Socrate contro Diotima: hai hittato il wallo

Incredibile ma vero, sono riuscito a venire in possesso di un secondo dialogo platonico inedito, nel quale Socrate ripudia gli insegnamenti di Diotima sul cosiddetto “amore platonico” e sputa fatti cucinando, o cumciettando (ma come cazzo parlate?). Il dialogo si intitola Περὶ τοῦ Πλήττειν τὸν Τεῖχος [Sull’Hittare il Wallo] e protagonisti sono il giovane Callicle e quella puttana di Διοτίμα.

Socrate: Dimmi, o Callicle, non trovi curioso che i campi che rifiutano di essere coltivati nei mesi della primavera, difficilmente portino frutti in inverno?

Callicle: Non parlavi di donne, maestro, un istante fa?

Socrate: E ne parlo ancora. Ma talvolta è più facile dire la verità per immagini. Vedi, molte fanciulle ora passano i loro primi anni come le rondini, migrando di piacere in piacere, di festa in festa, senza piantare radici, senza cercare dimora né compagno.

Callicle: Perché dovrebbero? La giovinezza è un dono, e la libertà un diritto. Non è meglio assaporare la vita che consumarsi nel telaio come Penelope?

Socrate: Eppure la vita non attende. E la natura, benché clemente, non proroga i suoi doni all’infinito. Arriva un tempo, Callicle, in cui la donna si specchia e cerca nello sguardo altrui ciò che prima riceveva senza sforzo. Ma l’eco non risponde più come prima.

Callicle: Vuoi dire che perde bellezza?

Socrate: Dico che perde valore. Non perché l’anima muti, ma perché il corpo ha leggi che l’anima non governa. E quando, giunta a quell’età che non nominiamo per rispetto, cerca un compagno per formare un’oikia, trova che i pretendenti si sono fatti rari.

Callicle: Dunque l’hai detto anche tu, maestro: le donne “colpiscono il muro”.

Socrate: Non io. È il tempo che lo erige. Io non faccio che osservarne gli effetti. E mi chiedo se la libertà senza misura non sia come un banchetto senza spartizione: chi si serve per primo prende il meglio, chi attende troppo si trova davanti solo gli avanzi.

Callicle: Ma non è colpa loro, se vogliono vivere! Non sono forse libere come gli uomini?

Socrate: Libere sì, ma non eguali nei ritmi della natura. L’uomo semina anche in tardo autunno, ma la donna ha stagioni più brevi. E non riconoscerle è cecità.

Callicle: Ma non è ingiusto che il valore di una donna decresca col tempo?

Socrate: Non è questione di giustizia, ma di realtà. Anche i frutti più dolci marciscono se restano troppo a lungo sul ramo.

Callicle: Ma Socrate, tu parli come se la donna fosse solo un vaso da riempire prima che si incrini. Non è forse meglio che viva, che conosca se stessa, che scelga per sé?

Socrate: E perché no, Callicle? Non ho mai detto che la donna debba restare cieca dinanzi al mondo. Anzi, chi conosce se stesso, uomo o donna che sia, è più vicino alla sapienza. Ma dimmi: può conoscere davvero se stessa colei che fugge la verità del tempo e del corpo?

Callicle: Forse vuole conoscere prima il piacere, il mondo, le città, gli uomini…

Socrate: E allora non cerchi l’amore, ma la varietà. Non il marito, ma il miraggio. Non la famiglia, ma l’ebbrezza. È legittimo. Ma poi non si lamenti se, giunta l’ora di volersi fermare, il banchetto è finito.

Callicle: Parli come se il valore della donna fosse una moneta che si consuma con l’uso.

Socrate: Non lo dico io, lo dice la città. Guarda: quando una fanciulla ha venti anni, è cercata da tutti. Quando ne ha quaranta, chi la cerca? Solo chi non può scegliere. E ciò è triste, ma non meno vero.

Callicle: E l’uomo? Anche lui invecchia. Anche lui perde bellezza.

Socrate: Sì. Ma il tempo agisce diversamente sul maschio, poiché il suo valore agli occhi della città non dipende dal corpo, bensì dalle opere, dal nome, dalla posizione. Un uomo può esser padre a sessant’anni. Una donna, assai raramente.

