Tolkien e gli ebrei. Alla ricerca dell’anello mancante (I): L’influenza del filosemitismo britannico

Nei prossimi giorni pubblicherò a puntate la mia traduzione del saggio di E. Michael Jones Tolkien’s Failed Quest edito dalla Fidelity Press nel 2015.

Tolkien trasse i simboli principali de Lo Hobbit dal ciclo dell’Anello di Richard Wagner, ma ogni volta che gli veniva menzionato il nome del grande compositore tedesco diventava irritabile e nervoso. Nella cultura britannica esiste da secoli una corrente filosemita, apprezzata dallo scrittore, che mal si combinava con le opinioni di Wagner, portando Tolkien a un conflitto artistico che non riuscì a risolvere e che ha infine costretto il suo capolavoro all’incoerenza.

Tramite la “depurazione” del simbolismo wagneriano dall’antisemitismo, Tolkien sottrasse a esso il vero significato, la cui prospettiva polemica era in definitiva più orientata verso una condanna del capitalismo che non una mera espressione di odio antiebraico. Tuttavia, quando il capitalismo si manifesta come questione centrale, è inevitabile che l’Inghilterra passi dalla parte del male anche da una prospettiva “fantastica”: ecco perché Tolkien, da patriota, non poté accettare il vero significato di quei simboli e, per adattarli alla sensibilità britannica, tolse loro tutta la forza, nonché la coerenza.


Verso la fine di settembre del 1931, durante una delle sue ricorrenti crociere “terapeutiche” in alto mare, Montagu Norman, capo della Banca d’Inghilterra, ricevette un cablogramma dal suo omologo americano, George Harrison, successore di Benjamin Strong alla guida della Federal Reserve, nel quale gli domandava se potesse indagare sull'”improvviso calo della sterlina”. Norman rispose che non poteva spiegarsi il fenomeno, soprattutto perché, sebbene non ne avesse parlato nel suo messaggio, era assente dal lavoro dal 28 luglio, quando aveva abbandonato la banca perché si sentiva “strano”. Poco dopo, Norman ricevette un’altra nota più criptica in cui si annunciava che “la Vecchia Signora se ne va lunedì”.

La Old Lady in questione era la Vecchia Signora di Threadneedle Street, o la Banca d’Inghilterra, e si riferiva all’imminente abbandono del gold standard, ma Norman pensò erroneamente che si riferisse a sua madre che andava in vacanza.

Più o meno nello stesso periodo in cui l’Inghilterra abbandonava il gold standard, un professore di Oxford iniziò a raccontare ai suoi figli una favola della buonanotte su un drago a guardia di un tesoro. Il suo nome era J. R. R. Tolkien e la sua storia alla fine fu pubblicata come Lo Hobbit nel 1937.

Tolkien scrisse Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli con lo sguardo rivolto alla politica europea. Secondo il biografo ufficiale di Tolkien, Humphrey Carpenter [il cui volume, del 1977, è stato tradotto in italiano da Lindau nel 2016, ndt], la Contea era “la rappresentazione di tutto ciò che Tolkien amava di più dell’Inghilterra“. Più o meno nel periodo in cui Tolkien decise che il seguito dello Hobbit si sarebbe intitolato Il Signore degli Anelli, Chamberlain firmò l’accordo di Monaco con Hitler. Verso la fine degli anni ’30 era chiaro che l’Inghilterra sarebbe stata coinvolta in un’altra guerra nel Continente.

È noto che Tolkien, nella prospettiva di conflitto prossimo venturo, ritenesse i russi (che comunque disprezzava) “più responsabili dell’attuale crisi rispetto a Hitler”. I suoi sentimenti nei confronti della Germania erano invece ambivalenti. Tolkien aveva un lignaggio tedesco e nonostante il suo nome attestasse le lontane origine germaniche, aveva combattuto contro i tedeschi nella battaglia della Somme nel 1918.

Un’esperienza, quella della guerra di trincea, che lo avrebbe influenzato per tutta la vita, e che fa capolino nel capitolo dedicato alle Paludi Morte de Il Signore degli Anelli. Tolkien comunque disprezzava anche Adolf Hitler, e nel 1941, in una lettera al fratello (ora in La realtà in trasparenza, Bompiani, Milano, 2001, lettera n. 45) esprimeva sul personaggio queste opinioni:

«In questa guerra io ho un bruciante rancore personale, che mi renderebbe a 49 anni un soldato migliore di quanto non fossi a 22, contro quel dannato piccolo ignorante di Adolf Hitler (perché la cosa strana circa l’ispirazione demoniaca e l’impeto è che non riguarda per niente la statura intellettuale di una persona, ma riguarda la sola volontà). Sta rovinando, pervertendo, distruggendo, e rendendo per sempre maledetto quel nobile spirito nordico, supremo contributo all’Europa, che io ho sempre amato, e cercato di presentare in una giusta luce».

