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Terrifier 3: l’ultima ebreata di Natale

Terrifier è un franchise (così lo definiscono gli americani) basato sullo stereotipo del “pagliaccio assassino” (un mito dell’immaginario yankee tristemente ispirato a un vero serial killer, John Wayne Gacy), attraverso il quale vengono somministrati al grande pubblico gli squartamenti più demenziali e disgustosi al minimo di budget per fare il pieno di incassi tramite il sensazionalismo.

La qualità dei tre capitoli di cui finora è composta questa saga horror è talmente mediocre sia a livello artistico che di contenuti da causare nei suoi appassionati un abbassamento effettivo del quoziente intellettivo di almeno 5 punti ad ogni episodio. Non ho mai perso tempo a recensire le prime due parti dell’attuale trilogia (ma andrà avanti all’infinito, o fino a quando non salterà fuori un serial killer che fa fuori i registi di film sui serial killer) perché sarebbe fin troppo noioso fare un elenco delle inconsistenze a livello di trama, segnalare le numerose sviste del regista (i famigerati blooper, anche in materia di abbigliamento e armamentario) nonché soffermarsi sulla scarsissima accuratezza degli “effetti” (che non meritano nemmeno l’appellativo di “speciali”).

Del capitolo terzo tuttavia bisogna parlarne perché i giornali italiani, dalla stampa di “destra” (che scrive letteralmente “è un film per duri!”) a quella di “sinistra” (che invece va in brodo di giuggiole per un demone che squarta i bambini a Natale) sono tutti galvanizzati da questa stronzata megagalattica che sarebbe obiettivamente dovuta restare nell’ambito dell’underground e costringere il regista (Damien Leone, che non sarà ebreo ma è sicuramente un terrone) a suicidarsi per il crack finanziario o rivolgersi di nuovo a un altro tipo di crack, piuttosto che trasformarla in una macchina da soldi.

Per farla breve, in questa porcheria blasfema troverete dei bambini fatti a pezzi la notte di Natale dal clown travestito da Santa Claus, una testa mozzata che divora un cadavere, una tizia sfigurata che si masturba con dei cocci di vetro mentre il protagonista sevizia un altro malcapitato, un attentato terroristico in un centro commerciale che fa saltare in aria altri bambini, scene di sesso esplicito, una rappresentazione blasfema di Gesù Cristo e, dulcis in fundo, l’eroina del film che dovrebbe interpretare un Salvatore fallito, con tanto di corona di spine e stigmate sulle mani provocate a colpi di martello dal killer.

Questo ciarpame andrebbe censurato per semplice buon gusto (peraltro lo definisco “ebreata” per lo spirito, in realtà qui di ebrei ci sono a malapena i finanziatori): e con “censurare” non intendo sostenere che la pellicola andrebbe bruciata e il regista condotto in un sotterraneo e giustiziato da una squadraccia della morte (in realtà sì, ma faccio sempre finta di essere liberal-democratico); vorrei semplicemente che non venisse pompata a mille come se fosse degna di esser vista da un’orda di ragazzini decerebrati che non hanno alcun modo di comprendere la “sottile e dissacrante messa in gioco della tradizionale simbologia biblica di cui è intrisa la cultura occidentale” (i produttori stessi che si piccano di essere degli pseudo-intellettuali).

Ciò che più mi dà sui nervi è l’assoluta mancanza di ritegno dell’NPC di turno, che per esempio su “Fanpage” scrive che:

«Il ritorno dello splatter sul palcoscenico che conta […] ci suggerisce che Terrifier 3 che fa a pezzi il Natale non è esattamente la risposta a Donald Trump, a Marine Le Pen, a Viktor Orbán e a Giorgia Meloni, ma quasi. La brutalità di Art il Clown è certamente uno sfogo, un piccolo simbolo contro un sistema di potere che viene percepito come oppressivo e, in certi casi, repressivo. Non ci date la GPA? E noi ci inventiamo un clown che fa a pezzi il vostro sistema di valori. La famiglia, il Natale, i bambini; persino i bambini».

