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Thomas Mann tra sensitivi e curlandesi

Sedute spiritiche è un volumetto pubblicato dalle edizioni Via del Vento di Pistoia che raccoglie due scritti inediti di Thomas Mann, tradotti e commentati da Claudia Ciardi.
La prima parte riguarda i resoconti di tre sedute spiritiche a cui lo scrittore ha assistito nell’inverno del ’22-’23. Queste annotazioni rispondono in particolare a un quesito che da tempo attanagliava gli studiosi del genio tedesco: Era Mann un bischerone?
La risposta è (ahinoi) positiva, poiché il Nostro si lasciò facilmente abbindolare dai trucchetti del medium Willi: un fazzoletto fatto volteggiare in aria gli fa pensare a «un’essenza occulta dotata di vita autonoma» che agisce di nascosto, a «corpi naturali primitivi forse simili a arpioni» che si infilano sotto i fazzoletti e li fanno volare.

Per spiegarsi i fenomeni, lo scrittore ricorre addirittura alla teoria della relatività, o per meglio dire a una sua interpretazione in senso “esoterico”, come prova “scientifica” che la materia è fatta di energia e che dunque si possono materializzare nello spazio forme di vita organica (arpioni di carne –ohibò!?– che si nascondono alla vista degli umani per «una specie di pudore estetico»).

Battute a parte, lo stile di Mann emerge soprattutto nella descrizione dello “spettacolo” della possessione medianica, un tipo di rituale diffusosi per tutta la Germania nel periodo successivo alla Prima guerra mondiale. Il medium Willi entra in scena con una calzamaglia nera, una vestaglia di seta scura e strisce luminose applicate sulla testa e sulle vesti; le sue movenze ricordano a Mann «con inequivocabile evidenza l’atto di partorire. Il risvolto sessuale era […] lampante».

Col senno di poi, è un bene che lo sconvolgimento non abbia ottenebrato le capacità compositive di Mann: avremmo avuto un santone in più e qualche capolavoro in meno.

Ancora più accattivante la seconda prosa inedita, il racconto di un soggiorno estivo in Curlandia tra la penisola di Neringa, quella di Sambia e la città di Nida ai tempi in cui erano ancora terra prussiana (oggi invece sono divise tra Lituania, Lettonia e l’exclave russa di Kaliningrad).
La descrizione del paesaggio è molto suggestiva: lo stesso Mann si sorprende di ritrovare in un litorale prussiano dei tratti meridionali, un paesaggio lagunare dal «carattere primitivo, elementare», contraddistinto dalle perturbanti dune baltiche che hanno valso a questa località l’appellativo di ostpreußische Sahara (il “Sahara della Prussia Orientale”, ancora oggi meta turistica anche grazie a Mann).

Decisamente curiose le annotazioni sulle lingue degli “indigeni”: «Sono trilingui: parlano tedesco, lituano e curlandese. Quando parlano tedesco, danno comunque un’impressione molto russa. Lituano e curlandese sono lingue di caratteristiche ben strane. Il lituano ha una leggera cadenza russa. Il curlandese dovrebbe avvicinarsi al sanscrito, come nessun’altra lingua moderna» (pp. 27-28).

Eh già, Mann aveva letto il de Saussure ed è sicuramente da lì che ha tratto l’idea del lituano come “sanscrito europeo” (tesi elaborata dal discepolo del linguista ginevrino Antoine Meillet); tuttavia è singolare che lo scrittore riporti tali considerazioni a un dialetto come il curlandese, che noi italiani conosciamo anche come “curone” (senza offesa).

Oggi il curlandese è quasi estinto e a tramandarlo e conservarlo in quanto dialetto sono rimasti i samogiti (ma è una storia complicata); ovviamente dopo la dominazione sovietica la pronuncia si è un po’ “orsizzata” (come è naturale), anche se Mann già all’epoca sentiva una cadenza russa (chi vuole può comunque apprezzare le differenze tra i due idiomi in questo video, nel quale la ragazza parla lituano e l’uomo in russo).

Ritornerò sicuramente su questo “temino delle vacanze” di Mann poiché offre molti spunti da diverse prospettive (dalla linguistica al turismo). Ora però concludo rivolgendo i complimenti alla curatrice per l’ottima traduzione e l’utilissimo apparato di note.

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