Voglio rispondere a questo commento a un mio pezzo su Cesare Pavese (Morire di fica: Cesare Pavese tra sangue, sesso e sacrificio, 24 agosto 2016) con un post dedicato, perché nonostante le considerazioni del lettore (che si firma “uno non come tanti”, già di per sé un nickname emblematico) siano offensive sia nei contenuti che, talvolta, anche nella forma (per esempio usa espressioni tanto infantili quanto improponibili come “soldo di cacca”), credo meritino comunque un approfondimento. Diamo dunque una breve scorsa alle affermazioni di “uno non come tanti”:
«No. Non sono d’accordo con una singola parola di questo articolo (così come non sono d’accordo con il 95/100 degli articoli sulla Questione Maschile e Pavese. Credo che l’autore di questo sito avrebbe potuto semplicemente creare una sezione e intitolarla “Misoginia” [ottimo consiglio, ndr]. Perché di questo si tratta.
Io sono un uomo che NON ha successo con le donne, le donne non mi cercano come compagno sessuale, e qui vorrei parlare dell’immensità del cazzo che me ne frega. Non piaccio? Non me ne frega niente, perché ho i miei amici, le mie amiche, la mia vita, i miei hobby. Non mi considero INCEL, non mi considero “brutto”, perché per me semplicemente il problema non sussiste. Sto bene da solo, amo scrivere e proprio di questo vorrei parlare. Di scrittura.
Io sono convinto che Pavese si sia ucciso anche perché la sua non era una scrittura “sperimentale”, ma una scrittura di dolore, di malinconia. Julia Kristeva in un articolo degli anni 70 sulla poesia sperimentale considerava la letteratura e la poesia “tout-court” (quella che ci insegnano a scuola, per dire) come cose che scaturiscono dal dolore, mentre la letteratura d’avanguardia e sperimentale, come qualcosa che scaturiva dalla gioia di vivere, dal piacere, e dal riso. Tutto il contrario del dolore. Pavese non era uno scrittore di avanguardia, e credo che non provasse alcun piacere effettivo nella scrittura. La sua era una scrittura “di provincia”, come diceva Pasolini a proposito di lui. Ecco io credo che questa mancanza totale di sperimentazione (Joyce chiamava la sua lingua sperimentale “Joy-full” e cioè piena di Joyce ma anche piena di JOY, di gioia!) abbia fatto di Pavese uno scrittore fallito e un uomo fallito. Non c’entrano un cazzo le donne. E’ la natura della sua scrittura, del suo gesto, che l’ha portato al suicidio.
Fare sperimentazione letteraria porta alla felicità. La felicità porta a un carattere migliore e il carattere migliore porta automaticamente alle donne. Lo hanno scritto molte donne anche nei commenti, un uomo che ha una visione così negativa delle donne è un fallito con le donne già di partenza. Che senso ha dare colpa alle donne? Se un uomo non piace non è colpa di nessuno. Non è colpa sua, ok, ma non è nemmeno colpa delle donne. Ci sono uomini che piacciono e uomini che non piacciono. Siamo noi a farne un problema.
Il misogino (ma leggi anche l’INCEL) è semplicemente un uomo che si arrabbia perché crede di avere il diritto di possedere una donna. No, in questa vita nessuno ha diritto a nulla. Io non ho donne, e allora dovrei prendermela con il genere femminile, incazzarmi, scrivere idiozie come quelle contenute in questo sito! Invece non mi incazzo, mi godo la vita anche senza donne, e non nutro odio né astio contro di loro. Anzi, le donne mi stanno pure simpatiche, dov’è scritto che le donne me la devono dare di principio? La cosa che più mi fa arrabbiare degli INCEL, oltre a tutte le cazzate che sparano, è questa presunzione che la fica gli sia dovuta! Insopportabile!
Ragazzi, state lontani anni luce dalla misoginia è un’idiozia che non vale un soldo di cacca».
Partiamo, con ordine, dalla questione della scrittura: le osservazioni di Julia Kristeva (che naturalmente non ho mai letto per buon gusto – credo sia sbagliato per un uomo, anche dal punto di vista morale, leggere qualsiasi cosa scritta da una “filosofa”), è potenzialmente rivelatrice del grande mistero che circonda ormai da secoli l’arte d’avanguardia, e cioè perché faccia così profondamente cagare.
L’arcano sembra infine risolto: tutta l’arte d’avanguardia, dalla letteratura alla musica, è semplicemente un surrogato delle seghe. Chi fa questa roba è perché non ha alcun talento ma non trova alcun senso nella sua vita reale, dunque cerca la “felicità” in qualcosa che solamente egli stesso potrebbe apprezzare. Per parafrasare il giudizio di Checco Zalone (altro che Kristeva) sul jazz, “L’arte d’avanguardia è come la cacca: piace solo a chi la fa”.
