«Mi ricordo che da bambino, negli anni Cinquanta, un allora celebre ginecologo, amico di mio padre, chiacchierando con lui, me presente, disse che se alla nascita osservava gravi malformazioni del bambino, con un secco colpo delle dita gli rompeva l’osso del collo facendolo morire per paralisi respiratoria e comunicava successivamente alla madre che il bambino malformato era nato morto. Questo racconto di un atto di eutanasia attiva così lucido e determinato mi ha lasciato addosso sempre un senso di disagio ogni volta che mi trovavo di fronte a un paziente condannato a morte da un tumore polmonare metastatico, sentendo in me il desiderio, per liberarlo dalle sue indicibili sofferenze e dall’angoscia di morte, di favorirne l’exitus»
(Enzo Soresi, Il cervello anarchico, UTET, Torino, 2005, pp. 46-47)