Voglio riproporre alcune considerazioni che ho già espresso negli anni passati nei confronti delle celebrazioni di San Patrizio, arricchendole con qualche nuovo spunto. L’intento non è quello di colpevolizzare nessuno, quanto capire quanto abbia senso festeggiare un Santo solo nelle vesti di “parata” assolutamente laica, in specie nel momento in cui anche oltreoceano il suo significato non solo religioso, ma anche storico e culturale, è ormai completamente stravolto.
La festa di San Patrizio, commemorazione del Patrono d’Irlanda, ha acquisito rilevanza internazionale solo negli ultimi quattro-cinque decenni, in virtù del risalto, principalmente in termini di ubriachezza molesta (e negli ultimi tempi di edonismo multiculturalista), conferita a essa dalla diaspora irlandese d’oltreoceano.
Se tuttavia in molte nazioni il Paddy’s Day conserva ancora un legame non solo di facciata con l’Isola Verde (pensiamo all’Irski Festival di Sarajevo, ai concerti di Istanbul e alle sfilate di Tokyo e Seul, iniziative tutte animate dalle comunità irlandesi locali), in Italia invece la festività è giunta esclusivamente come prolungamento dell’americanizzazione spinta al pari di Halloween, del transessualismo militante, delle “primarie democratiche”, del Black Friday e del Black Lives Matter, della musica trap, del Partito Democratico (ancora), di Hanukkah (la cui importanza è stata anch’essa ingigantita negli Stati Uniti come risposta giudaico-secolarizzante al Natale), della mano sul cuore durante l’inno nazionale, delle Drag Queen Story Hour, e, last but not least, del PD (o forse l’avevo già nominato?).
Per giunta, il momento in cui San Patrizio dalle nostre parti è stato incorporato nelle sagre strapaesane risale ufficiosamente al 2011, quando le agenzie culturali cercarono di donare un minimo di attrattiva alla desolante ricorrenza del 150° dell’Unità d’Italia favorendo un po’ di elitismo tra le masse (anche se l’austerità all’epoca già scalpitava per aumentare le accise sulla birra, oltre che su tutto il resto).
Dopo qualche anno, Sanpatrizio’s era già diventata un’altra banalissima ricorrenza, festeggiata, come tutte le altre, alcolizzandosi e/o drogandosi (ovviamente dalle critiche sono esenti le -esigue- diocesi che da secoli hanno scelto l’Irlandese come patrono, anche se non si registrano celebrazioni memorabili del Santo, le quali in ogni casi rifletterebbero in generale il declino della pratica cattolica nel nostro Paese).
A parte tutto questo, si dà il caso che St. Patrick cada sempre di Quaresima, e in molti anni proprio in uno dei “venerdì”: un dilemma tutto sommato non di semplice soluzione, per i popoli che si dice ancora cattolico (mentre le gazzette italiane annunciano, letteralmente, Guinness a fiumi, magari con Bergoglio in persona che anche in ospedale riceve la famigerata Gatorade shower, altra usanza da importare al più presto), tanto è vero che i crucci vertono meno sulla questione del beveraggio (le birre trappiste possono insegnare molto sull’argomento) che non della carne, dal momento che uno dei piatti tradizionali della festa è il corned beef.
Si ricordi, del resto, che fino al 1973 la legge irlandese impediva ai pub di aprire nel bel mezzo della Quaresima per festeggiare San Patrizio (peraltro tali sacrosante “asperità” vennero smussate sempre sotto “pressione” della diaspora americana).
Il portale “Food & Wine”, del resto, riduce il problema a una questione geografica: secondo i calcoli, infatti, delle 196 diocesi americane cattoliche, 105 avrebbero concesso dispense, talvolta complete, talvolta, se la festa cade il venerdì, sotto condizione di astenersi dalla carne in un altro giorno o dedicarsi a opere di carità.
Era già accaduto nel 2017 e anche in anni recenti (come il 2023) le concessioni sono state rinnovante, sempre con qualche eccezione: per esempio, il vescovo Michael Sis della diocesi di San Angelo (Texas) ha affermato che “esistono comunque altri modi belli e conviviali per onorare San Patrizio senza consumare carne“, osservando altresì che il corned beef in fondo non è nemmeno un piatto tradizionale texano.
Il mensile dei gesuiti di Manhattan, “America”, ci scherza sopra: se sui menù dei ristoranti gli americani di origine Irish troveranno il corned beef rimpiazzato da bastoncini di pesce o “trionfi di tonno” non sarà colpa del solito complotto anglo-protestante per rovinare la festa, ma di una “infelice coincidenza col calendario liturgico cattolico”, ricordando che almeno in un paio d’anni addirittura San Patrizio cadde durante la Settimana Santa (zona off limits anche per le dispense).
Addirittura nel 2008 ci fu uno “scontro” tra il vescovo Frederick Campbell della diocesi di Columbus (Ohio), che voleva spostare tutte le celebrazioni dopo (o prima) la Holy Week, e il leader dello Shamrock Club locale, il quale arrivò addirittura ad affermare -letteralmente- che “irlandesi si nasce, cattolici si diventa”, imbastendo poi il corteo senza farlo passare in una chiesa per la tradizionale messa e la benedizione del vescovo.
