«Cosa ne pensi della robowaifu vagheggiata da certuni, che sbrighi le faccende domestiche […], ed eventualmente escort robotica per sopperire alle mancanze delle biofemmine?»,
mi domanda un caro lettore (commento al quale peraltro ho dedicato una canzone):
Questo mito della donna artificiale accompagna l’immaginario maschile da secoli, se non millenni, da Pigmalione alla bambola fellatrix di certe suggestioni ottocentesche (una testa di donna con un buco in prossimità della bocca da cui uno scienziato pazzo raccoglie sperma degli amici per generare un homunculus) fino al periodo del dopoguerra nel quale, nonostante tutto, l’umanità occidentale ancora deteneva una concezione faustiana della tecnica.
Mi pare siano stati girati film più o meno buoni su tale fantasia: oltre a Lars e una ragazza tutta sua (al quale ho dedicato una recensione perché obbiettivamente merita) e Lei/Her del 2013 (nel quale un software che riproduce una voce femminile finisce, come prevedibile, a tradire il proprio “padrone”, interpretato dal solito Joaquin Phoenix nella tipica parte dell’autistico/sociopatico), mi piace ricordare (come ho già fatto col lettore) Io e Caterina di (e con) l’impareggiabile Alberto Sordi.
A parte la sceneggiatura (stilata come sempre dal “cervello” di Sordi, Rodolfo Sonego, il geniale bellunese al riguardo del quale invito a leggere la perturbante monografia di Tatti Sanguineti) che incastra l’opera tra la commedia all’italiana e la satira grottesca, non senza qualche ironico cedimento agli stilemi horror (un genere che in quegli anni sbancava regolarmente il botteghino), e al di là anche delle tettazze della Fenech esibite sul grande schermo come splendida merce (a proposito: non capisco che problemi abbiano le femmine con la reificazione, visto che gli oggetti nella nostra società consumistica sono più idolatrati delle veneri paleolitiche), l’idea in sé è, per l’appunto, abusata, ma comunque affascinante.
Caterina è una “cameriera artificiale” dai tratti di una Afrodite domestica (il neoclassico è lo stile più rassicurante che l’umanità abbia mai ideato, proprio nella misura in cui rappresenta la vera natura dell’uomo nei termini più innaturali possibili), la quale, complice uno sceneggiato televisivo, sviluppa sentimenti amorosi per il suo padrone (il povero Enrico/Sordi) e comincia ad avere crisi di gelosia, che culminano in piatti spaccati, arredi vandalizzati e una coltellata al braccio (esperienze in cui ogni uomo, persino il più azzerbinato, prima o poi si imbatterà qualora scegliesse di convivere con una d-parola).
Il protagonista “maschilista”, che voleva dare un bel “calcio in culo alla moglie e alla cameriera”, spassandosela nel tempo libero con qualche sgallettata raccattata per Roma, finisce invece per essere schiavizzato dalla robowaifu ante litteram, ritrovandosi in una situazione peggiore di quella iniziale.
Non so se si possa trarre una morale da tutto questo (o da qualsiasi affermazione fatta da un essere umano). Da una parte, sulla breve distanza, bisogna ammettere che la tecnologia è purtroppo già instradata sui binari del politicamente corretto, del femminismo e del transumanesimo, dunque produrrà “bambole” più insopportabili -forse- di quelle reali.
D’altro canto, sulla lunga distanza, non ci si può vietare di temere che un essere programmato come una donna finisca prima o poi per comportarsi… come una donna, anche se fatto di metallo, microprocessori e silicio piuttosto che di nervi e carne: difficile impedire che un involucro del genere sviluppi uno “spirito” (e le donne ahinoi ce l’hanno, altrimenti demoni, serpenti e satanassi assortiti troverebbero ben poche anime da corrompere su questa terra!).
Perciò sono molto diffidente su sex dolls e giocattoloni affini. A parte che l’idea dovrebbe ripugnare anche da una prospettiva più estetica che etica, il grande dilemma è che comunque l’uomo non possa mai realmente superare i limiti della specie, che si manifestano persino nel “centro di riferimento” dell’epoca in cui si sviluppa tale o talaltra tecnologia.
Pensate, giusto per fare un esempio, se i “canoni di bellezza” della distopia in cui stiamo vivendo si imponessero nel mercato delle bambole robot (come del resto già fanno in innumerevoli ambiti che ingenuamente si immaginano regolati dal mero profitto): vi ritrovereste come “Caterina” una afroamericana obesa con i capelli viola e senza una gamba, probabilmente dotat* pure di un “pene femminile” a corredo.
Ad ogni modo, ho affrontato l’argomento in maniera più seria (diciamo così) in un vecchio articolo che ho ripescato e che, sfortunatamente per tutti, risulta ancora attuale, e al quale rimando per eventuali approfondimenti.