Almanacco Romano ci offre uno squarcio sulla nostra epoca di straordinaria icasticità: (Piccole trasgressioni sul bus, 18 giugno 2012):
«Venerdì scorso, la calca ordinaria di un bus romano è stata irrobustita da un’orda schiamazzante di studenti di un istituto tecnico. Festeggiavano la fine dell’anno scolastico, celebravano forse la conquista di un diploma. Maschi e femmine diplomati o diplomandi, senza differenze, giocavano a fare i selvaggi. Non si erano imbrattati con uova e farina come fanno molti liceali appena interrotta la lettura di Plotino o la traduzione del pio Virgilio, non si piegavano ai “gavettoni” infantili, puntavano a più duri modelli. Quei ragazzotti mimavano canti e slogan delle curve calcistiche. Così in pochi istanti, conquistato il compiacimento del pubblico anziano, han cominciato a bestemmiare Dio, ritmando l’insulto blasfemo, e subito dopo, per spirito di trasgressione ancora più scandalosa ai loro occhi – ché si è raccontato spesso nelle aule scolastiche e nelle gite didattiche ai Lager di una immolazione al Cielo per quella che fu invece una efferatezza umana e con finalità assai laiche – cominciavano a ripetere con un sorrisetto sulle labbra: “Sei milioni di ebrei, sei milioni di ebrei, io lo rifarei, io lo rifarei”. A questo punto l’espressione di benevolenza dei presenti, pur concessa di fronte all’ingiuria sguaiata verso l’Onnipotente, si irrigidiva in una smorfia strana. In tempi di invidia sociale, avranno pensato ai soldi sprecati per la scuola e per i titoli di studio legali? O al piccolo dettaglio che neppure al riparo del sacro i morti sono al sicuro? O che l’abuso retorico di cultura genera mostri? O semplicemente che se educhi i giovanetti all’arte della trasgressione, magari con ripetute visite scolastiche nei musei del contemporaneo, poi dei sacrilegi bifolchi sul mezzo pubblico si sentiranno dei creativi in erba»
Questo fenomeno (al quale anche il sottoscritto ha talvolta assistito, praticamente nelle stesse forme, sugli autobus milanesi) rappresenta una sorta di ironico contrappasso, poiché non appena lo Zeitgeist ha imposto la rimozione di quelle simpatiche targhette che ricordavano come la bestemmia fosse un reato (“punibile ai sensi dell’art. 724 del codice penale”), ecco che è ritornata prepotentemente la necessità di condannare in qualche modo la blasfemia, la quale ha cambiato bersaglio ma non essenza.
Ciò a cui ci troviamo davanti è infatti quell’antisemitismo “goliardico” che contraddistingue la mia generazione, la prima obbligata ad assistere almeno una volta l’anno alla proiezione di Schindler’s List durante le ore buche. Credo sia stato proprio a causa di quel film che anche in Italia l’holocaustica religio sia diventata l’unico culto tutelato dall’articolo 724 del codice penale (la Legge Mancino peraltro fu introdotta nel 1993, stesso anno in cui uscì la pellicola).
In Germania era invece stata la serie televisiva americana Holocaust (1978), a favorire la sacralizzazione della Shoah, come sancì il filosofo ebreo Günther Anders in un volumetto dell’epoca (mentre nella RDT se ne erano infischiati abbastanza, visto che da quelle parti la condanna del nazismo non aveva subito la reductio ad Iudaeos e le vittime ebraiche venivano gerarchicamente dopo quelle comuniste).
In realtà questa forma di antisemitismo per certi versi non andrebbe nemmeno considerata come tale: come detto, è semplice iconoclastia aggiornata al fatidico Spirito dei Tempi. Tuttavia, per quanto disdicevole, credo non si possa far molto per contrastarlo, soprattutto perché i suoi censori odierni sono appunto gli stessi che hanno sostenuto il diritto di bestemmia finché hanno potuto. Perciò quando una ragazza, spiaccicandosi addosso una zanzara, esclama “Le mie braccia sembrano Auschwitz!” (esperienza personale), o quando un gruppo di studenti intona sull’autobus il coretto ingiurioso di cui sopra, non c’è modo di ribattere senza apparire bigotti. Al contrario, più ci si impegna a contrastare il fenomeno e più esso si inasprisce, perché tale è la “dinamica della provocazione”: probabilmente un giorno sentiremo esclamare direttamente per strada “Pu**ana la Shoah” oppure “Por*o Olocausto”.
Non credo quindi esista una soluzione. Le comunità ebraiche potrebbero forse imporre il riposizionamento sui tram dei bei cartelli di una volta (“La persona civile non sputa in terra e non bestemmia la Shoah”), ma dovrebbero farlo adattandoli all’odierna sensibilità dei noachici, perché oggi reprimere la creatività (soprattutto quella dei giovani) è una cosa da oscurantisti, e anche l’ultimo scampolo di “religione civile” che ci siamo dati (o ci hanno imposto) alla fine ne uscirebbe distrutta.
Bisogna invero aggiungere che, nonostante gli ebrei oggi si siano accaparrati quasi tutte le virtù dei goyim (i quali non le possono mettere in pratica, specialmente se cristiani, in quanto verrebbero come minimo tacciati di “paganesimo”), la forza corrosiva del nichilismo sembra invincibile. A tal proposito ricordo una querelle di qualche anno fa, scoppiata tra la comunità ebraica australiana e una pittrice (tale Jo Frederiks) che aveva organizzato un’esposizione di quadri riprendendo l’iconografia classica di Auschwitz, aggiungedo però pecore e vacche al posto degli ebrei.
Nonostante le proteste del B’nai B’rith (!), nessun provvedimento venne preso nei confronti dell’artista, che anzi poté spensieratamente dichiarare che «gli ebrei non detengono i diritti sulla parola “olocausto”». È deprimente che nemmeno la massoneria ebraica sia in grado di fermare la dissoluzione quando si maschera nelle vesti dell’animalismo (sarà questo il famigerato “lupo travestito d’agnello”?). Del resto, come avevamo segnalato le vacche sacre non sono solo quelle dipinte dalla Frederiks, dal momento che nelle librerie italiane possono circolare volumi contenenti scempiaggini del tipo “Ebreo è soltanto l’altro nome dell’avidità” solo perché firmati da Osho.
Ci sono troppi idoli con i quali il filosemitismo deve scontrarsi per mantenere la sua supremazia nella coscienza collettiva: per evitare il logorio del vittimismo moderno, le comunità ebraiche si accaniscono sempre sui “vasi di terracotta”, individuando il capro espiatorio di volta in volta in un delinquente di periferia, un prete tradizionalista, un blogger anonimo o uno storico negazionista. Quanto potrà andare avanti questo giochetto? Lo sapremo alla prossima Giornata della Memoria, o a quell’altra ancora.