga come il volume stesso ma che riesce incredibilmente a valorizzarne il contenuto piuttosto che soffocarlo.

Raffalt era conosciuto fino al Concilio Vaticano II come Die Stimme Bayerns in Rom, “la voce della Baviera a Roma”: insegnante di musica sacra nella Capitale, direttore della Bibliotheca Germanica (il primo istituto culturale tedesco fondato all’estero nel dopoguerra), instancabile cantore dei fasti della Città Eterna anche alle prese con la modernità.

Parliamo dunque di un intellettuale di altissimo livello, di caratura europea non in quanto semplicemente “tedesco”, ma bavarese, e cattolico, interessato alla romanitas non con lo sguardo sprezzante dell’Übermensch mascherato da turista, ma considerandola quale unico antidoto allo Stato Universale et Omogeneo. Eppure, questo pensatore è stato letteralmente cancellato dalla storia per esser stato, forse malgré lui, troppo “cattolico”, senza scadere nella reazione o nel tradizionalismo.

L’Anticristo è una lucida disanima del mysterium iniquitatis in azione nelle vicende umane che parte dal presupposto che l’essere umano abbia bisogno di ordine, di redenzione, di gloria. Il messianismo politico, il “basileismo” che forgia ogni nostra epoca non è solo una favola per bambini:

«Molte antiche interpretazioni e profezie che riguardano l’Anticristo, sono associato all’immagine dell’Imperatore dormiente. Quando Nerone, che già da vivo fu ritenuto l’Anticristo, fu assassinato, si diffuse tra i suoi seguaci la leggenda secondo cui l’Imperatore non era affatto morto, bensì si era nascosto, per ricomparire un giorno con maggior forza e sconfiggere i suoi nemici».

La leggenda dell’Imperatore dormiente si ritrova praticamente in tutti i popoli, dalla Bisanzio alle prese con la caduta dei Comneni fino al riposo millenario del Barbarossa, che ispirò Adolf Hitler nella sua impossibile conquista della Russia mentre contemplava, dal Berghof, l’Untersberg dove l’Imperatore attendeva che la sua barba compisse il terzo giro intorno alla tavola sacra per poter finalmente uscire dal cuore della montagna e combattere la battaglia finale.

L’umanità sogna questo: la redenzione terrena. Lo stesso Hitler è un esempio facile da proporre (magari non per un tedesco), così come Stalin e qualsiasi “redentore negativo” in grado di promettere alla specie una salvezza totalmente immanente. Raffalt però è più sottile: senza mai citarlo, riconduce la figura romanzesca delineata dal Solov’ëv alla tradizione cristiana, che ingenuamente non ha mai considerato l’Anticristo come un “diavolaccio”, ma come il vero Oltreuomo che predica un cristianesimo senza Cristo, valorizzando l’insanabile dicotomia tra carità e filantropia.

Il “figlio del secolo” ottocentesco cede però il passo a una figura ancora più inquietante che non siederà a Mosca, Washington, Berlino e nemmeno a Gerusalemme, ma nel cuore della cristianità, a Roma: Raffalt, nelle pagine finale del suo libello, individua come rappresentazione plastica della sede dell’abominio il Baldacchino di San Pietro del Bernini, i cui pilastri si ispirano a una colonna tardoantica la quale sarebbe, per tradizione, l’unica rimasta del tempio di Gerusalemme:

«L’Anticristo sceglierò il baldacchino sulla tomba dell’Apostolo, che include il Tempio di Israele, come teatro per l’orribile scena nella quale si siederà al posto di Dio».

Egli si proclamerà Cristo stesso e ci porterà alla fine dei tempi. Raffalt parla di apostasia, blasfemia e chaos, ma oltre ad analizzare il quadro complessivo offre una prospettiva profondamente interiore e personale dei rivolgimenti apocalittici: come nota il curatore, l’Autore ci dona “una particolare e profonda analisi esistenziale – quasi heideggeriana […] – dell’uomo situato nel dominio della metafisica neutralizzante“.

Non si tratta di semplice filosofia: il pensatore tedesco, che vergò queste pagine nel 1966 e le lasciò ai posteri (la prima edizione è del 1990, anni dopo la sua dipartita), accenna alle “grandi forze” della psicanalisi, del sesso e della droga, che a livello collettivo corrispondono all’instaurazione di un sistema mondiale basato su meccanizzazione, burocrazia e tecnica. Più che Huxley e Orwell, siamo già alle spietate elaborazioni di un Kojève, che Raffalt non ha quasi sicuramente letto ma ha già “profetizzato” pur essendogli contemporaneo.

L’antidoto a tutto ciò, ma più che pharmakon si può parlare apertamente di katechon, è ROMA. È infatti incredibile che di questo Autore non si sia mai pensato di tradurre le sue struggenti “guide” alla nostra capitale come patria della Bellezza e della Verità, della quale egli riuscì a elogiare ogni singolo imperatore (importante il suo saggio storico Große Kaiser Roms) come ogni “Ettore, Achille, Cesare” che giocava tra le rovine, senza quell’insopportabile gusto pasoliniano che nascondeva tenebre di perversione totalmente compromesse con lo spirito dei tempi (il punto è fondamentale, perché Raffalt in fondo osteggiava la “reazione” di un Paolo VI come parodia del vero ordine a cui la Chiesa, e la Poesia -se pensiamo alla degenerazione arcaicizzante dell’insidiatore dei “ragazzi di vita” di cui sopra- avevano rinunciato).

Roma si salva, e salva, nonostante la decadenza e le “stonature”: egli ha una visione sinfonica della cattolicità radicata nel suo territorio, nella quale ogni elemento – monumenti, persone, leggende, storia – contribuisce a un’armonia unica. Roma è paragonata a una melodia senza tempo, il cui titolo corrisponde alla tradizionale formula della Pax Romana, che riesce a mitigare il rischio di un “ordine” disumanizzato.

C’è un altro mistero in tutto questo, perché nonostante Raffalt cerchi di resistere alla tentazione del folkore (non mancano però generosi riferimenti a der pasta asciutta eccetera), si capisce alla fine che egli individui proprio nei “difetti” del carattere romano/italiano l’ultima resistenza a un mondo privo di anima e proprio perciò pronto a lasciarsi soggiogare da un potere altrettanto “perfetto”, cioè empio e “pulito” come il futuro luciferiano che attende l’Europa e l’Occidente.

AVVERTENZA (compare in ogni pagina, non allarmatevi): dietro lo pseudonimo Mister Totalitarismo non si nasconde nessun personaggio particolare, dunque accontentatevi di giudicarmi solo per ciò che scrivo. Per visualizzare i commenti, cliccare "Lascia un commento" in fondo all'articolo. Il sito contiene link di affiliazione dai quali traggo una quota dei ricavi. Se volete fare una donazione: paypal.me/apocalisse. Per contatti bravomisterthot@gmail.com.

One thought on “Reinhard Raffalt: Roma è l’antidoto all’Anticristo

  1. Parto dal discorso che sono ateo.

    Primo:
    Se anche dovesse venire l’anticristo e satana ecc, credo si spaventerebbero da l’umanità stessa.

    Secondo:
    La chiesa cattolica e il cattolicesimo non è una corretta rappresentazione del cristianesimo originale.
    Ma una sua mal interpretazione.
    Su questo aveva ragione anche le varie riflessioni che ha fatto Arthur Schopenhauer.

    In ogni caso scrivi comunque un buon articolo, anche se credo Reinhard Raffalt sia completamente fuori strada.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.