Fighting for the Right to Repair Our Stuff
(Lee Vinsel, “The American Conservative”, 23 luglio 2019; tr. it. Gog&Magog)
Il cosiddetto Right-to-Repair (“Movimento per il diritto alla riparazione”), praticamente sconosciuto fino a qualche anno fa, ha guadagnato molto terreno di recente, citato sia dalla senatrice dem Warren sia dal New York Times. Il Right-to-Repair si concentra sulla rimozione di quelle che sono note come “restrizioni alla riparazione”: barriere tecnologiche e legali che i produttori utilizzano per impedire ai consumatori e operatori indipendenti di riparare da sé i loro prodotti. Sono poste in essere sia dai produttori di beni di consumo (come Apple) sia da quelli di grandi tecnologie utilizzate nelle aziende agricole e nelle aziende (come John Deere, Caterpillar e Oracle). Se gran parte della copertura mediatica fino ad oggi si è concentrata su sostenitori liberal, come la Warren, il Right-to-Repair è stato fatto proprio anche da alcuni conservatori. Dei 19 stati che hanno introdotto leggi sul diritto di riparazione, molti sono stati repubblicani, come il South Dakota e la Georgia. Anche l’American Farm Bureau Federation -ben lontana dalla sinistra- ha appoggiato il movimento.
Il Right-to-Repair, a quanto pare, è una di quelle rare idee che fanno appello all’intero spettro politico. Perché? Non è esagerato dire che le restrizioni alla riparazione siano un fatto storicamente nuovo e senza precedenti. Per la maggior parte della storia umana, gli attrezzi e strumenti sono stati prodotti e mantenuti localmente. I fabbri, per esempio, realizzavano gli oggetti, ma ne curavano anche la manutenzione.
Inoltre, le mode cambiavano lentamente, e le persone facevano in modo che le cose fossero durevoli, spesso riparandole e conservandole per tutta la vita, e anche più a lungo. Come osserva lo storico Rosalind Williams: “In alcune parti del mondo, l’abito base dell’uomo comune è rimasto immutato per secoli: il poncho in Perù, il dhoti in India, la camicia lunga in Cina, il kimono in Giappone”. In un tale contesto, “i beni sono stati tramandati di generazione in generazione”.
Molti cambiamenti hanno minato questa risalente realtà. Uno dei più importanti è stato l’incremento della produzione di massa. Sempre più spesso, nel corso del XX secolo, i consumatori hanno iniziato ad acquistare articoli che non erano prodotti sul posto, da vicini di casa, ma lontano, da sconosciuti.
La produzione di massa ha sempre avuto due interessi in competizione quando si tratta di manutenibilità e riparabilità. Da un lato, le parti intercambiabili, che possono essere utilizzate anche per la riparazione, sono al centro dei processi che hanno permesso il boom della produzione di massa, come nella catena di montaggio della Ford Motor Company. E la produzione di massa poteva essere fatta per durare nel tempo. Gli spot pubblicitari di Maytag Man, introdotti nel 1967 e che mostravano un riparatore annoiato che faceva cose come cruciverba perché non aveva lavoro, avevano lo scopo di decantare la durata degli elettrodomestici Maytag.
Dall’altro lato, i produttori hanno puntato su un acquisto ripetuto del loro prodotti. Aziende come General Motors sono state pioniere nella modifica annuale dei modelli e di altre strategie di “obsolescenza pianificata” che puntavano a far tornare i clienti. Inoltre, la produzione di massa ha abbassato i prezzi a tal punto che la disponibilità è diventata la norma. Nella maggior parte dei casi è più economico acquistare un nuovo tostapane che far riparare un tostapane rotto.
Ma si potrebbe riparare la maggior parte dei tostapane se si vuole. Eppure le restrizioni alla riparazione — che sono cresciute di pari passo con l’informatizzazione — hanno in gran parte chiuso questa possibilità, dato che sempre più oggetti nella nostra vita quotidiana sono dotati di computer.
