Socrate e il boomerone: frammento del Περὶ Ἐργίας, dialogo platonico inedito appena rinvenuto

Un frammento del Perì Ergías, dialogo platonico inedito in cui Socrate discute con Gerasandro (Γεράσανδρος), letteralmente il boomerone dell’Antica Grecia.

Socrate: Ti vedo, Gerasandro, camminare per l’agorà con lo sguardo torvo e il labbro contratto, come chi ha assistito a un’ingiustizia ed è pronto a denunciarla. Di’ dunque: quale dolore ti affligge?

Gerasandro: Dolore? Non il mio, Socrate, ma quello della città. È che ormai la gioventù ha smarrito ogni senso del dovere. Non si vuole più lavorare, nessuno tiene più in stima il sacrificio.

Socrate: Davvero? E che cosa pretendono questi giovani, secondo te?

Gerasandro: Pretendono di essere pagati più di quanto valgono! Dicono che il salario non basta, ma non vedono che la vita è dura per tutti. Ai miei tempi si lavorava senza fiatare.

Socrate: E bastava quel salario per mantenere una casa, una famiglia?

Gerasandro: Bastava, sì. Perché la gente si accontentava. Le donne erano più semplici, non avevano tutte queste esigenze moderne.

Socrate: Dunque dici che le donne oggi hanno esigenze maggiori?

Gerasandro: Certamente. Ma non fraintendermi, Socrate! Io sono un fermo difensore dei diritti delle donne. Anzi, ti dirò: trovo vergognoso che ancora oggi alcune di esse non vengano trattate alla pari. È giusto che possano lavorare, studiare, diventare quello che vogliono!

Socrate: Eppure hai detto che un tempo si accontentavano. Ti parve giusto, allora, quel tempo?

Gerasandro: Era un altro tempo. Non si può giudicare il passato coi criteri d’oggi. E poi, la donna moderna è forte, consapevole. Io la rispetto profondamente.

Socrate: Rispetti dunque le donne moderne?

Gerasandro: Più di ogni altra cosa. Credo nella parità.

Socrate: E se una donna, oggi, non volesse dipendere dal salario di un uomo, ma desiderasse uno proprio, che basti a vivere con dignità, saresti d’accordo?

Gerasandro: Naturalmente. Anzi, lo pretendo! La donna deve avere autonomia economica.

Socrate: E un giovane uomo che chieda lo stesso, e che rifiuti un salario insufficiente, è dunque…?

Gerasandro (Si fa confuso): Eh… è diverso. I giovani si lamentano troppo. Vogliono tutto e subito. Nessuno insegna loro la virtù della pazienza.

Socrate: Dunque se una donna vuole tutto e subito, è un atto di emancipazione. Se un giovane lo vuole, è vizio?

Gerasandro: No, ma… vedi, le donne hanno sofferto tanto, è giusto che oggi abbiano voce. Io sono dalla loro parte. Non mi importa cosa dicono i retrogradi.

Socrate: Sei dalla loro parte, dunque. Ma non ti pare, o Gerasandro, che ci siano più parti che una? E che forse tu, cercando di essere giusto con l’una, sia stato cieco con l’altra?

Gerasandro: Io? Ma ho sempre detto che serve equilibrio.

Socrate: Forse sì. Ma l’equilibrio, Gerasandro, non sta nel dire ogni cosa che suona bene agli orecchi del popolo, bensì nel giudicare con misura. Ora, se il lavoro non basta né all’uomo né alla donna per vivere, non ti pare che la colpa sia del salario e non del lavoratore?

Gerasandro: Forse… ma un po’ di spirito di sacrificio non guasterebbe.

Socrate: A chi lo chiedi, però? Solo ai giovani?

Gerasandro: Sì, solo ai giovani, anche se mi intimi di chiederlo anche alle donne per coerenza.

Socrate: Bene, Gerasandro, vedo che sul punto stai forse tornando a ragione. Riprendiamo allora quello che sostenevi poc’anzi. Hai detto che i giovani d’oggi mancano di spirito di sacrificio. Ma chi dunque, a tuo giudizio, ai nostri giorni lavora con maggior zelo?

Gerasandro: Gli stranieri! Guarda gli stranieri, o Socrate! Vengono nella nostra città, e non si lamentano. Si accontentano di poco, lavorano sodo, e fanno i mestieri che i nostri giovani disdegnano.

Socrate: Dici bene. Non si lamentano. E tu, li ammiri per questo?

Gerasandro: Come non potrei? Vedi, non pretendono case grandi, né pane fine né vino dolce. Mangiano poco, dormono per terra, e il giorno seguente tornano al lavoro come se nulla fosse. Sono instancabili.

Socrate: Pare dunque che abbiano un animo assai forte.

Gerasandro: Oh, no! Non è questione d’animo. È nella loro natura. Alcuni popoli sono nati per faticare, come certi animali da soma. Hanno corpo robusto e mente semplice. Per questo non protestano.

Socrate: Dunque tu dici che non si lamentano perché sono… inferiori?

Gerasandro: Non proprio… insomma… non sono come noi. Sono più semplici, meno inclini alla filosofia e al pensiero. In questo li invidio.

Socrate: Li invidi perché non pensano?

Gerasandro: Invidio la loro capacità di sopportare, di non alzare la testa. Oggi chiunque si crede filosofo, o artista, e disdegna il lavoro vero.