Il Codice di Diritto Canonico sembra in ogni caso chiudere la questione (Roma locuta est), addirittura sostenendo che in caso di festa patronale (formalmente una solennità) non sussista nemmeno la necessità di una dispensa, avendo essa sempre la precedenza sul Venerdì quaresimale:
«Il Vescovo diocesano può dispensare validamente i fedeli, ogniqualvolta egli giudichi che ciò giovi al loro bene spirituale, dalle leggi disciplinari sia universali sia particolari date dalla suprema autorità della Chiesa per il suo territorio o per i suoi sudditi, tuttavia non dalle leggi processuali o penali, né da quelle la cui dispensa è riservata in modo speciale alla Sede Apostolica o ad un’altra autorità» (can. 87).
“Si osservi l’astinenza dalle carni o da altro cibo, secondo le disposizioni della Conferenza Episcopale, in tutti e singoli i venerdì dell’anno, eccetto che coincidano con un giorno annoverato tra le solennità” (can. 1251).
Del resto, come ricorda un amico/lettore, il fatto che un Santo sia Patrono di un luogo, come ad esempio una diocesi o una parrocchia, implica che in quel contesto possa essere concessa una dispensa dalla celebrazione della festa, sebbene, in generale, il calendario liturgico post-tridentino sia piuttosto ricco di santi, al punto che ogni giorno potrebbe diventare un’opportunità per una celebrazione. Questo rischia di ridurre ulteriormente il carattere penitenziale della Quaresima, che, pur non esigendo pratiche estreme, preserva comunque un’adeguata ascesi.
Già le feste dell’Annunciazione e di San Giuseppe sono feste universali, valide per tutta la Chiesa. Tuttavia, quando queste ricorrenze cadevano durante la Settimana Santa, venivano spostate al lunedì dopo Pasqua. Altri santi, invece, non venivano celebrati, soprattutto nel periodo precedente al Concilio Vaticano II, quando la liturgia della Settimana Santa non prevedeva commemorazioni, né durante l’Ufficio né durante la Messa, nonostante la presenza di numerosi santi e ottave che in altri periodi potevano essere celebrati.
Questioni che, nel contesto attuale, purtroppo paiono “di lana caprina”, ma che in verità riguardano in modo profondo il significato di tale ricorrenza. Alla tematica religiosa, poi, è collegata quella “culturale” o identitaria: come mi ha detto un amico americano molto smaliziato, San Patrizio negli USA è allo stato attuale “un’oscena esibizione di americanismo”, cioè, per dirla sempre con le sue parole, “il rimpianto per una terra in cui non si è mai vissuti fomentato da un bicchiere di troppo”.
Chi conosce la storia americana anche superficialmente può rendersi conto che la “liberalità” con cui la festa è stata incorporata nella “religione civile” statunitense non è una mera espressione di quello spirito jeffersoniano che in realtà ha sempre riguardato pochissimo i cattolici, ma un tentativo -piuttosto riuscito- dell’élite protestante di chiudere il cattolicesimo nel vicolo cieco dell’etnicizzazione.
Prima che centinaia di migliaia di irlandesi emigrassero in Nord America, non era semplice strumentalizzare l’identità britannica come una manifestazione di anti-papismo nel momento in cui nel “Nuovo Mondo” esistevano ancora molti cattolici di “razza anglosassone”. Per esempio, nella prima metà del XVIII secolo, diverse colonie furono “invase” sia dai profughi giacobiti, sostenitori del re legittimo Giacomo II (un fenomeno che gli storici tendono a ridurre alla sola Scozia, ma che in realtà interessò tutto il Regno Unito), sia dai rifugiati acadiani.
Quest’ultimi, a seguito del passaggio della Nuova Scozia dai francesi agli inglesi, subirono una vera e propria deportazione, motivata principalmente da motivazioni religiose piuttosto che etniche o “nazionali”. Infatti, i gruppi che oggi vengono definiti cajun si erano adattati alla dominazione britannica e, nonostante la propaganda contro di loro, mantennero una posizione di neutralità nel conflitto tra le potenze imperiali dell’epoca.
A testimonianza del fatto che l’ostilità fosse religiosa e non etnica, si può citare il fallito tentativo di “etnicizzare” l’identità acadiana, cercando di ridurla a quella francese. Questo potrebbe spiegare il fatto che la celebrazione del “San Patrizio cajun”, pur essendo altrettanto vivace e festosa, venga snobbata dal mainstream – e dagli sponsor.
Forse non si è riusciti a secolarizzare completamente la ricorrenza, o forse la questione rimane sempre la stessa, e così torniamo a parlare degli irlandesi: con le ondate migratorie provenienti dall’Isola di Smeraldo, i protestanti ebbero gioco facile nel trasformare le contese teologiche in questioni etniche, con un collegamento all’eugenetica, allora molto in voga, che riduceva il “pauperismo celtico” a una fonte razziale di povertà, ignoranza e corruzione, perfettamente rappresentata dalla religione papista.
Oggi che il razzismo, almeno a livello di politichese, va meno di moda, gli irlandesi americani parlano del cattolicesimo quasi esclusivamente in termini di Irishness, piegando la fede alle esigenze della propaganda sull’immigrazione e la “diversità”. In Italia probabilmente stiamo importando una “narrazione” dello stesso tipo, anche se noi non abbiamo avuto ondate di irlandesi a rappresentare plasticamente il problema: in compenso abbiamo il Capodanno cinese, il Ramadan e Hanukkah in Piazza Duomo, oltre a tutto il bailamme vaticano-secondista sulla giudaizzazione della Pasqua. E allora diamoci dentro col bere sempre e comunque.
fanculo san patrizio, viva san martino