Dico queste cose per esperienza, perché dai 19 ai 24 anni circa sono stato anch’io “artista d’avanguardia”: ho composto un centinaio di dischi e scritto un altro centinaio di romanzi tutti all’insegna della “sperimentazione”. La maggior parte giacciono ancora in cassetti virtuali e reali, ma molte cose, anzi troppe, sono edite: chi conosce la mia vera identità (perché ho avuto la faccia tosta di firmarmi con nome e cognome) può andare a spulciare archivi come Discogs o anche Satanamazon e Ibs sulle tracce del Mister Totalitarismo “artista d’avanguardia” [*].
Nulla di tutta questa merda mi ha mai portato “gioia di vivere”, “piacere”, “riso”. Non penso che una persona decente possa realmente credere che scrivere cose a cazzo possa rappresentare uno scopo nella vita per un uomo: ecco perché rileggendo il commento mi viene il sospetto che sia una trollata (e invece no, perché gente così esiste, addirittura rappresenta un fenomeno generazionale – ma da quante generazioni dura, perbacco… ci vorrebbe davvero una bella guerra!).
Veniamo poi alla questione della felicità: «Fare sperimentazione letteraria porta alla felicità. La felicità porta a un carattere migliore e il carattere migliore porta automaticamente alle donne». Ma lol, non è assolutamente vero e Cesare Pavese ne è il migliore esempio. Non esiste la sapiosessualità, perché «non c’è idea più sciocca che credere di conquistare una donna offrendole lo spettacolo del proprio ingegno». Il carattere migliore non porta automaticamente alle donne: è un bel faccino. unito preferibilmente alla triade oscura, a “portare le donne”.
Inoltre questa idea di arte come auto-miglioramento è semplicemente disgustosa e sprigiona un lezzo di sperma rancido: a parte che anche riducendo millenni di letteratura maschia-bianca-etero allo schemino della Kristeva, la conclusione che se ne potrebbe comunque trarne è che il dolore e la malinconia hanno ispirato miglior arte che non la gioia; in ogni caso se proprio dovessimo considerare la letteratura un surrogato, tanto varrebbe rivolgersi in eterno a un Cesare Pavese qualsiasi piuttosto che a “uno non come tanti” (che evidentemente pubblica un libro ogni volta che scopa una donna, dunque è ancora in attesa di esordire).
Prima di qualsiasi Kristeva, peraltro, la letteratura d’avanguardia era consapevole della questione, se Aldo Palazzeschi, tanto per citare, scrisse un manifesto dal titolo Il Controdolore (del quale probabilmente la Kristeva non ha mai sentito parlare perché, beh, è una femmina ahahah), nel quale sostiene che gli uomini non sono nati per soffrire («Nulla fu fatto nell’ora di tristezza e per la tristezza; tutto fu fatto per il gaudio eterno») e che di conseguenza bisogna ridere di qualsiasi cosa:
«BISOGNA ABITUARSI A RIDERE DI TUTTO QUELLO DI CUI ABITUALMENTE SI PIANGE, sviluppando la nostra profondità. L’UOMO NON PUÒ ESSERE CONSIDERATO SERIAMENTE CHE QUANDO RIDE. La serietà in tal caso ci viene dalla ammirazione, dall’invidia, dalla vanità. QUELLO CHE SI DICE IL DOLORE UMANO NON È CHE IL CORPO CALDO ED INTENSO DELLA GIOIA RICOPERTO DI UNA GELATINA DI FREDDE LAGRIME GRIGIASTRE. Scortecciate e troverete la felicità.
[…] NOI FUTURISTI VOGLIAMO GUARIRE LE RAZZE LATINE, E SPECIALMENTE LA NOSTRA, DAL DOLORE COSCIENTE, LUE PASSATISTA aggravata dal romanticismo cronico, dall’affettività mostruosa e dal sentimentalismo pietoso che deprimono ogni italiano».
Posto che il futurismo, come arte d’avanguardia, fu almeno utile a giustificare le cataste di cadaveri prodotte dalla Grande Guerra (e anche il manuale da pickup artist di Marinetti, Come si seducono le donne, rientra nel contesto, visto che invita le cerbiattine ad andare coi mutilati), in verità tutto ciò che si può definire letteratura e non sega mentale (o materiale) è in definitiva una mitologia del dolore maschile.
