Sentimento popolare & meccaniche divine

Su “La Bussola Quotidiana” è comparsa la traduzione di un’intervista a padre Paweł Bortkiewicz (I miei dubbi di teologo su Amoris laetitia, 2 maggio 2017) originariamente rilasciata al portale “Fronda” (L’insegnamento di Papa Francesco solleva interrogativi e dubbi, 11 aprile 2017). Bortkiewicz è uno dei più autorevoli teologi polacchi e riesce a esprimere le sue perplessità sull’attuale pontificato in modo molto convincente. Anche la Polonia, del resto, è uno dei grandi centri spirituali dell’Europa, ma di quel tipo di spiritualità che l’Europa stessa ci chiede di sradicare per sempre dalle nostre terre. Quindi è una cosa doppiamente scorretta, il che la rende ancora più apprezzabile.

Ciò che trovo più interessante nelle parole di Bortkiewicz è che, nonostante il teologo parli proprio come un teologo, uno persino pronto a elogiare Ratzinger come il più eccelso dei suoi colleghi e Wojtyła come il più filosofico dei papi, in realtà mi pare riesca a farsi capire soprattutto dai “semplici”.

Per quel che mi riguarda, il problema è che, a esser sinceri, il pontificato di Papa Francesco a me non dice proprio nulla. E non parlo da intellettualoide o da pseudo-teologo (potrei riempire centinaia di pagine sul populismo religioso, sul post-modernismo pastorale e altre panzane del genere), ma proprio da cattolico, da semplice e banale fedele cattolico. Tutto questo Porno-Teo-Kolossal messo in piedi da preti, politici e giornalisti mi lascia assolutamente indifferente: non riesco a partecipare delle ansie riformistiche, del terrore di passare per “bigotti”, della snervante rincorsa a qualsiasi rivoluzione fallita da decenni.

Mi stupisco anche che Bergoglio venga presentato come il “Papa dei giovani”: cosa c’è di giovane nelle utopie stagionate, nelle paranoie da rivista teologica sessantottina, nel tono da parroco di provincia anni ’50? Forse ho problemi diversi rispetto alla maggior parte dei giovani cattolici. In effetti non ho molti amici “cattolici” in senso bergogliano, anche perché non riesco a stare in loro compagnia senza polemizzare ogni due secondi.

Forse questo è l’unico punto sul quale potrei dissentire con padre Bortkiewicz: a ben vedere io non penso che l’approccio di Francesco sia così “pragmatico” come egli sostiene. Anzi, mi pare esattamente l’opposto: cervellotico, artificioso, “mediato” (se non mediatico). Ecco perché tra cattolici si discute ancora di questioni di lana caprina come la famigerata “comunione ai divorziati”. Un dibattito del genere avrebbe forse (forse) senso in una società dove la pratica religiosa registrasse livelli alti (o medio-alti) di partecipazione: ma di fronte al disastro pastorale che stiamo attraversando, che senso ha spaccare ulteriormente il gregge?

Dico questo anche alla luce dei rilievi che Bortkiewicz rivolge all’Amoris Laetitia, nella quale Papa Francesco presenta il matrimonio (che tecnicamente è ancora un sacramento) come un “ideale”. Secondo le stesse parole del Pontefice (citate da Bortkiewicz), il matrimonio sarebbe

«un ideale teologico […] troppo astratto, quasi artificiosamente costruito, lontano dalla situazione concreta e dalle effettive possibilità delle famiglie così come sono. Questa idealizzazione eccessiva, soprattutto quando non abbiamo risvegliato la fiducia nella grazia, non ha fatto sì che il matrimonio sia più desiderabile e attraente, ma tutto il contrario» (Amoris Laetitia, 36).

In quanto cattolico, tali parole, per tornare al discorso precedente, non mi dicono proprio nulla: il matrimonio non mi appare più desiderabile non perché sia un “ideale irraggiungibile”, ma semplicemente perché nessuno crede più alla sua indissolubilità. Per certi versi, è proprio l’alternativa del “divorzio in coscienza” a renderlo ora un “ideale irraggiungibile” (a meno che anche il “finché morte non vi separi” non fosse una fantasia). Ahimè, bisogna ribaltare la prospettiva papale: è quando si accetta il divorzio come norma, che l’unico matrimonio in grado di resistere diventa quello che i coniugi riescono a tenere assieme contro tutto e tutti, solo grazie alle loro virtù sovrumane. Ma esiste situazione più chimerica e irrealizzabile di questa? I santi sposi sono pochini e per ovvi motivi non rappresentano il “cattolico medio”, che al giorno d’oggi quel poco che può aspettarsi dalla propria relazione è che non vada in pezzi alla prima difficoltà.