Critici come P.J. O’Rourke lamentano il fatto che un comune cittadino americano non possa più riparare la propria auto, il che è vero soprattutto a causa dell’informatizzazione. I produttori di automobili hanno inizialmente messo i computer nelle automobili per soddisfare le normative anti-inquinamento, ma ben presto le aziende hanno intravisto un potenziale strategico nelle nuove tecnologie: potevano usare i computer per monopolizzare la riparazione e costringere i proprietari ad andare solo da concessionari autorizzati.
All’inizio degli anni 2000, le aziende dell’aftermarket, compresi i meccanici auto e i negozi di ricambi locali, hanno visto il loro business declinare a causa delle restrizioni. Hanno così iniziato a fare pressione sul Congresso in favore del diritto alla riparazione del settore automobilistico, ma non hanno ottenuto ascolto. Dopo essersi rivolti al legislatore statale, alla fine hanno trovato successo nel Massachusetts, che ha approvato la prima legge sul diritto alla riparazione automobilistica nel 2012. Le case automobilistiche hanno ceduto e, temendo la moltiplicazione delle leggi in altri stati, hanno accettato di fare della legge del Massachusetts uno standard industriale.
Entro il 2012, tuttavia, le restrizioni in materia di riparazione si sono spinte ben oltre le automobili. Molti altri settori manifatturieri che producevano computer o costruivano dispositivi dotati di computer ne hanno intravisto il potenziale per ottenere un controllo totale sulle riparazioni.
È difficile misurare quanto siano diffuse le restrizioni alle riparazioni, ma alcuni ci hanno provato. L’U.S. Public Interest Research Group, un’organizzazione di difesa dei consumatori, ha studiato l’argomento negli ultimi anni. Nathan Proctor, un attivista del Right-to-Repair, ha intervistato 50 aziende che sono membri dell’Association of Home Appliance Manufacturers e ha scoperto che 45 di loro (il 90%) sostengono che una riparazione da parte di terzi renderebbe non più valide le loro garanzie. Tali regole violano una legge federale nota come Magnuson-Moss Warranty Act del 1975, intesa a proteggere i consumatori da pratiche di garanzia sleali o fuorvianti. Anche i produttori di computer, telefoni cellulari e altri dispositivi elettronici hanno adottato tali pratiche
Kyle Wiens, il CEO e redattore capo del sito web iFixit [NdT: c’è anche in italiano], è uno dei principali sostenitori del Right-to-Repair. Wiens si è appassionato al tema dal 2003, quando, appena laureato alla California Polytechnic State University, gli è caduto un Apple iBook G3. Ha deciso di ripararlo da solo, ma non è riuscito a trovare un manuale online. C’è riuscito comunque e ha pubblicato una guida sul suo sito web. Sorpreso dal numero di visualizzazioni, Wiens e un amico, Luke Soules, hanno fondato iFixit, un’azienda con l’obiettivo di “insegnare a tutti come sistemare tutto”.
Più tardi, Wiens ha appreso che la Apple stava usando il Digital Millennium Copyright Act per costringere coloro che avevano pubblicato i suoi manuali di riparazione ad eliminarli. E questo non era l’unico modo in cui Apple cercava di controllare le riparazioni. L’azienda per anni ha sostenuto che, se i consumatori avessero fatto riparare i loro iPhone da altri operatori, avrebbe considerato scaduta la garanzia, violando così nuovamente la legge federale.
Anche altri si sono trovati in situazioni simili. Per molti anni, Gay Gordon-Byrne ha gestito una società di consulenza indipendente, focalizzata sull’acquisto, la vendita e il leasing di hardware per computer. Si è indignato per le strategie delle aziende su questa questione.
Per le enormi aziende, all’interno dell’elenco di Fortune 500, con cui Gordon-Byrne aveva a che fare, la maggiorazione di costi di riparazione non era un grosso problema. Ma si era reso conto che potevano diventare un peso notevole per le piccole imprese e i lavoratori autonomi. Le pratiche restrittive si sono diffuse nei primi anni 2000, ma, secondo le stime di Gordon-Byrne, la tendenza è diventata generale solo intorno al 2010. Un giorno ci siamo svegliati e abbiamo detto: “Oh cavolo”, ha detto.
