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Sigonella. Bettino Craxi leader europeo e mediterraneo

(Hammamet, 1999)

Ultimamente si è tornato a parlare di Sigonella per diversi motivi. Il più gradevole riguarda le attività dello storico Andrea Spiri, che nell’ambito di una ricerca sulle relazioni tra Stati Uniti e socialisti italiani, ha scovato un rapporto confidenziale nel quale l’ambasciatore americano dell’epoca riconobbe a Craxi una “chiara vittoria politica” nella crisi di Sigonella (P. Mastrolilli, Craxi fu il vero vincitore nella crisi di Sigonella, “La Stampa”, 22 febbraio 2016).

Quello meno piacevole, invece, è che l’Italia ha appena concesso a droni americani di effettuare bombardamenti in Libia partendo dalla base di Sigonella, con l’obbligo di richiesta di autorizzazione specifica per ogni azione (una clausola invalidata dall’ampio ventaglio di “situazioni eccezionali” che costringerebbero gli americani a un intervento diretto). L’accordo rientra evidentemente nel progetto di ampliamento della stazione aereonavale siciliana, che prevede di farne la terza base al mondo per il controllo di tutti i droni statunitensi.

A questo proposito è opportuno ricordare brevemente quanto che accade nell’ottobre di oltre trent’anni fa. Cominciamo col dire che Sigonella non fu una semplice esibizione di forza, ma il coronamento di una strategia politica che riportò l’Italia al centro del Mediterraneo. Per illustrare la fitta rete che Craxi riuscì a intessere in tutta l’area, riprendiamo un passaggio del suo discorso alla conferenza dell’Internazionale Socialista del maggio 1977 (ora in Pace nel Mediterraneo, Marsilio, Venezia, 2006, p. 39):

«[Nella strategia del socialismo mediterraneo] si inquadra anche l’opportunità di avere contatti e incontri con i partiti socialisti anche quando essi sono ancora fuori dell’Internazionale, come ad esempio le formazioni socialiste della Grecia, i partiti della sinistra in Turchia, la Lega dei comunisti in Jugoslavia, il Neo-Destour della Tunisia, il partito di ispirazione socialista del Marocco. Una iniziativa concreta va presa in particolare anche verso le unioni socialiste arabe di Egitto, con il partito Baath di Siria, con il partito socialista del Libano, con il FLN di Algeria».

Qui Craxi non millanta nulla: queste alleanze dimostrarono tutta la loro consistenza proprio in occasione della “prova” di Sigonella, quando il leader socialista riuscì a isolare politicamente i terroristi con il sostegno di Arafat (che condannò immediatamente l’assalto alla turbonave italiana) e di Hafez al-Assad (che rifiutò l’attracco al porto di Tartus), contando sempre sul supporto incondizionato del governo egiziano. Si può dire che da quando il PSI prese a governare più autonomamente in Italia, tutto il Nord Africa cominciò a “craxizzarsi”. Come testimonia l’ammiraglio Fulvio Martini, direttore del SISMI nella meta degli anni ’80 (cit. in Enzo Catania, Bettino Craxi. Una storia tutta italiana, Boroli, Novara, 2003, p. 140):

«Craxi fu quello che diede maggior impulso al lavoro di intelligence. Lo fece perché in quel momento aveva una visione politica, diciamo, piuttosto vivace per l’area mediterranea ed europea e quindi si rendeva conto che una buona intelligence era un ottimo strumento quale fiancheggiatore di un’attiva politica estera. […] [La successione al leader tunisino Bourghiba] avvenne con un semplice trasferimento di poteri tranquillo e pacifico non a caso».

Sono cose che gli italiani oggi non riescono più nemmeno a concepire, abituati ormai all’idea che avere una politica estera significhi soltanto parlare in nome di una Europa che non esiste, svendere i “gioielli di famiglia” per far cassa o girare con l’aeroplanino per l’Africa. Con una sinistra che obbedisce a Berlino per meglio obbedire a Washington (o viceversa), e con una destra che sceglie le proprie alleanze in base a criteri che nulla hanno a che fare con la ragion di stato, abbiamo perso anche la “pratica” della solidarietà mediterranea.

È sintomatico che la figura di Craxi, fino a ieri associata in automatico con Tangentopoli, negli ultimi tempi venga giudicata e rivalutata proprio in base a quanto accadde a Sigonella: l’evento, grazie soprattutto all’influenza di un certo neoromanticismo internettiano, è stato trasfigurato nell’ultima thule del patriottismo latino. Col senno di poi, anche la macchia dell’assassinio di Klinghoffer deve essere addebitata ancora all’atteggiamento degli americani, che tennero all’oscuro il governo italiano dell’omicidio poiché, avendo appreso la notizia dal Mossad, non potevano renderla nota senza il consenso israeliano. Ad ogni modo, se Craxi avesse obbedito all’ambasciatore Maxwell Rabb (cioè a Reagan), ci sarebbero state centinaia di vittime.

Tale vicenda può quindi rappresentare un esempio positivo non solo di sangue freddo e razionalità politica, ma anche di virtù civiche e militari. Quando gli americani costrinsero il Boeing egiziano ad atterrare a Sigonella, attorno al velivolo si formarono tre cerchi concentrici: il primo composto da avieri (tutti giovanissimi), il secondo da militari della Delta Force armati fino ai denti e il terzo dai carabinieri affluiti nella base per circondare a loro volta i soldati americani. Sarebbe bastato uno starnuto per far precipitare la situazione, eppure non ci fu nemmeno quello. Fu come una disfida, e gli italiani l’ebbero vinta.

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