La GPA sarebbe la “Gestazione Per Altri”, cioè l’utero in affitto: ah, ma è vero, in questo “sistema di potere” non si può nemmeno chiamare così, dunque per protestare contro la sua regolazione “ci inventiamo” un maniaco che fa a pezzi dei bambini il 25 dicembre. E se, per restare in tema, facessimo un horror sulla GPA, dove a una ex prostituta ucraina convinta a diventare un’incubatrice di carne viene squarciato il ventre per rimuovere il feto dopo il ripensamento dei “committenti”?

Oppure perché non uno slasher su un serial killer razzista che vola a Lampedusa per qualche seratona magica? E l’assassino di gattare che fa divorare le vittime dai loro stessi gatti? Che dire poi di un torturatore che trasforma gli ambientalisti in compost? O di una coppia di “accoglioni” che viene cannibalizzata da una famiglia d migranti? E perché non un tocco di antisemitismo, tipo un kolossal sul martirio di San Simonino con tanto di rabbini dalla bocca insanguinata?

Vedete quante idee saltano fuori ragionandoci anche solo per un istante? Il problema è che tutta questa merda splatter, gore o slasher è rivolta sempre contro un unico obiettivo, e solo finché si limita ad “andare a parare” dove vogliono che vada proprio a parare non viene censurata. Quanta ipocrisia, nella marmaglia semicolta che vede “oppressione e repressione” dappertutto, nel momento in cui osanna una vera e propria arte di regime. Un regime di merda e sangue, s’intende, nel quale si è obbligati a plaudire alla più cretina delle dissacrazioni per non passare da bigotti, mentre basterebbe un solo capello torto a un nero, a un gay o a una cicciona in qualche produzione mainstream per far frignare i “dissacratori” fino al deliquo.

Forse non è proprio la recensione che uno si aspetterebbe, ma di cosa si dovrebbe parlare? La serie Terrifier inizia nel 2016 con il tipico assassino truccato da clown che “poverino è una vittima della società” (emblematici gli istanti in cui la gattara -è letteralmente il nome con cui è indicato il personaggio- riesce a placare la sua ira con fare materno, per poi venire chiaramente straziata), il quale però alla fine non si sa come sopravvive a un colpo di pistola in bocca.

Lungi dal ricevere gli elogi, l’exploit venne apprezzato solo per la demenzialità con cui un omicidio seguiva un altro in un crescendo di brutalità e ferocia. La trama prenderà poi una piega ancor più assurda col secondo capitolo, nel quale il protagonista è divenuto praticamente immortale perché posseduto da un demone: ad affrontarlo una ragazza che gli perfora il cranio con qualsiasi cosa senza riuscire a ucciderlo, e che poi viene a sua volta uccisa ma risorge per decapitarlo con una spada magica (in sostanza Xena Principessa Guerriera vs Nightmare). Manco a dirlo, il mostro sopravvive senza testa e ritorna nel terzo episodio a far danni scampando anche all’apertura di un portale verso l’inferno, e proclamando con la sua compagnia-zombie “Non c’è nessun Dio”.

Stiamo ancora parlando di arte, oppure questo schifo è tutt’altra cosa e andrebbe contrastato con mezzi non artistici? D’altro canto, a chi sarebbe rivolta la famigerata “provocazione”, visto che non mi pare siano stati fatti picchetti davanti ai cinema, né ci sia stato un solo sfigato che abbia avuto il coraggio di esprimere un parere negativo.

Dirò di più: persino per alzare il limite di età consentito agli spettatori (da 14 a 18 anni) c’è voluto l’intervento del Ministero della Cultura, ed è un miracolo che non sia ancora scoppiato il solito Kulturkampf, perché se fosse per la “parte migliore del Paese” Terrifier verrebbe addirittura trasmesso nelle scuole, come appunto è successo col secondo episodio in una media di Cremona. In fondo, lo “scopo didattico” è stato ben esemplificato dal recensore di cui sopra: “Persino i bambini”.

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