Alle ultime generazioni di italiani, allevate nel mito dell’ARG (Agricoltura, Ristorazione, Gastronomia), acronimo riducibile anche a quello delle 3C (Contadini, Camerieri e Cuochi), è stato fatto credere che coloro i quali avessero deciso di rimanere nel proprio Paese e non seguire le orme dei lavapiatti londinesi o dei riparatori di biciclette pechinesi, avrebbero comunque potuto garantirsi un avvenire nel campo del “mangiar bene”. È con questo spirito che abbiamo accettato la deindustrializzazione del Paese (perché le fabbriche puzzano e inquinano) e in nome dell’Europa ci siamo serenamente arresi alla meridionalizzazione.
Tuttavia solo in anni recenti qualcuno si è accorto che l’Unione Europea non è intenzionata a lasciarci nemmeno le briciole (è proprio il caso di dirlo) nel campo dell’agroalimentare: ormai a rendersi conto della situazione non è più soltanto qualche sparuto blogger “sovranista”, ma addirittura un rappresentante di Confindustria, Luigi Scordamaglia (presidente della Federazione Italiana dell’Industria Alimentare), che commentando la decisione di Bruxelles di destinare all’Italia nei prossimi due anni solo tre milioni (su undici) di fondi per la promozione del settore (finiti quasi tutti nelle tasche di francesi e spagnoli), ha espresso sul Sole 24 Ore giudizi tanto perentori quanto condivisibili:
«La Commissione chiarisca la propria decisione di ridurre drasticamente gli importi assegnati ai progetti italiani per la promozione dei prodotti agroalimentari sul mercato interno e dei Paesi terzi. Aver attribuito all’Italia un decimo dell’importo dato alla Francia e circa un ottavo alla Spagna fa capire quanto la esasperante burocrazia di Bruxelles venga utilizzata per dare vantaggi solo ai Paesi che mettono propri uomini nei posti più rilevanti delle istituzioni comunitarie e non a Paesi come l’Italia che scelgono invece spesso commissari irriconoscenti verso il proprio Paese e che sembrano vergognarsi persino di essere italiani».
E non è finita qui, perché al danno segue come al solito la beffa: negli stessi istanti in cui si decideva di penalizzare l’Italia delle 3C, l’Unione promulgava il nuovo regolamento sul cosiddetto novel food, col quale a partire dall’anno venturo si autorizza la commercializzazione di alimenti a base di insetti. In questo caso a protestare è stata la Coldiretti, o per meglio dire il presidente Roberto Moncalvo (perché la la Confederazione al Forum dell’agricoltura di Cernobbio ha invece offerto una “degustazione” di tarantole, vermi aromatizzati all’aglio, millepiedi arrosto e pasta di farina di grilli):
«Al di là della normale contrarietà degli italiani verso prodotti lontanissimi dalla nostra cultura alimentare, l’arrivo sulle tavole degli insetti solleva dei precisi interrogativi di carattere sanitario e salutistico ai quali è necessario dare risposte, facendo chiarezza sui metodi di produzione e sulla stessa provenienza e tracciabilità degli insetti. La maggior parte dei nuovi prodotti proviene da Paesi extra Ue, come la Cina o la Thailandia, da anni ai vertici delle classifiche per numero di allarmi alimentari».
È un rilievo importante, poiché noi italiani continuiamo a illuderci di “mangiare bene” e nemmeno ci accorgiamo del cibo che finisce sulle nostre tavole: in particolare, la maggior parte delle catene di discount (quasi tutte di proprietà tedesca), a dispetto dell’esaltazione reclamistica dell’italianità dei prodotti, spaccia sui propri scaffali latte slovacco, formaggio polacco, salumi spagnoli, tonno ivoriano, “vero yogurt greco” austriaco, salatini romeni, biscotti bulgari, mozzarelle tedesche e gelati olandesi. La stessa Coldiretti ha del resto stilato una lista nera degli alimenti nocivi per la salute commercializzati in Europa: ci sono le arachidi cinesi, i pesci spagnoli, i cibi dietetici americani, il prezzemolo vietnamita, i pistacchi turchi, i polli polacchi, il basilico indiano, ecc ecc…
La reazione del Commissario europeo per la Salute e la Sicurezza Alimentare (il lituano Andriukaitis) è stata semplicemente di ricordare che “il Sistema di allerta europeo funziona”, ovvero che non verranno introdotte nuove misure per tutelare i consumatori (anzi, molto probabilmente con i vari accordi di libero scambio mangeremo talmente tanta merda che gli allarmi non desteranno più scalpore).
Da una prospettiva più ampia, non dobbiamo dimenticare che la maggior parte delle industrie alimentari nazionali (compresi i marchi storici) sono state rilevate da aziende straniere, alcune nostre dirette concorrenti in Europa (come, appunto, quelle francesi o spagnole). Ancor più polemicamente, ricordiamo che le sanzioni contro la Russia hanno danneggiato il nostro export per oltre un miliardo di euro e hanno offerto il destro ai taroccatori del “Made in Italy”, un’industria parallela che costa al nostro Paese quattro miliardi l’anno. In tutto questo l’Unione non ha mai pensato di difendere l’Italia, né qualche nostro commissario ha mai preteso un risarcimento per le perdite causate dall’embargo contro Mosca, mentre nazioni come Polonia e Finlandia lo hanno fatto un attimo dopo la promulgazione di quelle sanzioni da loro stesse auspicate…
Per concludere, torna alla mente l’esortazione attribuita a Maria Antonietta (Qu’ils mangent de la brioche!), che oggi gli eurocrati rivedono al ribasso, offrendo al posto del pane vermi, cimici e tarantole.