Grazie all’affaire DCLeaks del giugno 2016 si è scoperto che prendere soldi da George Soros non è poi così difficile: a quanto pare basta presentare un progetto e farselo finanziare dalla Open Society. Abbiamo visto, per esempio, che nel nostro Paese a beneficiare dei generosi contributi del filantropo, come nota il sito “Osservatorio Gender“, sono stati una organizzazione non profit (che si è vista assegnare quasi cinquantamila dollari per una campagna di promozione dei diritti dei rom) e la più importante associazione gay italiana (quasi centomila dollari per sostenere le campagne elettorali dei candidati omosessuali durante le europee del 2014).
Anche nei confronti della Grecia il benefattore è parso particolarmente attivo su diversi fronti: oltre ai 26mila dollari per l’organizzazione “Athens Pride”, nel 2013 ha fondato Solidarity Now (per l’assistenza ai migranti sul territorio ellenico) e attraverso le sue società ha influenzato pesantemente l’informazione nel Paese dopo la guerra in Ucraina, favorendo la propaganda anti-russa nei media mainstream greci.
Sembra quindi che i temi attualmente favoriti dal magnate ungherese-americano siano il gay pride, l’immigrazione e il nazionalismo ucraino. Su quest’ultimo punto, alcuni documenti trafugati dimostrerebbero la volontà di Soros di organizzare “viaggi premio” a Kiev per quegli “inviati speciali” disposti a farsi dettare gli articoli da cima a fondo, usando come “firewall” (sic) una ONG ucraina da egli stesso creata.
Sull’immigrazione, a parte i faraonici progetti per un welfare parallelo riservato solo ai rifugiati, si ricorda l’infinita querelle con Viktor Orbán, che Soros ha sempre tenuto a presentare quasi all’insegna dell’Aiutiamoli a casa loro («Il nostro piano manterrebbe i profughi con diritto di ammissione nelle località dove si trovano e fornirebbe aiuti in quei Paesi», cfr.) ma che ha comunque portato alla “cacciata” del magnate compassionevole dall’Ungheria (con giubilo degli israeliani).
Un caso più recente è quello rappresentato dal nuovo premier spagnolo Pedro Sánchez, acclamato come ultimo salvatore dell’Unione (perché ha fatto finta di “aprire i porti”). Segnaliamo a tal proposito due articoli del portale “OkDiario” che, nonostante indulga spesso al “complottismo” (per esempio rivelando fantomatici contatti tra il leader catalano Puigdemont e il Mossad), sono ugualmente degni di nota: qui si racconta dell’incontro tra i due alla Moncloa e qui invece della collaborazione di Sánchez al National Democratic Institute (sempre finanziato dalla Open Society).
Oltre al fronte europeo pro-migranti, George Soros ha aperto anche quello americano anti-Trump: il suo marchio di fabbrica è presente sia sulle periodiche manifestazioni femministe sia sulle iniziative contro il “populismo online“.
Eccetera, eccetera. Non è importante dilungarsi troppo sul fatto che George Soros abbia le mani in pasta dappertutto, quanto su una dimensione finora sottovalutata della sua instancabile opera di proselitismo: quella religiosa. Come rivela un articolo de “La Bussola Quotidiana” (Se la Chiesa cade nelle mani di Soros, 28 agosto 2016), anch’esso ispirato dai DCLeaks, l’imprenditore avrebbe rimpolpato le finanze di una vera e propria “rete” di cattolici americani (della quale fa parte la PICO) per «spostare le priorità della Chiesa dai temi vita e famiglia a quelli della giustizia sociale». Un sito cattolico statunitense (“The Remnant Newspaper”) riporta l’elenco di tutti i momenti-chiave del pontificato bergogliano scrupolosamente registrati nella “agenda” della Open Society (The Soros/Francis Alliance Confirmed, 19 settembre 2016), parlando apertamente di una occupazione sorosiana del Vaticano in particolare riguardo l’immigrazione e ambientalismo (su omosessualità e Ucraina a quanto pare si è forse deciso di mantenere un profilo più basso?).
Ora, la questione è più intricata di quello che può sembrare, perché se finora l’attivismo di Soros si era limitato all’ambito politico, adesso che la sua attenzione si è spostata alla teologia, la situazione rischia di precipitare. Soprattutto perché, fondamentalmente, Soros si crede Dio. Così infatti scriveva già nel 1987 nel volume The Alchemy of Finance:
«Per dirla in modo brutale, io mi sono sempre visto come una specie di dio o un riformatore economico alla Keynes, o, ancora meglio, come un Einstein. Il mio senso della realtà era abbastanza forte da farmi capire che queste aspettative fossero eccessive, perciò le tenni nascoste come peccati vergognosi. Tale atteggiamento rappresentò una fonte di infelicità per gran parte della mia vita. Mentre mi facevo strada nel mondo, la realtà si avvicinava sempre più alla mia fantasia e così potei finalmente confessare il mio segreto, perlomeno a me stesso. Inutile dire che ora mi sento molto più felice per averlo fatto».
Il messianismo è una componente tanto fondamentale quanto trascurata nell’agire di Soros, e che potrebbe spiegare anche dal punto di vista meramente psicologico il suo fervore: probabilmente sognava da tempo di diventare un Deus ex machina non solo in senso figurato.
A questo punto sorge il sospetto che le sue laute elargizioni siano dietro anche tutto il complottismo che lo dipinge come l’eminenza grigia dell’evo attuale; la tentazione conseguente diventa perciò quella di presentargli un progetto atto a farlo apparire come finanziatore di qualsiasi cosa sul pianeta terra (e dunque anche di questo blog).