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Ludwig von Mises e la teologia della liberalizzazione

«L’attesa di un ordine nuovo, stabilito da Dio stesso e prossimo a venire, e la concentrazione di ogni azione e di tutti i pensieri sull’imminente avvento del Regno di Dio rendono l’insegnamento di Gesù completamente negativo. Egli rifiuta tutto l’esistente senza offrire nulla in sua sostituzione. Arriva a pretendere lo scioglimento di tutti i legami sociali esistenti. […] Gesù è in grado di tollerare le leggi terrene dell’Impero romano e le prescrizioni della legge ebraica perché è indifferente ad esse, disprezzandole come cose importanti solo nell’ambito di ristretti limiti temporali, e non perché egli riconosca il loro valore. Il suo zelo nel distruggere i legami sociali non conosce limiti. […] Ai seguaci di questa dottrina non è richiesto nessun sistema etico né alcuna particolare condotta in un qualche senso positivo. […] Il più chiaro parallelo moderno all’atteggiamento di completa negazione tipico del cristianesimo primitivo è il bolscevismo. Anche i bolscevichi desiderano distruggere tutto ciò che esiste, perché lo considerano irrimediabilmente cattivo. Essi hanno però in mente idee, per quanto indefinite e contraddittorie, riguardo al futuro ordine sociale. […] L’insegnamento di Gesù, sotto questo rispetto, è invece semplicemente negazione.
Gesù non era un riformatore sociale. I suoi insegnamenti non aveva nessuna applicazione morale alla vita terrena. […] È proprio questo che ha permesso al cristianesimo di fare la sua trionfale avanzata nel mondo. Essendo neutrale rispetto a ogni sistema sociale, esso è stato in grado di attraversare i secoli senza essere distrutto dalle tremende rivoluzioni sociali che hanno avuto luogo. Solo per questa ragione esso poté diventare la religione degli imperatori romani e degli imprenditori anglosassoni, dei negri africani e dei teutoni europei, dei signori feudali del Medioevo e dei moderni operai dell’industria. Ogni epoca e ogni partito ha potuto attingere dal cristianesimo ciò che desiderava, perché esso non contiene nulla che lo leghi a un determinato sistema sociale».

«I Vangeli […] da una parte sono indifferenti a tutte le questioni sociali, dall’altra sono pieni di risentimento contro la proprietà e contro tutti i proprietari. È così che la dottrina cristiana, una volta separata dal contesto in cui Cristo predicava –l’attesa dell’imminente Regno di Dio–, può essere estremamente distruttiva. Mai e in nessun luogo un sistema di etica sociale, un sistema cioè di norme che regolino la cooperazione sociale, può essere costruito su una dottrina che proibisce qualunque preoccupazione per il sostentamento quotidiano e il lavoro e che, al medesimo tempo, esprime un feroce risentimento contro i ricchi, predica l’odio verso la famiglia e difende la castrazione volontaria.
Le conquiste culturali della Chiesa nei secoli del suo sviluppo sono opera della Chiesa, non del cristianesimo. […] L’etica sociale di Gesù non ha contribuito affatto a tale sviluppo. La conquista della Chiesa consiste in questo caso nell’aver reso questa morale inoffensiva, ma sempre solo per un limitato periodo di tempo. […]
Dalle parole dei Vangeli non può venire mai desunta un’etica sociale applicabile alla vita terrena. […] La Chiesa occidentale ha sempre incorporato nei proprio insegnamento quell’etica sociale che corrispondeva meglio ai suoi interessi del momento e che meglio favoriva la sua posizione nello Stato e nella società.
[…] Ora, però, anche se è destinato a fallire ogni tentativo di costruire sui Vangeli una specifica etica sociale cristiana, non potrebbe essere possibile armonizzare le dottrine cristiane con un’etica sociale che promuova, invece di distruggerla, la vita sociale e utilizzare così le grandi forze del cristianesimo al servizio della civiltà?».

Bisogna dar atto a Ludwig von Mises in queste due pagine di Socialismo (1950, pp. 460-67 nella classica edizione Rusconi) di aver espresso in maniera cristallina la propria “professione di fede” (ogni equivoco, in tal caso, non può che nascere dall’ipocrisia degli esegeti): il messaggio dei Vangeli? Negativo e sterile, incapace di generare un qualsiasi sistema etico (addirittura distruttivo e nefasto qualora venisse realmente osservato); la missione della Chiesa? Mera difesa di interessi corporativi, a scapito della civiltà e del progresso.

Il barone liberista sembra proporre come alternativa alla “teologia della liberazione” , una “teologia della liberalizzazione”, riassumibile in questi termini: ora che la scuola austriaca ha scoperto la formula perfetta del buongoverno, la Chiesa cattolica, per compensare duemila anni di negazione (arginata solo dagli interessi del momento, che hanno accidentalmente prodotto risultati positivi), dovrebbe finalmente mettersi al servizio della civiltà, cioè del libero mercato.

Eppure lo stesso Mises è consapevole che nessuna istituzione intenzionata a seguire esclusivamente i propri “interessi del momento” potrebbe sopravvivere nei secoli: quindi, per non cadere in contraddizione, deve giustificare in qualche modo il “successo” della Chiesa (magari evitando di razionalizzare l’effetto della grazia divina nella storia…).

Da un lato infatti l’economista evidenzia la pochezza dell’idea comunista, rinfacciando a Marx (e indirettamente a Hegel) di non aver mai formulato ipotesi concrete sull’ordine sociale che seguirà al crollo del capitalismo (è nota la ridicola descrizione contenuta ne L’ideologia tedesca: con la fine dell’alienazione, l’uomo potrà «andare a caccia la mattina pescare al pomeriggio, allevare il bestiame la sera, criticare dopo cena, così come gli viene voglia»); dall’altro tuttavia, per attaccare il cristianesimo, conferisce persino ai bolscevichi «idee, per quanto indefinite e contraddittorie, riguardo al futuro ordine sociale» (almeno si fossero limitati a pescare e criticare…).

Questo atteggiamento paradossale nasce da una certa impulsività nell’affrontare la “questione cristiana”: se è necessario dimostrare che il cristianesimo è più “mitologico” del marxismo, all’occorrenza saltano fuori le “idee” per il futuro della società socialista.

Alla luce di queste considerazioni, l’offerta finale del Mises alla Chiesa assomiglia un po’ alla tentazione di Gesù nel deserto: se davvero volete mettere in pratica gli insegnamenti di Cristo, allora aiutateci a trasformare le pietre in pane.

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