Socrate: Ma se un giovane ateniese sopportasse come uno straniero, lo chiameresti virtuoso?

Gerasandro: Certo. Se sapesse accontentarsi e non fare tante storie…

Socrate: E allora non sono forse virtuosi anche questi stranieri?

Gerasandro: Uhm… sì… in un certo senso. Ma vedi, non è virtù consapevole. È la loro condizione naturale. Come il cane da pastore che obbedisce, o l’asino che porta il carico.

Socrate: Ma tu hai detto prima che li ammiri. Ammiri dunque chi è simile a un asino?

Gerasandro (Con tono smarrito): Non volevo dire questo… intendevo che sono… utili. Sì, utili.

Socrate: E gli uomini utili sono inferiori, o superiori?

Gerasandro: Dipende. Se sono utili ma non pretendono nulla, allora sono ottimi. Ma non sono come noi.

Socrate: Chi è “noi”, Gerasandro?

Gerasandro: Noi che siamo nati in questa città, che abbiamo avuto maestri, cultura, valori.

Socrate: E se uno straniero imparasse la lingua, i valori, e riflettesse sulla giustizia… diverrebbe come te?

Gerasandro (Sospira): Forse. Ma questo non accade spesso.

Socrate: Allora, se questi uomini lavorano più dei nostri, sopportano più fatiche, e pretendono meno, non sono essi migliori sotto molti aspetti?

Gerasandro: Non saprei dirlo. Ma so che se non ci fossero, molte cose non funzionerebbero. Sono indispensabili.

Socrate: Indispensabili, eppure inferiori? Ti parrebbe giusto dire lo stesso di una madre che nutre suo figlio?

Gerasandro: Ma lei lo fa per amore!

Socrate: E costoro, per necessità. Ma il bisogno non cancella la dignità, o sì? Mi dicesti, Gerasandro, che questi stranieri lavorano più dei nostri, si accontentano di poco, e non si lamentano mai. Allora dimmi: queste qualità le hanno per scelta, o per necessità?

Gerasandro: Ma che scelta vuoi che abbiano? Se vogliono restare in città, devono lavorare. Non hanno terre, né famiglia, né diritti. Solo il lavoro li tiene qui.

Socrate: Dunque non lavorano per virtù, ma per bisogno?

Gerasandro: Certo. Ma vedi, il risultato è lo stesso.

Socrate: E se un giorno non volessero più lavorare in tali condizioni? Se pretendessero un salario più alto, o un’esistenza meno faticosa?

Gerasandro: Allora andrebbero sostituiti. Ci sono sempre nuovi stranieri pronti a prendere il loro posto. Il mondo è pieno di braccia.

Gerasandro: Braccia, dici. Ma non anche teste?

Gerasandro: Che vuoi dire?

Socrate: Che forse coloro che oggi sopportano, un giorno potrebbero pensare, sentire, desiderare. E allora non si accontenterebbero più.

Gerasandro: In tal caso non sarebbero più utili. Servono uomini semplici, che non si pongano troppe domande.

Socrate: E se ogni uomo che lavora iniziasse a porsi domande? Che accadrebbe?

Gerasandro: Accadrebbe il caos. Il sistema si regge su chi accetta il proprio posto.

Socrate: E chi assegna questi “posti”, Gerasandro? Gli dèi?

Gerasandro: No… ma la tradizione, la necessità, l’ordine delle cose.

Socrate: E se quell’ordine fosse costruito sul bisogno degli altri di tacere e piegarsi, basterebbe questo a chiamarlo giusto?

Gerasandro (Si agita): Socrate, tu filosofeggi troppo. Senza il lavoro degli stranieri, la città non starebbe in piedi.

Socrate: Ma se ogni straniero, schiavo o meteco, fosse sostituibile, come dici, e venisse spremuto finché obbedisce e poi scartato, allora non è forse la città stessa che poggia su fondamenta instabili?

Gerasandro: E allora che dovremmo fare? Dargli il potere? Trattarli come cittadini?

Socrate: Io non do risposte, Gerasandro. Ti mostro solo che chi elogia troppo ciò che sfrutta, finirà per temerlo. E chi costruisce la propria pace sulla fatica silenziosa degli altri, vive in una casa senza fondamenta.

Gerasandro (Si gratta la testa): Non so più cosa pensare.

Socrate: Forse, o Gerasandro, è perché hai detto molte cose senza mai chiederti se una contraddice l’altra. E così, come quei servi che portano molte anfore sulle spalle ma non sanno cosa contengono, anche tu porti molte opinioni senza intuirne il senso.

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4 thoughts on “Socrate e il boomerone: frammento del Περὶ Ἐργίας, dialogo platonico inedito appena rinvenuto

  1. Forse questo Gerasandro è il Gerasandro figlio di Hetairos, che nei frammenti degli attidografi risulta aver ricevuto il beneficio di alloggiare nel Pritaneo a 40 anni e lo conservò fino alla morte a 90.

    1. Concordo con Voi, egregio Blossio di Cuma. Quanto piacere leggere che questo illuminante dialogo scovato dal Signor Totalitarismo sia stato letto da uno stoico egualitarista come Voi.
      In bocca al lupo per il suo soggiorno a Pergamo in compagnia del prode Aristonico!

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