Lo scrittore americano (conosciuto anche come “personalità di internet”) Paul Skallas ha avuto un’intuizione notevole (alla quale purtroppo non ha ancora fornito basi teoricamente solide): a suo dire la maggior parte delle relazioni moderne rappresenterebbero delle Calypso relationships, dal nome della divinità che nel poema omerico offre a Ulisse l’immortalità, oltre che un’esistenza all’insegna dei piaceri e dello svago, per convincerlo a rimanere con lei, ma che alla fine viene inevitabilmente rifiutata e abbandonata.
Lo spunto per tale riflessione proviene dal video di una coppia di giovani americani che si presentano come dinks, dall’acronimo D.I.N.K. (Double/Dual Income, No Kids, “doppio stipendio, niente figli”), i quali magnificano in maniera stucchevole il loro stile di vita che gli consentirebbe di “andare fuori a cena ogni sera, non chiedere aiuto ai propri genitori né dover cercare qualcuno che badi ai loro figli se vogliono uscire da soli, andare al supermercato e comprare tutte le merendine che loro -e non i loro bambini- desiderano”, e altre amenità.
I like to call these arrangements “Calypso relationships”
In Homer’s Odyssey, Calypso detained Odysseus for seven years. She promised Odysseus immortality if he would stay with her and she let him live on an island with bountiful pleasures. Food, sex, recreation, no toil or… https://t.co/7O86vSd9Rl
— LindyMan (@PaulSkallas) December 4, 2023
Sempre secondo Skallas, le relazioni calipsiche fanno parte di un problema demografico molto più grande, che affronta in un articolo di pochi mesi fa a cui rimanda (We Can’t Stop Population Decline, 8 agosto 2023). In esso l’Autore analizza le ipotesi riguardante il declino demografico delle nazioni sviluppate, scartando sia le motivazioni economiche (in media gli abitanti del cosiddetto “Primo Mondo” sono molto più ricchi di quanto non siano mai stati in passato, inoltre molte nazioni come Polonia, Ungheria, Finlandia e Svezia, offrono incentivi fiscali alla natalità senza mai sortire gli effetti sperati) sia le motivazioni culturali (in nazioni dove la popolazione è ancora molto religiosa, come la Polonia e la Russia ma anche il Bangladesh e l’Iran, la fertilità è in calo da decenni).
Skallas non riesce a dare una spiegazione, nemmeno in termini di corsi e ricorsi storici, ma giunge alla conclusione che il calo demografico sembra ormai un fenomeno cronico destinato a segnare i tempi che verranno; da qui, egli prova a immaginare come tale tendenza influenzerà sul tessuto sociale, con conseguenze che si possono già osservare, almeno negli Stati Uniti, dal punto di vista urbanistico:
«[Nelle città americane] anche il settore immobiliare si sta adattando. Le imprese edili non costruiscono più edifici per famiglie. La domanda di monolocali e appartamenti con una camera da letto supera di gran lunga la domanda di appartamenti con tre o più camere da letto. In tutte le città in cui ho vissuto, la maggior parte delle famiglie che affittano appartamenti sembrano appartenere a comunità di immigrati che hanno maggiori probabilità di creare strutture familiari tradizionali. A parte questo, la maggior parte delle persone che affittano appartamenti tendono ad essere single o senza figli. In effetti raramente si vede una famiglia affittare un appartamento di nuova costruzione, dal momento che ormai sono tutti costruiti per single e coinquilini».
Più che a livello urbanistico, gli italiani possono notare gli effetti immediati del loro inverno demografico in ambito scolastico (ormai classi in cui il 90% di alunni sono di origine straniera non fanno più notizia).
Per quanto riguarda invece le ragioni di tale catastrofe (anche se naturalmente c’è chi non la considera come tale, e questo è parte del problema), i sostenitori della denatalità come espressione di progresso paradossalmente ne offrono a decine: contraccezione, aborto, ingresso delle donne nel mondo del lavoro, scolarizzazione di massa, diminuzione della religiosità e “tolleranza per strutture familiari e stili di vita diversi” (cfr. l’Economist).
Definire tutto questo insieme di elementi come “dominio di Calipso” può in un certo senso connotare in termini fintamente neutrali la questione e farla risultare intrinsecamente un problema, costringendo anche i sostenitori della denatalità come valore a venire allo scoperto e a subire le conseguenze delle proprie scelte.
Sfido il buon Mister a scrivere un articolo sulla storia culturale della denatalità in Italia. È forse un paradosso (che su due piedi posso spiegarmi solo con l’immensa vergogna che proverebbe una comunità nello sposare per così tanti anni il suo suicidio materiale e valoriale) che il movimento culturale più di successo in questo paese si sia limitato a epifenomeni per quanto importanti come pubblicità, riviste femminili (ma possiamo anche metterci quelle maschili e il loro ideale dello schiantafregne palestrato vestito Versace, oggettivamente speculare al modello femminile di Vanity Fair e Internazionale) e strali più o meno istituzionali. Magari esagero a volerlo per forza assimilare alle altre correnti culturali con riviste, convegni e palle varie; magari il suo successo a tutto campo si spiega anche dall’aver conquistato e permeato spazi inconsueti rispetto a quelli che di solito immaginiamo come terreno di conquista per le avanguardie.