San Patrizio non è diventata festa nazionale negli Stati Uniti per colpa dei gay

Nel 2008 la Guinness lanciò una petizione internazionale per far proclamare il giorno di San Patrizio (17 marzo) “festa nazionale” in tutto il mondo. Negli Stati Uniti l’iniziativa raccolse oltre 400mila firme, ma probabilmente avrebbe avuto più successo se la maggior parte degli americani non avesse creduto che la celebrazione fosse già una “festa nazionale”, e un uguale partecipazione ebbe in Canada, dove il Jour de la Saint-Patrick è una ricorrenza molto sentita.

Quando la Guinness tentò di far diventare San Patrizio il “Babbo Natale” irlandese

Molti americani si dissero d’accordo, non solo per avere un giorno di ferie in più, ma anche perché, nell’ambito della Amministrazione Obama che vedeva un vicepresidente Joe Biden interessato a valorizzare tutte le “minoranze” (nonché particolarmente legato alle sue “radici” da tale prospettiva) le quali hanno contributo a forgiare l’identità degli Stati Uniti, sembrava possibile che anche agli irlandesi venissero riconosciuto una “giornata speciale”.

In molte nazioni, del resto, la ricorrenza pur essendo festeggiata a dovere non rientra tra le celebrazioni ufficiali. La petizione della Guinness del resto non andò a buon fine e non ci furono più iniziative simile, probabilmente anche per il “boicottaggio” che aveva subito nel 2014, quando ritirò la sua sponsorizzazione alle tradizionali parate di New York e Boston perché gli organizzatori avevano rifiutato di “accogliere” i manifestati LGBTQ.

Prima che diventasse mainstream, San Patrizio era considerata una esaltazione del papismo e come tale osteggiata dalla maggior parte degli americani, che durante le sfilate dei “nuovi arrivati” irlandesi non perdevano occasione per inscenare scontri in strada o assaltare direttamente chiese e cattedrali cattoliche.

La polemica degli omosessuali militanti sembra si siano innestate in tale tradizione, specialmente quando, durante gli anni ’90 del secolo scorso, la stampa concentrò l’attenzione sulle proteste che le varie organizzazioni LGBTQecc.. inscenarono nelle principali città americane (come Washington o Boston), in maniera anche abbastanza violenta.

Il “boicottaggio” politicamente corretto della Guinness rappresenta in realtà l’apice di una lunga lotta che questi gruppi hanno inscenato per decenni, fino a vincerla grazie al supporto mediatico-politico di cui hanno iniziato a godere all’alba del nuovo millennio.

Un articolo appena pubblicato dalla “Catholic League” ricapitola le controversie legali tra gli enti preposti all’evento e collettivi come l’Irish Lesbian and Gay Organization (ILGO), che nel 1992 aveva ottenuto un clamoroso supporto dal primo sindaco afro-americano di New York David Dinkins, il quale aveva boicottato la parata interrompendo una partecipazione istituzionale che durava dal 1923.

Per gli stessi motivi, anche l’altro sindaco dem, Bill de Blasio, nel 2014 non aveva partecipato alla parata, nonostante i motivi di scontro fosseropretestuosi, perché semplicemente veniva richiesto alle “minoranze sessuali” non tanto di non usare i propri simboli, quanto di non eccedere in provocazioni oscene (come accadeva regolarmente, soprattutto davanti alle chiese).

Nel 1995, la Corte Suprema degli Stati Uniti aveva stabilito all’unanimità che vietare a ILGO di partecipare alla Boston St. Patrick’s Day Parade non violava la Costituzione, in quanto si trattava di un evento organizzato da privati che potevano rifarsi al fatidico “Primo Emendamento”.

Dieci anni dopo, tuttavia, gli argini si ruppero soprattutto, come si è ricordato, per la pressione mediatico-politica, e così dal 2015 San Patrizio negli Stati Uniti è diventata gradualmente sempre più “arcobaleno”.

Non sfugga qui che a un certo punto la gerarchia cattolica, nonostante non avesse un’influenza diretta sull’organizzazione della festività, abbia “mollato il colpo” e abbia smesso di osteggiare la presenza degli LGBTQecc alle celebrazioni, come invece aveva fatto anche in maniera piuttosto combattiva, per esempio nella persona del cardinale John O’Connor, che proprio per la sua opposizione alla presenza delle “minoranze sessuali” a San Patrizio entrò nel mirino dei militanti che inscenarono anche clamorose proteste contro di lui alla cattedrale di San Patrizio (per rimanere in tema!) a New York nel 1989 (interrompendo la messa) o al Santuario Nazionale dell’Immacolata Concezione a Washington nel 1992 durante una veglia di preghiera a cui stava partecipando.

Nonostante la completa resa alle organizzazioni omosessualiste, la celebrazione -petizioni a parte-, non è ancora divenuta “festa nazionale” e proprio in virtù di tale persistente “statuto”, quasi a simboleggiare l’inversione ormai totale che caratterizza i nostri tempi, alle organizzazioni anti-aborto come Irish Pro-Life USA (che a questo punto rivendicano anch’esse il diritto di “politicizzare” la festa) viene impedito di parteciparvi in base agli stessi principi con cui una volta veniva esclusa la ILGO.

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One thought on “San Patrizio non è diventata festa nazionale negli Stati Uniti per colpa dei gay

  1. La “profezia” di Dylan DOG
    Su un numero del 1987 (ma ambientato nel 2000) del fumetto Dylan DOG, si immagina una Europa dominata da una dittatura inglese, dittatura stile “ORWELL” che si lancia in una guerra nucleare contro Russia ed USA alleati tra loro. Che ne dite?

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