The “Greta” Reset: si ammaleranno solo gli inquinatori?

È già entrata nell’immaginario complottista l’espressione Great Reset, lanciata dal World Economic Forum e ripresa dalla copertina del Time di novembre, che starebbe a indicare il “cambio di passo” delle élite in concomitanza con la crisi pandemica per una economia più inclusiva, sostenibile, solidale eccetera. Addirittura mons. Viganò, in un drammatico messaggio a Donald Trump, avrebbe conferito un significato escatologico alla formula, dandole il senso di una manifestazione del piano della civitas diaboli contro l’ordine di Dio.

Io penso invece che non si debba, come al solito, farsi prendere dal donchisciottismo: quel che intende il fondatore del Wef, l’economista tedesco Klaus Schwab, è un “nuovo contratto sociale”, cioè sostanzialmente un massiccio rilancio della spesa pubblica globale mascherato da tinte rosa-verdi-arcobaleno. Non è che si debba per forza piagnucolare come i libertari americani (ma gueshdo è fashismo/soshalismo), perché in fondo il fine è giusto: sono solo i mezzi a essere sbagliati (o viceversa). È un po’ come la questione della sanità pubblica: è possibile che essa possa suscitare tentazioni da “dittatura biopolitica”, ma anche se si dovesse prospettare uno scenario del genere esso sarebbe talmente blando che il fatto di non dover ipotecare la propria casa per un’unghia incarnita varrebbe il “prezzo del biglietto”, come si dice.

Ciò che risulta assolutamente risibile è che il buon Schwab pretenda che il capitalismo possa rimodellarsi in virtù della pressione di Greta, del #MeToo e di Black Lives Matter (sì, lo ha detto). Sembra sia proprio questa patina medio-progressista (in senso fantozziano) ad aver suscitato nell’elettorato una sorta di “bomberismo di massa”: di fronte al magnate vegano conciato come una drag queen, tanto vale affidarsi al caro vecchio Mister Monopoly con cilindro, bastone e sacca col simbolo del dollaro. È chiaro, del resto, che questi figuri, restringendo la platea dei “bisognosi” alle bambine svedesi, agli afroamericani e alle attricette molestate da Weinstein vogliano patrocinare un keynesismo straccione con cui farsi belli nei loro simposi internazionali, un welfare genderizzato, diviso in quote ed etnie, smart e sostenibile (cioè “leggero leggero”).

A conferma che il Great Reset non sia l’apocalisse, ma la Corazzata Kotiomkin 2020, il “manifesto” della dottoressa Mariana Mazzucato,, che aggiunge al mosaico fantapolitico il tassello più “petaloso”: It’s 2023. Here’s How We Fixed the Global Economy. Ecco come dovrebbero andare le cose da qui a tre anni per l’economista italiana con cittadinanza statunitense: il Recovery Plan, rivelatosi un immediato successo, non solo suscita un “Nuovo Rinascimento Europeo” (caratterizzato da una “rinascita artistica delle pubbliche piazze” che rimpiazza magicamente i combustili fossili come fonte di energia), ma addirittura ispira gli americani a votare Joe Biden che col suo Green New Deal trasformerà gli Stati Uniti in uno sterminato pannello solare e Los Angeles in una colossale pista ciclabile.

Spunterà così la nuova alba di un “mondo più pulito”, come quello delle pubblicità per i prodotti della casa; e il tocco da maestro sarà un Healthy Green Deal  che collegherà finalmente la questione sanitaria a quella ambientale. Fondamentalmente l’auspicio è quello di associare la salute del singolo alla sua “impronta ecologica”: chi inquina di meno dovrebbe anche ammalarsi di meno. Più che Great Reset, questo è un Greta Reset: un “libro dei sogni” che disdegna anche il minimo appiglio alla realtà. Cadono le braccia, di fronte all’ingenuità -nonché grossolanità- della futurologia della Mazzuccato: come se a ottobre 2020 non sia già evidente che il Recovery Fund verrà ammazzato in culla e che il Green New Deal, opportunamente rimpiazzato da Biden con un Biden Plan (ah ah ah), resterà confinato in qualche universo parallelo a forma di calcolatrice solare.

Questa prospettiva “moralizzante”, cioè in ultima istanza ideologica, è quella che dovrebbe in effetti suscitare qualche inquietudine: in primo luogo perché già l’opinione pubblica è stata convinta surrettiziamente che il coronavirus contagi solo chi si “comporta male”. Basta osservare come gli stessi che avrebbero rifiutato di proporre l’astinenza come metodo per contrastare l’Aids ora invece sostengano l’efficacia del “distanziamento sociale” persino in camera da letto: segno che senza dubbio qualcuno covi l’intenzione di strumentalizzare la pandemia. Perché la peste rimane comunque una questione politica, non tecnica: in tal senso non c’è limite ai danni che l’utopismo possa fare. Per esempio, tanto per restare in tema, tentando di creare una “nuova normalità” nella quale si dovrebbero ammalare solo i “cattivi”, quelli che fanno lavori poco sostenibili, non si spostano nelle città in modo smart e non “compensano le proprie emissioni di CO2” (come ha affermato di fare il principino Harry, superambientalista, per giustificare l’utilizzo eccessivo di jet privati).

Non c’è bisogno, alla fine, di scomodare il Padreterno o l’élite rettiliana: già Marx evocava la ganze alte Scheiße, la miseria che tornerebbe con una bella verniciata progressista. Diciamo che in tal caso i “piani” sono talmente aleatori che basterà un minimo contatto col reale a farli crollare all’istante: ciò che conta è che a esser travolti dalle macerie siano quelli che li hanno immaginati e non chi ha dovuto subirli.

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