Il resto è solamente un parlarsi addosso, ed è qui che p. Bortkiewicz a mio parere centra assolutamente il punto, quando, riconoscendo il coraggio di papa Montini nel pubblicare l’Humanae Vitae, scrive:

«Se Paolo VI fosse stato guidato esclusivamente da necessità pastorali, egli avrebbe potuto sostenere che in talune situazioni, quando lo impongono le condizioni economiche o lavorative della famiglia, oppure quando si tratta di salvaguardare il vincolo coniugale, allora è possibile ricorrere alla contraccezione pur di salvare l’amore, dopo il discernimento con il proprio direttore spirituale. Paolo VI però non avrebbe potuto scrivere una cosa del genere, dal momento che preferì rimanere fedele allo Spirito di Verità, e non allo spirito dei tempi. Nelle questioni di fede e morale egli fu realmente anticonformista, anche se il suo atteggiamento gli costò un incredibile ostracismo, persino tra i fedeli».

Queste riflessioni fanno sorgere una domanda scontata (ma non troppo): è possibile che Bergoglio sia così ingenuo da confondere i desiderata delle agenzie culturali con quelli del “popolo” al quale si rivolge? Come può non accorgersi che quelli che lo applaudono oggi sono gli stessi (non è una metafora!) che all’epoca lapidarono mediaticamente Paolo VI? Dice bene Bortkiewicz: «La coscienza attuale può essere influenzata dalla cultura, dalla propaganda, dalla moda, dallo spirito dei tempi».

Eppure stiamo parlando di un pontefice che, oltre a essere il primo gesuita a sedere sul soglio di Pietro, a cagione delle sue origini sudamericane è anche considerato un “populista”: nonostante ciò, l’idea di popolo che egli ha in testa alla fin fine risulta totalmente conforme a quella offerta dai mass-media. In ciò lo “zelo pastorale” di Francesco rivela la propria inconsistenza: a conti fatti l’unico pubblico realmente entusiasta delle sue prediche ed esortazioni non è che quelli dei radical chic e dei rivoluzionari da salotto.

Potrei anche sbagliarmi: forse va bene così, forse è questo che i cattolici vogliono, e io sono l’unico fariseo a non averlo capito… Tuttavia, si riconosca almeno che Bergoglio non è in grado di tenere assieme il “sentimento popolare” e le “meccaniche divine”, cioè la pastorale e il dogma. Nella situazione in cui si è messo, credo che egli si trovi ormai costretto ad andare fino in fondo, a sacrificare gli ultimi residui di dottrina sull’altare della visibilità, per un ultimo titolo ancora. Non so chi abbia messo in testa ai cattolici che tutto ciò sia desiderabile, ma è quello che avranno. Sarà stato un grande affare? Potomstwo będzie oceniać, direbbe un Manzoni polacco.

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2 thoughts on “Sentimento popolare & meccaniche divine

  1. Rahner in effetti non era meglio, ma qui si sta dando in pasto il dogma a un "popolo" che non esiste. Cioè, se con "popolo" intendiamo il pubblico della fascia serale di Rai Tre, allora Bergoglio è "popolare". Ma se vogliamo parlare del popolo in termini sia qualitativi che quantitativi, qui siamo già oltre al "piazze piene chiese vuote": presto si svuoteranno pure le piazze.

  2. Chi ha messo in testa ai cattolici che tutto ciò sia desiderabile? Beh , qualche indizio c'è , per es. la visione antropologica di Rahner che resta sullo sfondo ma che è un po' il segreto di Pulcinella di questo pontificato (almeno finora poi non mettiamo limiti alla Provvidenza). E' Rahner che secondo i più consentirebbe di tenere insieme dogma e pastorale senza contraccolpi. E sul populismo è indicativo quanto affermato di recente dal Card. Maradiaga: "Il popolo stesso viene riscoperto e assunto quale luogo teologico"..

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