Si può fare qualcosa contro il turismo?

L’iniziativa dei tornelli anti-turisti lanciata dal sindaco di Venezia Luigi Brugnaro per regolare il flusso di visitatori ha un qualcosa di rivoluzionario: si tratta forse della prima azione concreta atta a stabilire il principio che non tutto il paesaggio italiano è sacrificabile alle esigenze del turismo. Eppure, per motivi piuttosto enigmatici, i no global (tornati sulla scena appena in tempo!) sono intervenuti a vandalizzare le barriere, interpretandole come un tentativo di “musealizzazione” della città lagunare.

Sì, è risaputo che i “giovani dei centri sociali” non capiscono nulla, ma giungere a tali livelli di ottenebramento mentale non è comunque facile. Peraltro i contestatori di Brugnaro sono poi gli stessi che durante il mandamento piddino non hanno mosso un dito (nonostante la sponda offerta dagli squatter catalani) contro la distruzione delle città italiane in nome dell’ultimo idolo che ci siamo auto-imposti: il turismo di massa. Anzi, ho il vago sospetto che, al coro di “il razzismo si cura viaggiando”, molti di essi in questi anni abbiano contribuito attivamente alla disneylandizzazione del nostro Paese.

La “sinistra” tutta, da quella istituzionale alla movimentista, ha insomma avuto ripetute occasioni per dare un segnale controcorrente, ma a quanto pare ha preferito incentivare lo sfruttamento intensivo della nostra “ricchezza naturale” (d’accordo, è il nostro “petrolio”, ma non è che la politica dell’OPEC è “estraete tutto fino all’ultima goccia”). È un peccato perché una mentalità anti-turistica in Italia si sarebbe potuta sviluppare più facilmente qualora fossero stati i “monopolisti della voce” a fare il primo passo: non sarebbero neppure mancati gli appigli internazionali, se pensiamo che in molti Paesi europei il turismo è considerato fondamentalmente una cosa di “destra”.

Ricordiamo nuovamente la “turismofobia” (sicdei catalani, che forse non a torto la ritengono una vera e propria “industria franchista”, grazie alla quale i capitani d’impresa spagnoli hanno potuto mantenere intatte le loro fortune anche dopo la fatidica transición. Potremmo pure citare l’esempio dell’Europa dell’Est, dove il settore ha rappresentato il riscatto di quei ceti subissati dai regimi comunisti (e anche per questo orientati al conservatorismo).

Invece piddini e noglobal hanno preferito rifarsi a un cosmopolitismo straccione che ormai non è più in grado di occultare l’emergenza civile, sociale e culturale rappresentata da queste “mobilitazioni di massa” 4.0. Ora, anche alla luce della situazione politica attuale, sembra sia giunto il momento della destra di “fare qualcosa”; è chiaro che, considerandone l’essenza, c’è da aspettarsi una certa materialità negli interventi: talvolta sarà necessario andare poco per il sottile, ponendo divieti o “alzando muri” (temo che Bergoglio dovrà abbozzare come al solito, visto che persino lui quando conviene si fa venire le crisi di “turismofobia“).

Non so se i tornelli veneziani rappresentino il punto di partenza di una (contro)rivoluzione, ma quanto pare era destino che proprio dalla Serenissima dovesse cominciare qualcosa di simile a un ripensamento. Se poi a veneziani l’iniziativa dovesse dispiacere, alle prossime elezioni potranno votare di conseguenza: in fondo una giunta sgradita la si può mandare via, mica è un centro sociale che resta vita natural durante in mezzo alle palle.

Dato che stiamo parlando di Venezia, vorrei chiamare in causa quel Logan Paul che anche gli italiani hanno imparato a conoscere quando tutti i giornali si sono messi a parlare dello “scandalo” legato a un suo video girato in Giappone, nel quale lo Youtuber americano si era imbattuto nel cadavere di un suicida e non aveva trovato meglio da fare che ridere e scherzare. In effetti il caso ha suscitato polemiche infinite, e qualcuno ha persino trovato il modo di interpretare quella mancanza di rispetto come una forma di razzismo (d’altronde, grazie alla sua egemonia nel campo dell’intrattenimento, il Giappone è uno di quei paesi “al di sopra del bene e del male”).

Bene, la questione è che nessuno (ma davvero nessuno) al contrario ebbe nulla da ridire quando il teppistello americano, pochi mesi prima della controversy, si comportò in maniera altrettanto irrispettosa a Venezia, tuffandosi in costume da bagno dal Ponte della Paglia. Il tizio in questione, giustamente definito “coglione” (assieme al fratello) dal patriota in cappotto rosso che compare alla fine del video, qualche giorno dopo (sempre alla fine di settembre 2017) andò a fare ancora il coglione (appunto) a Roma, dove venne fermato dalla polizia per aver fatto volare un drone attorno al Colosseo.

Non so se i suoi numerosissimi fan (che lo hanno adorato finché non ha toccato il Giappone) abbiano dedotto dai video che Venice sia più tourist-friendly di Rome, ma il fatto che soltanto le forze dell’ordine della Capitale siano state in grado di rimetterlo al suo posto indica che forse nel capoluogo veneto è davvero giunto il momento di un “giro di vite”.

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