L’ambiguità di Tolkien nei confronti della Germania deriva dal fatto che egli ha tratto le simbologie principali dei suoi romanzi dalla letteratura tedesca. Se Tolkien vedeva in Hitler una volgare caricatura del “nobile spirito noridco”, il suo rapporto con Richard Wagner era ancora più ambivalente. Infatti, pur essendo noto che Tolkien abbia preso i simboli principali dello Hobbit dal Ciclo dell’Anello di Wagner, egli si irritava sempre ogni volta che gli veniva menzionato il nome del compositore.

Humphrey Carpenter ci dice che ogni volta che Tolkien raccontava episodi orribili della Saga dei Volsunghi, aggiungeva sempre una frecciatina a Wagner, “la cui interpretazione di quei miti [norreni] disprezzava”. Quando Rayner, il figlio di dieci anni dell’editore Stanley Unwin, affermò che “l’anello di Frodo somigliava a quello dei Nibelunghi”, Tolkien, che appunto era sempre infastidito quando qualcuno paragonava i suoi scritti a Wagner, rispose dicendo che “entrambi gli anelli erano rotondi, e la somiglianza finiva lì”.

La causa principale di tale astio proveniva dall’antisemitismo wagneriano. Lo Hobbit fu pubblicato nell’anno della Kristallnacht, quando il sostegno inglese agli ebrei tedeschi giunse già massimi livelli. Gli inglesi avevano una lunga tradizione di filosemitismo assolutamente contrapposta alle idee di Wagner. Ciò portò ad un conflitto, anche a livello artistico, che Tolkien non riuscì a risolvere.

Barbara Tuchman sostiene che gli inglesi divennero notoriamente filosemiti in seguito alla Riforma, quando la Bibbia fu tradotta in inglese (cfr. B. W. Tuchman, Bible and Sword, New York University Press, 1956, p. 52):

«Con la traduzione della Bibbia in inglese e la sua adozione come testo sacro di riferimento per una Chiesa inglese autonoma, le tradizioni storiche e la legge morale della nazione ebraica divennero parte della cultura britannica, imponendosi lungo tre secoli come la più forte influenza su di essa. La Bibbia tradotta univa, per dirla con Matthew Arnold, “il genio e la storia di noi inglesi al genio e alla storia del popolo ebraico”. Ciò non è il solo elemento ad aver reso l’Inghilterra una nazione filosemita [Judeaophile], ma senza l’influenza della traduzione inglese della Bibbia è dubbio che la Dichiarazione Balfour sarebbe emanata in nome del governo britannico o che sarebbe stato stabilito il Mandato per la Palestina, anche considerando i fattori strategici entrati tardivamente in gioco» .

Quando si tratta di risalire alle origini del filosemitismo della nazione inglese, il capitalismo è un “colpevole” più papabile della Bibbia. Dopo una breve fase di “invasamento” filoebraico sotto puritani come Praise-God Barebone e rabbini come Menasseh ben Israel, “Locke dette lo sfratto ad Abacuc”, come disse Karl Marx nella sua disamina sulla rivoluzione del 1848, e il capitalismo Whig divenne di fatto la religione delle élite inglesi.

Lord Palmerston, profondamente indebitato con gli ebrei, usò la marina britannica per riscuotere i debiti dell’ebreo Don Pacifico in Grecia. A poco a poco, l’idea di una patria ebraica nel cuore dell’Impero Ottomano cominciò a prendere forma nelle menti delle élite mercantili e bancarie britanniche. L’11 agosto 1840, Palmerston scrisse una lettera al Times, sostenendo che un piano per utilizzare “gli ebrei come cuneo britannico all’interno dell’impero ottomano” era ora oggetto di “seria considerazione politica” (cfr. Tuchman, op. cit., pp. 113-122).

Verso la fine del XIX secolo il filosemitismo britannico si fuse con il sionismo ebraico e da ciò scaturì la Dichiarazione Balfour e la prima colonia ebraica in Palestina. Lord Shaftesbury espresse in modo esplicito il collegamento tra ebrei, inglesi e capitalismo quando sostenne che “l’Inghilterra è la grande potenza commerciale e marittima del mondo. All’Inghilterra spetta quindi naturalmente il ruolo di favorire l’insediamento degli ebrei in Palestina”.

