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Serbia Strong al TG1

Mi sarei aspettato di tutto nella vita, tranne che un giorno il TG1 mandasse in onda Serbia Strong, patronimico memetico con cui qualche anno fa divenne famoso un canto di guerra dedicato a Radovan Karadžić: invece è accaduto l’altra sera durante un servizio dedicato alla strage anti-islamica in Nuova Zelanda, mentre venivano trasmessi gli unici spezzoni mostrabili del video girato dall’attentatore, che ha appunto usato il canto cetnico come “colonna sonora” per il suo tragitto verso la moschea.

L’animatore di quello straordinario canale di “perle jugoslave” che è Kocayine (adesso censurato, una conseguenza indiretta strage), il quale ha trasformato la sconosciuta marcetta in un meme, in questi giorni ha voluto aggiornare la descrizione del video (che ha ricevuto centinaia di migliaia di visualizzazioni before it was cool) con un messaggio di cordoglio per le vittime della strage (riportiamo di seguito le due versioni in cui è apparso):

“Thoughts and prayers are with the victims of the terrorist attack in New Zealand. This song is not about nor does it condone killing innocent people, but is meant as a morale boosting song for the serbs of Bosnia and Croatia during the civil war of the early to mid 90s – hundreds of these were made and this one is nothing special. I’m sad that it was on some sick and twisted mans music playlist.”

“Our thoughts are with the victims of the terrorist attack in New Zealand.
This song is not about nor does it condone killing innocent civilians. Made during the chaotic civil war of the former Yugoslavia it was meant as morale boosting song for the Serbian defence, with references to Croatian Ustaša, who not more than half a century prior to this committed horrific crimes against the Serbian people, together with their Muslim allies.
Hundreds of similar war-time songs were made by all sides and this one is nothing special. This channel has an equal amount of videos made by muslims as made by Serbs, with the primary goal being the historic value.”

I commentatori sono stati però molto meno compassionevoli (tanto che dopo qualche ora il proprietario del canale ha deciso di disabilitare la comment section): “Sono qui per il nuovo trailer di Call Of Duty” (riferimento al fatto che l’attentatore sia riuscito a riprendersi come fosse in uno sparatutto); “Gli attacchi terroristici fanno parte del vivere in una grande città” (parafrasi di una infelice dichiarazione del sindaco di Londra Sadiq Khan); “Lo guardi nel 2018: Ahah un bel meme e una bella canzone; Lo guardi nel 2019: l’FBI vuole sapere dove abiti“; “I meme stanno diventando realtà, gli storici del futuro avranno un sacco di lavoro da fare per capire cosa stavamo combinando”; “Perché questa canzone è così tanto popolare tra gli australiani?”; “Il pezzo è già in cima alle classifiche neozelandesi”; “Tarrant may be a homicidal maniac, but he is a prime meme-lord” eccetera eccetera.

Tuttavia, uno dei primi a dissociarsi dalla strumentalizzazione di Serbia Strong è stato proprio il “protagonista” del video diventato virale, il cantante Željko Grmuša, che il giorno dopo il massacro ha rilasciato un’intervista al portale serbo “Alo” (consiglio di cliccare sullo screenshot della pagina da me messo a disposizione, perché qualche programma anti-malware potrebbe impedirvi l’accesso). Grmuša, che vive nella nativa Plavno (in provincia di Knin, dove c’era la famigerata Krajina), ora croata ma nel 1991 al 99% (sic) di etnia serba, ha in primo luogo espresso tutto il suo sgomento:

«È terribile quanto accaduto in Nuova Zelanda, condanno nella maniera più netta questo gesta e offro le mie condoglianze per tutte quelle persone innocenti. Purtroppo il tizio aveva comunque intenzione di uccidere, indipendentemente dalle canzoni che stava ascoltando»

Ha poi precisato che

«La canzone fu registrata durante la guerra, nel 1993, ed era stata pensata a sostegno delle nostre truppe. Cantavamo e basta, non abbiamo mai ucciso. Ho visto tutte quelle stupidaggini su internet, come i cinesi che la cantano e roba del genere. Sì, io l’ho cantata e non mi vergogno di quella canzone, anche se ora è usata per condannare tutto il popolo serbo. Ma cosa può avere a che fare con l’attentato? Quello ha deciso di farlo da solo e potrebbe aver pure sentite un’altra versione, come quella cinese o un’altra ancora».