Nel 2013, Gordon-Byrne, Wiens, altri membri di iFixit, e una manciata di altre organizzazioni come la Electronic Frontier Foundation e la Service Industry Association hanno formato la Digital Right to Repair Coalition, poi semplificata a The Repair Association, con la sua base domestica elettronica su repair.org.
La Repair Coalition si è concentrata sul cambiamento delle leggi statali, e negli ultimi anni, più di 20 stati hanno promosso o discusso normative sul diritto alla riparazione, anche se nessuna è ancora diventata legge. L’attenzione alle legislature statali deriva in parte dal fatto che è considerata la strada più efficace, ma anche dall’istinto di Gordon-Byrne. Notando che è uno dei pochi conservatori nel consiglio di amministrazione, mi ha detto: “Non ci piace l’eccesso burocratico. Siamo stati molto attenti quando abbiamo scritto il disegno di legge per tenerlo ipiù leggero possibile”.
Gordon-Byrne dice che il Right-to-Repair richiede un approccio da “sgabello a cinque gambe”. Per fare una riparazione, si ha bisogno di:
- un manuale;
- pezzi di ricambio;
- strumenti, soprattutto se si considera che le aziende usano di proposito pezzi particolari e di forma strana;
- la capacità di leggere e comprendere la diagnostica computerizzata, compresa la conoscenza di cosa significhino gli strani codici di errore che appaiono sui nostri gadget; e
- l’accesso al firmware (il software di basso livello usato per controllare l’hardware) e le password che i produttori usano per bloccare la riparazione.
Senza queste cinque cose, è estremamente difficile per i consumatori riparare il proprio prodotto, e l’aftermarket non può prosperare.
Le aziende difendono le restrizioni alle riparazioni in diversi modi, anche ingigantendo i timori per la sicurezza e la sicurezza informatica. Alcune di queste affermazioni sembrano essere pretestuose o esagerate. I sostenitori del Right-to-Repair devono ancora vedere un caso documentato di qualcuno che si sia ferito sostituendo la batteria di un cellulare, per esempio. I lobbisti di Apple hanno anche detto ai legislatori del Nebraska che se avessero approvato la legislazione Right-to-Repair, questo renderebbe lo stato una “mecca” per gli hacker.
Spesso, la vera ragione della resistenza dell’industria è molto più semplice: si tratta di soldi. L’analista della Morningstar Scott Pope stima che i lavori di riparazione presso i concessionari John Deere abbiano margini di profitto cinque volte superiori alle vendite di nuove apparecchiature. Apple può addebitare per una riparazione oltre 1.000 dollari in più di quanto vi potrebbe addebitare un riparatore locale.
La riparazione può minacciare i modelli di business delle aziende produttrici anche in altri modi. Quando le azioni Apple hanno avuto un crollo all’inizio di gennaio 2019, il CEO Tim Cook ha ammesso che uno dei motivi per cui l’azienda vendeva meno telefoni era perché più persone stavano scegliendo di riparare quelli esistenti.
I produttori di telefoni cellulari, produttori di elettrodomestici, e molte altre aziende che utilizzano restrizioni di riparazione non rientrano nella definizione antitrust della Federal Trade Commission sui monopoli, che scatta quando in caso di controllo oltre il 75% di un settore di mercato. Tuttavia, i sostenitori del diritto alla riparazione spesso descrivono le imprese cui si oppongono come dei monopolisti.
In una certa misura, questa discrepanza è il risultato di una semplificazione delle nostre definizioni di monopolio nel tempo, osserva lo storico Richard John. Professore di storia e comunicazione alla scuola di giornalismo della Columbia, John sta attualmente scrivendo un libro sulla storia delle tradizioni anti-monopolio negli Stati Uniti. Egli osserva che il monopolio aveva una definizione più ampia e capiente: “qualsiasi tipo di potere di mercato che sia stato percepito come ingiusto, qualsiasi potere che abbia dato a un’istituzione un vantaggio ingiusto”, come ha detto lui stesso. Questa definizione si adatta certamente alla descrizione data dagli attivisti alle restrizioni alla riparazione.