In questo Theodor Herzl, il padre del sionismo, concordava: “L’Inghilterra la grande, l’Inghilterra libera, l’Inghilterra con gli occhi fissi sui sette mari, ci capirà”. Il 2 novembre 1917, il ministro degli Esteri britannico Arthur James Balfour dichiarò che “il governo di Sua Maestà vede con favore l’istituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico e farà tutto il possibile per facilitare il raggiungimento di tale obiettivo”.

Scrivendo Lo Hobbit sulla scia delle emozioni suscitare dagli eventi accaduti in Germania negli anni ’30, Tolkien si schierò dalla parte degli ebrei . Nel 1971 lo scrittore dichiarò alla BBC che i nani sono “ovviamente” ebrei: “Le loro parole sono semitiche, sono chiaramente costruite per essere semitiche. Gli hobbit sono solo dei villici [rustic] inglesi“. Bilbo, secondo Tolkien appunto rappresentante dei “villici”, dice a Smaug che i nani sono venuti, non tanto per l’oro, quanto per la vendetta: “Per Vendetta abbiamo
percorso salite e discese, siamo venuti sulle onde e sul vento”.

Quando Tolkien ricevette una proposta per una traduzione in tedesco de Lo Hobbit, avrebbe dovuto garantire all’editore di non avere antenati ebrei, richiesta che egli respinse come “impertinente e irrilevante”. Al fastidio seguì subito dopo una manifestazione di filosemitismo: «Se lei mi sta chiedendo se sono di origine ebraica, come mi pare di aver capito, le posso solo rispondere che mi rammarico di non avere, per quanto sappia, antenati di quel popolo eccezionale». Domande di questo tipo, continuava Tolkien, condurranno molto presto “al giorno in cui un nome germanico non sarà più motivo di orgoglio”.

Nella versione cinematografica de Lo Hobbit, Peter Jackson trasforma il filosemitismo di Tolkien in vero e proprio sionismo. La distruzione di Erebor con cui inizia il film è una fusione tra la distruzione del Tempio nel 70 d.C. e l’Olocausto. Dal momento che “nessun aiuto venne dagli elfi [cioè dall’aristocrazia europea] quel giorno, né nei giorni che seguirono”, Thror “non perdonò mai e non dimenticò mai”. I nani erano un popolo “una volta potente, ormai decaduto” in seguito all’attacco di Smaug. Dopo essere stati “derubati della loro patria, i nani di Erebor vagarono per le Terre Selvagge [o il deserto, wilderness]”, dove dovettero sopportare l’insulto più grande di tutti: dovettero lavorare per vivere, qualcosa di estraneo alla razza ebraica.

Il testo de Lo Hobbit è più ambivalente della sua dichiarazione alla BBC:

«I nani non sono eroi, bensì una razza calcolatrice con un gran concetto del valore del denaro; alcuni sono una massa infida, scaltra e pessima da cui tenersi alla larga; altri non lo sono, anzi sono tipi abbastanza per bene come Thorin e Compagnia, sempre però che non vi aspettiate troppo da loro».

(continua…)

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4 thoughts on “Tolkien e gli ebrei. Alla ricerca dell’anello mancante (I): L’influenza del filosemitismo britannico

  1. Ciao Mister T.,

    leggo con piacere da un po’ il tuo blog e ho una domanda (invero molte altre), se avrai la cortesia di rispondermi: qual è un buon libro per capire la seconda guerra mondiale dal punto di vista tedesco? (mi hanno consigliato Hitler’s War di Irving, mi fido?)

    Un’idea per un articolo potrebbe essere proprio quella di consigliare una serie di libri per capire alcuni importanti (e controversi) avvenimenti storici, come Risorgimento, Fascismo, Repubblica di Weimar, Guerre mondiali, 1848, Rivoluzione francese, Rivoluzione americana, Guerra civile americana e così via.

    Con stima, P.

  2. Fissare il muro in attesa che diventi trasparente e ci lasci vedere oltre. Leggere un libro di storia – cioè storiografia – a soli ottant’anni dalla fine di un evento cruciale equivale a questo.

  3. Sul filo-semitismo inglese ricordo vagamente che qualche fazione imperiale arrivo a identificare i Sassoni come una delle tribù perdute di Isr*ele… Può essere che lo lessi proprio in qualche libro di Jones?

  4. ciao.
    Trovo tutto estremante interessante pur non avendo mai approfondito più di tanto l’opera di Tolkien.

    Sara un piacere leggere il saggio a puntate.

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