Željko ha anche espresso timori per la sua incolumità e preoccupazione che la polizia possa presto bussare alla sua porta, ricordando che ora lui non è altro che un piccolo allevatore e saltuariamente fa il cantante per matrimoni. La rivista, in coda all’intervista, ha anche interpellato il fratello di Karadžić, Luka, che ha derubricato i riferimenti alla guerra nei Balcani da parte del terrorista come “sottocultura” e ha espresso dubbi sul fatto egli sapesse davvero chi fosse Radovan (o addirittura che avesse mai ascoltato il pezzo).

Dopo questa lunga premessa, che sembra fatta apposta per non parlare dell’attentato, veniamo al punto: il mio timore è che discutere dell’argomento in questa sede potrebbe involontariamente portare a un pastrocchio indigeribile al pari del famigerato Elogio letterario di Anders Breivik di Richard Millet (che “Il Foglio” pubblicò bellamente nell’assordante silenzio generale).

Spesso infatti anch’io ho flirtato con la memetica filoserba, cercando di ridurla a folklore, etnologia, tassonomia, nonostante essa rappresenti una storia violenta, millenni di orgoglio nazionale finiti nell’imbuto di uno scontro etnico-religioso. Ciò però non significa nulla: i serbi si sono indignati per la manipolazione della loro cultura nello stesso modo in cui i venetisti hanno reagito all’appropriazione dei nomi di Sebastiano VenierMarcantonio Bragadin e Marcantonio Colonna da parte del terrorista, che ha voluto scriverli sui propri caricatori (lasciamo da parte Luca Traini, che comunque si è dissociato pure lui…).

Alla fin fine pare proprio che nessuno sia davvero disposto ad assecondare la trasmigrazione dei meme da 4chan alla vita vera, anche se poi, di fronte a un sondaggio serio e anonimo, non so quanti disapproverebbero le orrende azioni del terrorista australiano (al di là di qualsiasi shitposting, che forse non è poi così innocuo come appare). Sono piuttosto pessimista sul futuro delle nostre società così “diverse” e “tolleranti”, ma non riesco ad addebitare tutte le colpe a qualche battutaccia internettiana o al popolino ignorante: mi preoccupa soprattutto il sistema mediatico internazionale, quello che ha passato anni a ridurre il terrorismo (quando “islamico”) a un lupo solitario e ora non ha più armi intellettuali e retoriche per opporsi a esso.

Come aggravante, lo stesso sistema sta facendo il gioco del killer ponendolo sempre in cima alle scalette televisive come egli avrebbe voluto, ad onta della prima regola da applicare nei confronti di vicende del genere, che è quella di esaltare le vittime e “dimenticare” i criminali: nella foga di immaginare chissà quale Internazionale Nera (ma purtroppo sono solo meme), si esalta l’assassino a scapito dei caduti, si interpreta qualsiasi suo gesto (non ultimo l’OK gesture, anch’esso una “trollata” verso la paranoia di chi vede suprematismo bianco dappertutto) come manifestazione di qualche abominevole e inafferrabile culto carbonaro.

Invece, ripetiamo, sono soltanto meme, e la tragedia si consuma tutta qui, come in quella famosa poesia di Edoardo Sanguineti: per quanti nomi siano stati scarabocchiati sui caricatori, per quanti “collegamenti internazionali” il freelance di turno riesca a snocciolare dopo una lurkata su 4chan, la conclusione è sempre la stessa… “se volti il foglio, non ci vedi niente”.

Questo è il gatto con gli stivali,
questa è la pace di Barcellona fra Carlo V e Clemente VII,
è la locomotiva, è il pesco fiorito, è il cavalluccio marino:
ma se volti il foglio, Alessandro,
ci vedi il denaro;

questi sono i satelliti di Giove, questa è l’autostrada del Sole,
è la lavagna quadrettata, è il primo volume dei Poetae Latini Aevi Carolini,
sono le scarpe, sono le bugie, è la Scuola d’Atene, è il burro,
è una cartolina che mi è arrivata oggi dalla Finlandia, è il muscolo massetere, è il parto:
ma se volti il foglio, Alessandro, ci vedi il denaro;

E questo è il denaro,
e questi sono i generali con le loro mitragliatrici, e sono i cimiteri con le loro tombe, e sono le casse di
risparmio con le loro cassette di sicurezza,
e sono i libri di storia con le loro storie;
ma se volti il foglio, Alessandro, non ci vedi niente.

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