Smile I & II: quando una donna sorride tutti devono provare paura

Avevo già recensito due anni fa il primo capitolo di Smile, ma era ovvio ci sarebbe stato un sequel per il finale paraculo, nello stesso modo in cui questo “secondo episodio” preannuncia il terzo capitolo della saga: perciò copio-incollo la vecchia recensione e la integro con quella di Smile 2 (badate che vado giù tutto di spoilers per impedirvi di vedere questa merda).

Presentato nel 2022 come “horror dell’anno”, Smile è da considerarsi effettivamente tale nel momento in cui si usano come termini di paragone tutte le porcherie uscite in quella stagione (nonché nelle successive). Non è -chiaramente- un film che consiglierei: prima di tutto, perché è etichettato come “horror psicologico” e ciò significa esser pronti a domandarsi per un paio d’ore se le scene a cui si assiste siano “reali” (s’intende, naturalmente, a livello di celluloide) o se siano il frutto dell’immaginazione dei protagonisti.

Ad ogni modo, sempre ricordando che sarà uno spoileramento unico (come vi ho precisato un milione di volte, quindi non frignate nei commenti sennò censuro), la storia comincia in un ospedale psichiatrico, dove la figlia di Kevin Bacon (che in realtà assomiglia più alla madre Kyra Sedgwick -si vedano i tipici nei facciali “levantini”-, cosa che probabilmente le ha assicurato un eccellente pedigree hollywoodiano *occhiolino occhiolino*) è alle prese con i classici problemi dei film americani ambientati in clinica: Sto mignottone nun c’ha na cippa de assigurazzione ma noi o’ aiutamo o’ stesso perché c’avemo l’etica der capitalismo

Allora arriva la solita donna pazza (uno stereotipo che non rappresenta affatto le donne reali, dico bene?), la quale non si comporta come tale perché mestruata o donna, ma per un’antica maledizione che adesso ha passato alla figlia di Bacon, la quale è comunque psicologica e come tutti i sanitari americani “ama fare il medico”.

La Baconessa è però anche una donna sola con il tipico gatto e l’altrettanto caratteristico bicchiere di vino rosso in mano (nella femmina statunitense espressione di indipendenza, intelligenza e benessere), nonostante si sia risposata con un uomo di colore, che pur essendo nero, cioè buono, non le crede e pensa sia “una storia di fantasmi del cazzo” e che la sua sporca compagnia bianca abbia la stessa malattia mentale della sua sporca madre bianca (morta suicida anni prima).

Baconella cerca quindi conforto in famiglia, ma la sorella è una persona egoista perché più preoccupata del benessere del marito e dei figli piuttosto che di quello dell’umanità intera (cosa che invece tiene sveglia di notte la nostra crocerossina), e alla fine la “maledizione” la obbliga a regalare il suo gatto morto al nipote e a sclerare di fronte a tutti gli inviati per il compleanno di quest’ultimo.

Disperata, la Bacon è costretta a rivolgersi all’ex marito, uno sbirro che le passa informazioni confidenziali attraverso le quali è in grado di risalire alle radici della maledizione, cominciata niente di meno che per colpa di un… commercialista!

L’unica soluzione trovata dalla dottoressa è quella di isolarsi dal mondo per non passare la sfiga a un’altra persona (che si trasmette uccidendosi davanti a qualcuno sorridendo), pertanto ritorna nella casa, ormai diroccata, dove si è suicidata la madre e lì viene ossessionata da patetici effetti speciali, fino a quando non giunge in soccorso l’ex marito che assiste al suo suicidio e si becca la maledizione del “sorriso”.

Un finale più ovvio non si sarebbe potuto architettare e a questo punto la solfa è potenzialmente in grado di durare all’infinito proprio nella misura in cui ogni protagonista riuscirà a “risolvere” la maledizione (affrontando i propri demoni interiori, elaborando il lutto della madre suicida ecc…) senza però impedirle di possedere altre persone.

