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Romano Amerio & Raffaele Mattioli

Abbiamo parlato abbastanza (forse troppo) del grande e irreprensibile Raffaele Mattioli (pre-mortem e post-mortem), toccando però solo en passant un punto dolente che andrebbe invece approfondito: il sodalizio tra il “banchiere-umanista” per antonomasia e il filosofo cattolico “tradizionalista” Romano Amerio.

A conferma che la stima di quest’ultimo nei confronto del “mecenate” fosse profonda, una nota del 31 luglio 1973 dal suo Zibaldone:

«Mi è annunciata la morte di Raffaele Mattioli. Provo un vivo rammarico. Mi affidò nel 1955 il Campanella della grande collezione La letteratura italiana. Prese a benvolermi, ad esortarmi, ad aiutarmi. Volle che scrivessi il libro sulla teologia del Campanella e voleva con insistenza che ne scrivessi un altro sullo stato della religione. Quasi quasi mi rimprovero adesso di non aver assecondato quel suo desiderio. Posso però continuare a onorarlo nella memoria. Fu dei rarissimi uomini che servirono il Paese senza servire i potenti del mondo. Era potente e non entrò mai le porte dei potenti. Era signorilmente gentile. Ho notato qui le parole con cui si congedò quando venne a farci visita a Loggio. La gente sussurrava che fosse massone. Non soltanto non fu, ma era impossibile che fosse. Si trovano talora nel carattere morale di una persona caratteri così rilevati e potenti che bastano per escludere l’eventualità di un fatto. Lo spirito nobile e colto di Mattioli era l’antipodo delle angustie di qualunque setta. Del resto la religiosità di lui appare nelle sue estreme disposizioni. Volle essere sepolto all’ombra dell’abbazia di Chiaravalle milanese nell’antico camposanto dei monaci, nella terra santificata dalla preghiera e dal lavoro, anche intellettuale, di generazioni di cenobiti».

Lasciando da parte qualsiasi illazione, si può almeno ammettere che il giudizio conclusivo sia di rara ingenuità: a meno che, proprio per quanto notavamo nell’articolo dedicato al “sacrario” di Mattioli, all’epoca fosse ancora esclusiva prerogativa degli “iniziati” conoscere l’esatto luogo di sepoltura dell’illustrissimo patrono della Comit, nonché la sua perfetta coincidenza con la tomba di Guglielmina la Boema.

In ogni caso è certo che il libro di cui sta parlando Amerio nel 1973 è il noto Iota Unum, scritto poi nel 1985 e diventato solo nel 2009 una “bibbia” (no pun intended) per il tradizionalismo cattolico, a seguito di una enigmatica operazione editoriale che ha visto una ristampa in contemporanea da parte di due case editrici, una “religiosa” (Fede & Cultura) e l’altra “laica” (Lindau). Un altro “caso” misterioso sul quale prima o poi si dovrà riflettere a mente fredda, evitando di farsi prendere dalla tentazione di rileggere il tutto col senno di poi, ovvero nella prospettiva di un gioco tesi-antitesi tra “medioevo ratzingeriano” e “illuminismo bergogliano”.

Restiamo però sul punto, in particolare ragionando sul perché Mattioli intendesse commissionare al pensatore svizzero uno Studio delle variazioni della Chiesa Cattolica nel secolo XX, quel libro che Vittorio Messori avrebbe definito in Pensare la storia (1992) «inquietante (e in qualche modo “terribile”)» (sic). Il punto di partenza è un post che probabilmente tutti abbiamo letto, dal blog wXre (ora scomparso, ma reperibile su “archive.org”: Iota Unum, 10 febbraio 2005):

«Amerio non fu propriamente scoperto da Mattioli […], ma fu da costui “sostenuto” e inquadrato in un progetto di ampio respiro (non certo tratteggiato da Mattioli, s’intende, ma dalla élite iniziatica di cui Mattioli fu strumento). Non è certo un caso che Iota unum uscì per i tipi di Ricciardi, la casa editrice “laica” che Mattioli rilevò e rilanciò negli anni ’50, a scopi ben precisi. Né è un caso che fra le poche riconoscenze ufficiali ricevute in vita da Amerio, ce ne sia una concessagli dalla Fondazione del Centenario della Banca della Svizzera Italiana, che toccò in sorte a numerosi frequentatori di Mattioli: da Giovanni Pozzi, a Riccardo Bacchelli, a Carlo Bo».

A corroborare l’ipotesi di un “progetto più ampio”, una citazione da Uscite dal Mondo (Adelphi, 1992, p. 451) di Elémire Zolla:

«A conclusione [di Iota Unum] Amerio domanda: l’essenza della Chiesa s’è dissolta nel mondo moderno? E risponde: “Sembrerà che il nostro discorso sia venuto a una conclusione che ha il carattere della conoscenza negativa, ipotetica, umbratile e vesperale, se non proprio notturna”. Infatti se rispondesse con un sì, gli scoppierebbe come una bolla il suo sogno antico, ed egli cadrebbe nella nuda modernità. Oppure in un sogno alternativo. O nella nuda gnosi».

Commenta ancora “wXre”:

«Iota unum fu, grosso modo, l’equivalente in ambito cattolico di Che cos’è la Tradizione di Zolla in un ambito più allargato: un libro che nel suo aspetto superficiale suonava e suona innegabilmente tradizionalista, ma il cui fine profondo era ed è di inserire la maggior parte dei lettori in una dinamica centrifuga rispetto alla Chiesa post-conciliare (ossia alla Chiesa sic et simpliciter), e di portarne una minor parte sulla soglia del “sogno alternativo”, o “della nuda gnosi”».

Secondo questa chiave di lettura (ma la deduzione, forse indebita, è soltanto nostra) pare che alla fin fine la riproposizione della Summa ameriana abbia più danneggiato che favorito il magistero ratzingeriano, consolidando nella mente di molti tradizionalisti l’idea che “il troppo non è mai abbastanza”, cioè che il Concilio Vaticano II rappresenti una pietra tombale sul cattolicesimo stesso.

Tale approccio potrebbe appunto portare a convincersi che il “sogno antico” è ormai irreparabilmente perduto,  e che l’unica possibilità di una “restaurazione” è la modernità o la gnosi, che nella concezione zolliana è comunque fondamentale che siano “nude” (essendo la veste quella del “sogno”, nella versione “alternativa” probabilmente avvicinabile a una qualche forma di sedevacantismo).

Ovviamente queste sono soltanto ipotesi che nulla tolgono alla grandezza del pensatore Amerio e del suo incredibile volume: tuttavia è inevitabile che certi dubbi sorgano, considerando soprattutto la fama di “illuminato e progressista” che aleggia ancora attorno alla figura di Mattioli (altrimenti nessuno lo incenserebbe!), la quale avrebbe come minimo dovuto portarlo a guardare come il fumo negli occhi a un documento sullo “stato della religione” di tal fatta. A meno che in tutto quel che si è detto finora non risieda un granello di verità…

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