Non è solo per questo corso di babilonese della Hoepli accattato in un impeto di shopalcolismo che ora mi trovo costretto ad affermare che se non conosci l’accadico (o almeno uno dei suoi dialetti) oggi non sei nessuno, ma soprattutto perché ormai tutta la produzione cinematografica d’avanguardia ha assunto tale idioma come sua lingua d’elezione: perciò chi non si preoccupa di impararne almeno qualche parola rischia davvero di rimanere tagliato fuori dal mondo.
A parte gli scherzi, l’idea di una full immersion (espressione che non credo nessun inglese abbia mai usato) nel “babilonese” ultimamente mi stuzzica per diversi motivi: in primis perché sono reduce dalla lettura di 1177 a.C. Il collasso della civiltà (2014) dell’archeologo Eric H. Cline, che dipinge un suggestivo quadro della fine dell’Età del Bronzo con lo sguardo implicitamente rivolto alla nostra era. Al di là delle somiglianza più scontate (geografiche, belliche, migratorie ecc…) tra il mondo di tremila anni fa e l’odierno, quella che ho trovato più conturbante riguarda il concetto di “globalizzazione”: al di là degli ovvi paralleli tra gli imperi mesopotamici e le superpotenze attuali (con il corollario di una lingua franca comune per i rapporti diplomatici, commerciali e politici: l’accadico, appunto), credo esista una comunanza più profonda di quanto possa apparire.
Quel primo abbozzo di “scacchiere internazionale” ha infatti tratti incredibilmente simili al nostro non soltanto dal punto di vista materiale (uno dei più evidenti è l’affinità tra le “risorse strategiche” di allora, stagno e rame, con quelle di oggi) ma anche spirituale: per esempio nell’entusiasmo quasi infantile con cui l’umanità credeva di essere già giunta alla fine della storia, da una parte non facendola nemmeno iniziare e dall’altra concludendola con colossali progetti di egemonizzazione universale.
A dir la verità non so quanto abbia a che fare tutto ciò con l’apprendimento della lingua stessa, anche alla luce del fatto che tutta la letteratura accadica disponibile è stata già tradotta: d’altro canto questo non mi pare un motivo sufficiente per non tentarci nemmeno, considerando peraltro che ho appena fornito a me stesso una ragione “metapolitica” per farlo.