Veniamo a Smile 2: come dicevo, stessa solfa ma questa volta ambientata nello star system americano, visto che l’intero film è incentrato sul dramma di una immaginaria cantante pop (interpretata da tale Naomi Scott) che dopo aver superato il trauma della tossicodipendenza e di un incidente d’auto nel quale ha visto morire il suo fidanzato (a causa del suo solito sclero da fattona, una scena che andrebbe doppiata in napoletano o in veneto), viene “contagiata” dal suo spacciatore di fiducia, che a sua volta è stato “maledetto” dallo sbirro sopravvissuto al primo episodio (l’attore Kyle Gallner), che muore subito nelle prime scene perché obiettivamente troppo basso per avere una parte di rilievo in entrambi i film.

L’unica caratteristica del sequel ad avermi stupito è che è probabilmente migliore del predecessore, nella misura in cui dipinge in maniera più onesta la degenerazione della società americana e in particolare il degrado morale del genere femminile, che anche sul grande schermo come nella vita reale è uno dei principali “veicoli” attraverso cui i demoni agiscono nel mondo.

Tuttavia, anche alla luce del fatto che un mio lettore ha dovuto subirsi gli scleri della moglie per andare a vederselo al cinema, mi domando che senso abbia lasciare a casa il proprio “demone in gonnella” sclerante per finire in uno stanzone assieme a orde di normaloidi allo scopo di assistere esattamente agli stessi scleri in versione ciclopica.

Per giunta, essendo la protagonista una VIP (ma è una nuova moda horror, visto che anche Trap è incentrato su una popstar fittizia?) gli scleri sono ingigantiti dalle “licenze” concesse agli “artisti” (dunque non c’è nemmeno un uomo che la strattona o la picchia o almeno chiama la polizia).

Alla fine accade quel che dai primi istanti tutti -a parte i normaloidi col QI sotto le scarpe– hanno intuito sarebbe accaduto: la cantante sorride prima di suicidarsi durante un concerto, “infettando” migliaia di persone tra il pubblico e preparando così il terreno per uno Smile 3 in versione “pandemia”. Non chiamatemelo spoiler.

PS: Siccome il 2 è ambientato a New York, c’è abbondanza di ebrei (compare anche infermiere che invita la cantante a un inganno ma poi non si capisce se l’abbia tradita o se sia stato tutto un frutto della sua immaginazione). Ovviamente questi film non andrebbero visti sempre e comunque, ma se proprio non si può evitare si cerchi almeno di risparmiarsi la cifra -assurda- di 10 euro per sprecare due ore della propria vita (farlo gratis è più appagante, intendo buttare via il tempo). Durante la visione del film ho avuto più volte la suggestione di generare tramite l’intelligenza artificiale una versione, in un futuro molto prossimo, nella quale i protagonisti siano Boldi e De Sica, o almeno  Greggio e Iacchetti.

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3 thoughts on “Smile I & II: quando una donna sorride tutti devono provare paura

  1. Rispecchia praticamente la Fantasia di Potere del mutante progressista: l’immolazione nel virtuoso martirio suicida, che invece di portare salvezza diventa maligna infezione rivoluzionaria per contagio sociale.
    Liberandosi altresì femmineamente da ogni responsabilità per le conseguenze del gesto, in quanto già passati a miglior vita.

  2. Vorrei sottolineare che da appassionato di cinema – che come tale vi si reca quasi ogni settimana – non sto lì a ciurlare tanto nel manico sulla qualità artistica: scelgo ogni settimana il meno peggio tra i film che il trisale locale offre. E pago 4,50€ a proiezione.

    Oltre ciò, un film brutto visto sul grande schermo, è comunque più bello che un bel film visto nel 32 pollici primi anni 2000 di casa.

    Esagero, ma resto convinto che i film siani fatti – e lì vadano visti – per il cinema.

    Tutto ciò detto Smile 2 fa cagare. E anche l’1.

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