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Sham. Dopo la farsa dell’impeachment di Trump, la democrazia distruggerà i “democratici”?

Da quando è stato eletto Donald Trump ho cercato di immedesimarmi nell’americano medio, quello a cui piacciono “la birra fredda, la tv a volume alto e gli omosessuali stradonnissime”. Per questo finora ho raccontato in maniera entusiastica la traversata politica di questo grande protagonista dei nostri tempi, seguendo persino “in diretta” alcuni dei momenti salienti, come la conferma di Brett Kavanaugh alla Corte Suprema, l’incontro con Kanye West, il discorso alle truppe di stanza in Iraq o l’ultimo State of the Union.

Per lo stesso motivo, non ho “coperto” l’impeachment perché, come rimarcato da commentatori più autorevoli, l’americano medio si è assolutamente disinteressato a esso.

Il motivo principale di tale indifferenza è che di mezzo non c’è la figa, una cosa che ammette lo stesso New York Times: “The charges against Mr. Trump are […] less tabloid [than Clinton’s one] and for many Americans a little esoteric”.

Il piano dei dem era in effetti un altro: l’impeachment era già stato pensato sin dal principio, ma lo scandalo doveva essere al 100% sessuale e rappresentare una sorta di “ciliegina sulla torta” di quella psy-op passata alle cronache come #metoo. Invece i giochi sono andati in maniera completamente diversa e i cospiratori si sono dovuti attaccare a un insignificante questione di diplomazia, peraltro più compromettente per il figlio di Joe Biden (uno dei loro candidati di punta) che per Trump stesso.

Politicamente parlando, la farsa non è spendibile che in campagna elettorale, anche se il ruolo defilato assunto dalla cosiddetta “estrema sinistra” (la stessa che viene accusata dai repubblicani di aver ispirato il tutto), cioè dai Sanders, le Ocasio-Cortez e le Ilhan Omar, già offre la misura dell’insignificanza dell’argomento.

A meno che il processo si concluda incredibilmente in maniera sfavorevole verso l’attuale Presidente (ma è un evento improbabile tanto quanto un conflitto nucleare tra Russia e Stati Uniti o un’invasione aliena – anche se tutto può succedere), un dato di fatto è che il Great Old Party ne è uscito ricompattato e totalmente schiacciato sulla linea di Trump.

Non sembri un dettaglio, perché oltre a subire l’opposizione dell’estrema destra (si vedano ad esempio l’alt-right e i famigerati groypers che appassionano ingenuamente alcune fazioni italiane all’oscuro dei giochetti psicologici dei reazionari southern per giustificare il loro voto democratico in perpetuum odium nei confronti di Lincoln), il Donald riceve costantemente “picconate” da neo-con, liberisti, mccaniani (sic) e trombati vari.

Ultimamente, dopo aver scoperto che in un sondaggio gli elettori repubblicani lo considerano “a better president than Lincoln” (lol) alcuni pezzi grossi tra i conservatori hanno lanciato un Lincoln Project per sabotare la quasi scontata rielezione del Nostro, riciclando i toni sprezzanti contro i newyorchesi di una fantomatica “America profonda” ed evocando niente di meno che il nome di Daniel Sickles, pittoresca figura di re-guerriero e puttaniere il cui apice della carriera politica è stato uccidere l’amante della moglie sulla Fifth Avenue (riferimento malizioso a una celebre sparata di Trump, “I could stand in the middle of Fifth Avenue and shoot somebody and I wouldn’t lose any voters”).

Dunque è soltanto una sham, una charade. Farsa, parodia, sciarada, chiamatela come volete. L’unico punto su cui si potrebbe ragionare è perché  quelli che si fanno chiamare democratici siano alla fine i più refrattari nei confronti dei basilari processi democratici: non c’è verso che provino a presentare uno straccio di programma che possa piacere a chi dovrebbe eleggerli. Preferiscono le manovre di palazzo, la propaganda, le leggi speciali, il paternalismo, i golpe bianchi, il terrorismo psicologico, i reati d’opinione, la persuasione occulta, l’opposizione telecomandata, gli appelli contro il suffragio universale eccetera.

Non so per quanto questi “pseudo-democratici” che hanno contaminato i sistemi politici occidentali possano continuare a provocare la democrazia stessa, prima che essa imponga quasi naturaliter un cordone sanitario attorno a quelli che sono diventati i suoi principali nemici. Per tutto il resto vale il motto di un grande americano onorario: N’interrompez jamais un ennemi qui est en train de faire une erreur. Never interrupt your enemy when he is making a mistake.

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