Callicle: Questo non è giusto.

Socrate: Giusto o ingiusto, è come dire che il fuoco bruci: non è colpa del fuoco, ma del dito che lo tocca senza rispetto. Il saggio non si indigna della natura: la conosce, e agisce nel suo tempo.

Callicle: Dunque non c’è speranza per chi desidera tutto: libertà e poi famiglia, piacere e poi stabilità?

Socrate: Chi vuole gustare ogni frutto del giardino, prima o poi troverà l’albero spoglio. Meglio, forse, scegliere pochi frutti, ma nel tempo giusto.

Callicle: E allora chi colpisce il muro… non viene punito subito, ma in ritardo?

Socrate: Colpire il muro non è una colpa. È solo l’incontro tra il desiderio e il limite. E il sapiente, uomo o donna che sia, vive in modo da riconoscere il muro… prima che lo riconosca il muro.

(Entra Diotima, con passo lento, avvolta in un mantello, come un’oracolo)

Diotima: O uomini d’Atene, quanto è stolta la vostra disputa! Parlate del tempo e del corpo come pastori parlano delle pecore. Ma l’amore vero, come io ho insegnato a Socrate, è figlio di Poros e Penía: abbondanza e mancanza insieme. La donna che ha atteso, ha viaggiato, ha conosciuto… è più degna d’amore, non meno.

Socrate: Eppure, o Diotima, il mercato non pare ascoltare le tue genealogie. L’amore che tu canti ha lasciato molte delle tue figlie con tre gatti e un’anfora vuota.

Diotima: Il tuo sarcasmo non ti si addice, Socrate! L’amore non si compra come l’olio al mercato!

Socrate: Eppure, cara maestra, io l’ho visto: donne che per trent’anni hanno onorato il culto del viaggio e del vino, che hanno scritto epigrammi su papiri color porpora, e ora siedono sole nei cortili, sperando in uno sguardo… ma trovano solo il gatto che sbadiglia.

Callicle: Ma maestro, non eri tu che dicevi che il valore è nell’anima?

Socrate: Sì. Ma dimentichi, caro Callicle, che l’anima, come il corpo, ha anch’essa le sue rughe. E a forza di cercare “esperienze”, molte hanno lasciato dietro non solo la giovinezza… ma anche la grazia.

(Diotima si alza, offesa)

Diotima: Tu mi tradisci, Socrate. Io ti parlai dell’amore celeste!

Socrate: E io ti ascoltai, sì. Ma poi vidi l’amore terreno, e il terreno era pietra. (Sorridendo con falsa pietà) Perdonami, Diotima, se ho imparato anche da altri… come il pastore che ascolta l’oracolo, ma guarda il cielo per sapere se pioverà.

(Diotima esce, furente. Silenzio. Callicle è confuso)

Callicle: Dunque… che rimane dell’amore?

Socrate: Una bella parola. Ma come il vino, se bevuto troppo tardi, sa solo d’aceto.

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5 thoughts on “Socrate contro Diotima: hai hittato il wallo

    1. Ci viene il dubbio di aver fatto davvero quel che tu attribuisci a questa ipotetica donna: di aver passato tutta la giovinezza passando non da un corpo all’altro ma da un’opinione all’altra, giocandoci, prendendo ogni volta solo ciò che ci piaceva o interessava senza mai impossessarci di una conoscenza, o lasciandocene impossessare: e ora, giunti all’età in cui il cervello perde di elasticità come fa anche il seno di una donna, ci accorgiamo di non sapere nulla, di non aver creato nulla di identificabile, nessuna idea o teoria, nemmeno una storia coerente, solo un cumulo di sensazioni, e ci sembra anche che non solo la nostra mente abbia perso la capacità di giocare, ma che le sia passata anche la voglia, come questa donna che secondo te ha perso non solo la possibilità pratica di giocare con i corpi, ma anche la capacità di amare. Anche nella mente si formano cicatrici, come nel corpo.

      1. Ma se stavate per risolvere il giallo di Garlasco! Comunque sono considerazioni ingiuste non tanto per chi le esprime, quanto per la Fondazione stessa..

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