O, per dirla con l’illustre studiosa (probabilmente di stampo kristeviano o come si scrive) Erin Spampinato (anche questo nome è tutto un programma), a canon of sad white boy literature. Infatti questa tizia ha avuto l’opportunità di sostenere sul più importante quotidiano inglese che l’intera letteratura occidentale andrebbe buttata nel cesso perché troppo incentrata sul male pathos:
«Da dove hanno preso [gli incel] l’idea che il pathos maschile […] [debba essere] degno di venerazione? Una possibile risposta alla domanda […] è rappresentata dalla storia […] della cultura letteraria anglo-americana, che (in particolare nel XX secolo) ha affrontato il tema della frustrazione sessuale maschile come se fosse un argomento di fondamentale importanza. […] [Il canone occidentale] promuove l’idea che la sofferenza sessuale maschile (spesso rappresentata dalla deprivazione) debba essere un tema di interesse pubblico, mentre la sofferenza sessuale femminile (spesso rappresentata da traumi) una questione privata e psicologica».
Eh, quindi hai capito, caro scrittore d’avansborra, è così che funziona, anche senza scomodare l’amor de lonh (ché so che sei troppo impegnato a scrivere per aver tempo di leggere). Dio mio, ma cosa mi sono messo a commentare. Cosa sto facendo della mia vita. Cioè, sto parlando con un tizio che dice di usare la “scrittura sperimentale” per sfogarsi della mancanza di figa ma implicitamente è convinto che essa possa in qualche modo attrarre qualche straccio di femmina, e in ogni caso afferma di “godersi la vita”.
Probabilmente deve ripeterselo ogni mattina appena sveglio: Mi sto godendo la vita, mi sto godendo la vita… Zio caro, se proprio ci tieni a raccattare figa attraverso l’arte allora cerca almeno di diventare un trapper (in gergo incel tale tecnica si definisce thugmaxxing, cioè atteggiarsi a bullo per ingannare le ingenue femoidi).
Concludiamo con la questione del “diritto al sesso”: non si tenti di accollarla ai “misogini”, perché è stata la rivoluzione culturale a teorizzare questo fantomatico diritto allo scopo di distruggere i costumi tradizionali. Perciò, o si adempie alla promessa (ma è impossibile farlo), oppure si torna al mos maiorum e alla sobria vetustas. Non si può sempre pretendere che ogni “conquista progressista” sia un gioco a somma zero: per gli stessi motivi, è inutile illudersi che ciò che si scrive valga qualcosa per il solo motivo che si crede sia espressione di piacere e non di dolore.
[*] A proposito di musichine d’avanguardia, poco tempo fa ho caricato su un canale Youtube apposito qualche composizione che avevo nel pc, adottando come nuovo nome d’arte Roberto Totalitarismo: sì, veramente cringe (tipo “Pietro Itle”), ma è quello con cui sono stato accolto nella Wikipedia Incel. Purtroppo non sono riuscito a ritrovare i pezzi più interessanti, come le collaborazioni con B’eirth (In Gowan Ring) e Jürgen Weber (Novy Svet); in compenso ho recuperato la mia versione di Puttane, Sfruttatori, Ladri e Assassini dei Rose Rovine e Amanti.
Riesumo robaccia del genere giusto per testimoniare il nulla che è stata la mia esistenza da avanguardista. Certo, è comunque suggestivo imbattersi nell’abbinamento di Taxi Driver e Il gelsomino notturno: col senno di poi -ma anche con quello di allora (oltre tre lustri fa)-, seppur sia una scelta palesemente ingenua e post-liceale, mi pare renda in modo degno lo smarrimento di un maschio relegato in perenne cattività dal femminino.
I piaceri sconosciuti a cui allude il Pascoli sono in fondo gli stessi fantasticati da un tassista newyorchese, nonché da un ventenne nella capitale europea dell’ipergamia (Milano). Per stemperare la disperazione e la sfiga provvedetti a farne anche una versione con la voce di Mario Borghezio, della quale per vari motivi non parlai con il geniale animatore di RReA, Damiano Mercuri.
Sempre a proposito di Borghezio, dal momento che ho scovato il disco a lui interamente dedicato (Todesführer), ho deciso di mettere su Youtube pure quello. Il mio archivio a quanto pare è avaro di materiale presentabile: a salvare le apparenze, qualche pezzo composto per Giorgio Felloni (che è un professionista e un genio, e all’epoca in cui collaboravamo assieme non c’era alcun sospetto che io fossi un maniaco nazi -non del tutto almeno-, dunque evitiamo le solite accuse di “colpa per associazione”).
Anche nel testo di questo pezzo, risalente sempre a secoli fa, si prefigura come un destino, peraltro con alcune sfumature indisponenti per chi è iniziato ai miei misteri, anche se a dirla tutta sono solo immagini semplici e decadenti, ma pur sempre più ficcanti di quelle offerte dagli oroscopi e dalla chiromanzia.