Roald Dahl era già stato censurato per antisemitismo

In questi giorni si fa un gran parlare della censura retroattiva dello scrittore britannico Roald Dahl (1916–1990), del quale l’editore Puffin avrebbe acquistato i diritti dei suoi classici per l’infanzia per modificarli, emendarli e addirittura riscriverli (!) in un’ottica politicamente corretta con l’ausilio del collettivo-politburo Inclusive Minds.

Per esempio, sono state rimosse espressioni al giorno d’oggi considerate ingiuriose come fat (sostituita con “enormous”), ugly o crazy (semplicemente espunte), oppure si è provveduto a rimpiazzare ogni female (“femmina”) con woman (“donna”) e ogni “mammà e papà” con “genitori” (anche se implicare che ci siano ancora un genitore1 e un genitore2 in futuro potrebbe offendere i cosiddetti “poliamorosi”).

A parte che anche in vita Dahl aveva avuto a che fare con problemi del genere (nelle successive edizioni de La fabbrica di cioccolato lo scrittore aveva già provveduto a trasformare gli Umpa Lumpa da “pigmei africani” schiavizzati in cambio di cioccolato a nanetti – pardon, “persone basse” – di imprecisata origine), non si capisce perché tutto ciò nella stampa mainstream abbia suscitato uno tsunami di indignazione: nemmeno i più sfacciati sostenitori della cancel culture questa volta hanno trovato una sola parola di giustificazione per il repulisti, anzi semmai sono ridicolmente saliti sulle barricate della libertà di pensiero. Come giustamente hanno notato Francesco Borgonovo su “La Verità” e Piero Senaldi su “Libero”, gli appelli più imbarazzanti sono stati quelli di figuri come Massimo Gramellini o Michele Serra, che addirittura vorrebbe intestarsi dei “comitati di tutela della libertà artistica”.

Tralasciando le polemiche contro il sistema mediatico-politico che è sempre orientato al “medio-progressismo” di fantozziana memoria, mi preme tuttavia ricordare a chi si indigna degli indignati che Dahl non molto tempo fa era già stato “censurato” per il suo presunto antisemitismo. E coinvolti in quest’altra “esecuzione postuma” c’erano sempre i suoi eredi, contro i quali ora si scaglia persino Salman Rushdie (“Roald Dahl non era un angelo, ma questa è un’assurda censura. Puffin Books e gli eredi di Dahl dovrebbero vergognarsi”).

Nel 1983 infatti l’Autore per l’infanzia aveva dichiarato in un’intervista che “c’è un tratto, nel carattere degli ebrei, che provoca una certa animosità, forse si tratta di una certa mancanza di generosità verso i non-ebrei. Voglio dire, ci deve essere un motivo se questo atteggiamento anti-qualcosa emerge ovunque. Anche quella canaglia di Hitler non se la prese con loro senza un motivo”. Nel 1990, parlando della sua avversione a Israele, aveva osservato altresì che “non ci sono editori non-ebrei, gli ebrei controllano i media (mossa molto furba), ecco perché il Presidente degli Stati Uniti deve fare tutti questi regali a Israele”.

Gli eredi di Roald Dahl si scusano per l’antisemitismo dello scrittore

Naturalmente in quella occasione né “La Verità” né “Libero” né qualsiasi altro giornale destrorso si preoccupò che, in materia di opinioni, le colpe dei padri dovesssero ricadere sui figli (mentre il giornale di Michele Serra plaudì direttamente all’iniziativa degli eredi di Dahl). Quindi al cospetto di queste diatribe destra-sinistra è difficile non pensare a quel famoso detto in cui il bue dà del cornuto all’asino.

In particolare Francesco Borgonovo, seppur stimabile in molte cose, è un sionista sfegatato e ha invocato più volte la censura in nome dell’antisemitismo contro personaggi della “sponda opposta” (absit iniura verbis per nessuno) che in verità, proprio in osservanza del loro pedigree sinistrorso anti-razzista, si erano limitati a criticare, anche aspramente, le politiche dello Stato di Israele e non “gli ebrei” in sé. Mi riferisco, tanto per fare qualche esempio, a gente come Chef Rubio (“Più che un posto in Rai, gli dovrebbero dare un posto nel Reich”, “La Verità”, 12 novembre 2019) o uno scarabocchiatore di muri che si fa chiamare “Cibo” (artista “ribelle” perfettamente inserito negli apparati parapiddini che però ha in effetti avuto qualche problemino per aver considerato come “bersaglio prediletto” lo Stato ebraico – per citare sempre Borgonovo).

Non penso che sia solo “tattica” contro gli avversari: se qualcuno di attiguo all’area del giornalista de La Verità si permettesse, ad esempio, di identificare le radici del politicamente corretto nel “giudaicamente corretto” e venisse perseguitato per la sua opinione, dubito che il Nostro correrebbe in suo soccorso. E badate che non ne faccio una questione di onestà intellettuale o intelligenza: semplicemente per molti (troppi), qualsiasi accenno alla “questione ebraica” è tanto blasfemo quanto incomprensibile. In particolare per quei pensatori di destra che considerano Israele un modello in tutto (identità, politica, sovranità, sicurezza) ma non si domandano perché tale modello si possa applicare solo laggiù (questo sarebbe il primo spunto per un dibattito a destra, sempre che non venga invocata, come al solito, censura bipartisan).

One thought on “Roald Dahl era già stato censurato per antisemitismo

  1. Per favore, negli articoli non linkare direttamente siti come repubblica, usa waybackmachine o fai direttamente degli screen, grazie e buon lavoro.

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