Il nostro modo di pensare il monopolio e l’antitrust è cambiato anche in altri modi. John descrive come il pensiero anti-monopolio sia stato visto come una causa progressista ed è arrivato a concentrarsi sui diritti dei consumatori. Ma entrambe queste idee possono essere attribuite ad argomenti formulati da alcuni intellettuali conservatori influenti. Lo studioso del diritto Robert Bork e alcuni membri della Chicago School of Economics hanno sostenuto che la politica antitrust è inefficace e dovrebbe essere limitata in parte perché la concorrenza di mercato da sola avrebbe finito per minare il potere monopolistico. Bork ha anche sostenuto che lo Sherman Antitrust Act del 1890 era una “prescrizione per il benessere dei consumatori”.
Ma come Jonathan Tepper ha illustrato su The American Conservative, le leggi antitrust hanno radici conservatrici. Come dice John, “L’anti-monopolio è una battaglia dei piccoli commercianti. Storicamente, era sostenuto principalmente dai repubblicani”. E mentre la protezione dei consumatori può ora essere una dimensione importante della politica antitrust, il pensiero anti-monopolio era originariamente incentrato sulla protezione delle imprese da comportamenti anticoncorrenziali.
Mentre i diritti dei consumatori sono la parte mediaticamente più visibile del Right-to-Repair, i sostenitori della causa si concentrano anche sull’impatto commerciale più ampio. Kevin Purdy di iFixit ha recentemente pubblicato un articolo intitolato Right to Repair is a Free Market Issue, in cui ha esaminato come le restrizioni alla riparazione anticoncorrenziali finiscano per sopprimere le officine di riparazione indipendenti.
Wiens di iFixit sottolinea che aziende come Apple non si sono concentrate sul mettere in piedi una filiera di attività di riparazione, perché ha ritenuto che i margini di profitto siano bassi. Ma ci sono piccole imprese che puntano questi mercati di nicchia. “Possono essere affrontate con spese generali inferiori a quelle delle grandi aziende manifatturiere”, ha spiegato Wiens. “Queste piccole imprese stanno fornendo un servizio aggiuntivo al mercato, forniscono liquidità, forniscono valore al consumatore, stanno creando posti di lavoro locali, stanno creando più fiducia in sé stesse e stanno lottando nel loro piccolo contro dei monopoli”. I sostenitori del Right-to-Repair stimano che ci sarebbero centinaia di migliaia di officine di riparazione indipendenti in più, se le restrizioni fossero abolite.
Al di là della protezione dei consumatori e delle possibilità di business, i sostenitori del Right-to-Repair sottolineano anche la sostenibilità ambientale e il valore della comunità come elementi collegati. Molti dispositivi elettronici contengono minerali da terre rare e altre risorse non rinnovabili, ma le aziende li progettano per essere usa e getta, irreparabili e riciclabili. Apple ha da tempo reso i prodotti non riciclabili, ad esempio incollando il vetro all’alluminio, il che rende entrambi i materiali di scarto. Un recente articolo di Vice ha definito le cuffie AirPod di Apple una “tragedia” perché non solo non possono essere riparate o riciclate, ma non possono essere gettate via perché è noto che le loro batterie agli ioni di litio sono causa di incendi. Non sorprende, quindi, che la coalizione Right-to-Repair includa gruppi ambientalisti.
Il diritto alla riparazione tutela anche le piccole comunità. Molte località degli Stati Uniti non dispongono di officine di riparazione autorizzate Apple. L’invio di un telefono per una riparazione può richiedere settimane. Tuttavia, molte persone dipendono dal telefono sia per il lavoro che per la vita familiare e richiedono tempi di risposta più rapidi.
Wiens, che ha imparato a riparare le cose da suo nonno, sottolinea che il saper riparare le cose dà anche un senso di orgoglio. Richiama il libro di Matthew Crawford, Shopclass as Soulcraft, in cui si descrive come l’autore abbia lasciato il lavoro accademico per diventare un meccanico di moto. Come mi ha detto Wiens, Crawford spiega che ora ha un senso di rispetto e soddisfazione dalla comunità in cui vive molto più alto di quando lavorava per dei think tank. Quel senso di indipendenza può essere difficile da quantificare, ma è un motivo importante per difendere il nostro diritto a riparare le cose.