«Auguste Comte, il filosofo positivista francese che voleva istituire la sua “Chiesa positivista” (o scientifica), fece approcci con i gesuiti allo scopo di un’alleanza. Era convinto che gli “ignaziani”, come egli li chiamava (Comte disprezzava Gesù, ma come organizzatore stimava il santo di Loyola) avrebbero rinunciato con facilità al dogma cattolico ed elaborato un culto per l’adorazione dell’Umanità.
Affidò a uno dei suoi discepoli, John Metcalf, la missione di prender contatto con i gesuiti degli Stati Uniti facendo la proposta di cooperare con lui, Comte, come sue “forze ausiliarie”. Metcalf fu istruito a non far concessioni ai padri gesuiti per timore di risvegliarne “l’abituale inclinazione” al potere. Avendo l’Ordine dei gesuiti respinto la sua offerta, Comte espresse l’opinione che avvenimenti non troppo lontani avrebbero potuto maturare i semi gettati fra i gesuiti dalla sua offerta di dialogo.
I gesuiti, poi, seguiti in questo dalla nuova razza di intellettuali cattolici in genere, conoscono e praticano l’arte dell’adattamento alla classe politica, che si trovi al potere o vicino al potere. Molti padri gesuiti diffusero le voci più adatte durante l’era hitleriana, predicendo che il regime non avrebbe tardato ad addolcirsi, per cui lo battezzavano innocuo e rispettabile.
Nel 1932 il gesuita Friedrich Muckermann (che in seguito divenne un violento antinazista) dichiarò che il movimento nazionalsocialista aveva in fondo un nocciolo buono e che debitamente influenzato (!) avrebbe potuto ispirare un genuino movimento di riforma.
Il gesuita padre Notes scriveva a quell’epoca che la condanna episcopale del nazismo era condizionale. “È possibile”, scriveva, “che il nazionalsocialismo elimini un giorno dal suo programma e dalla sua prassi tutti quei principi ed azioni che ora si scontrano con quelli del cattolicesimo”.
Può darsi che tutte queste speranze fossero ragionevoli; è però degno di nota il fatto che, dopo la sconfitta del nazismo, i gesuiti passarono con raffinata disinvoltura all’altro campo. Essi dovevano di lì a poco scoprire nei loro stessi ranghi l’uomo che potevano fornire la scorciatoia per conseguire un nuovo prestigio, rendendo possibile all’Ordine di far dimenticare al mondo la passata reputazione di “gesuitismo”. Quest’uomo era Teilhard de Chardin, i cui scritti sono ora [1968] usati dai gesuiti come un’auspicata sintesi di religione e scienza.
Attraverso questi scritti i gesuiti e i loro seguaci accettano ora una nuova e ingannevole fedeltà al progresso (capitalizzato), la religione dell’uomo di massa del XX secolo. Grazie a Teilhard de Chardin, essi hanno fatto della teologia del progresso una necessità, un fatto sacro, come fecero tre secoli or sono del diritto divino dei re»
(Thomas Molnar, Vero e falso dialogo, Borla, Torino, 1968, pp. 63-65)