Quella che segue è la lettera di Tommaso d’Aquino a Margherita di Fiandra, tramanda sotto il titolo di De Regimine Judaeorum: il testo, infatti, affronta le condotte che un sovrano dovrebbe adottare nei confronti delle comunità ebraiche presenti nei propri domini. Nonostante l’Editio Leonina la indichi come missiva per la “Duchessa di Brabante”, secondo lo storico Leonard E. Boyle, il De Regimine Judaeorum fu stilato nel 1271 circa per Margherita, contessa di Fiandra, che era legata all’Ordine domenicano e forse aveva conosciuto Tommaso di persona (il testo di riferimento è Thomas Aquinas and the Duchess of Brabant, intervento alla Patristic, Medieval, and Renaissance Conference, 1983). Per quel che sappia, non esiste una traduzione italiana completa (qui si può consultare il testo originale in latino). Chi volesse contribuire ad altre traduzioni può fare una donazione tramite PayPal.
Ho ricevuto la lettera di Vostra Eccellenza dalla quale ho compreso pienamente la pia preoccupazione che avete riguardo al governo dei vostri sudditi e il devoto amore che nutrite verso i fratelli del nostro Ordine, rendendo grazie a Dio che ha instillato nel vostro cuore i semi di tali virtù. Ciò nonostante, mi è stato difficile rispondere a ciò che mi chiedevate in quella stessa lettera, sia per le occupazioni a cui l’ufficio di insegnante obbliga, sia perché mi farebbe piacere che su certe questioni voi cercaste il consiglio di persone più esperte. Poiché riterrei però disdicevole risultare negligente verso la vostra sollecitudine o mostrarmi ingrato al vostro affetto, ho avuto cura di rispondervi su questi argomenti proposti, fermo restando la possibilità di un parere migliore.
PRIMA RISPOSTA
Per prima cosa, dunque, Vostra Eccellenza chiedeva se sia consentito, e con quali modalità, esigere un’imposta [exactionem] dagli ebrei.
Alla domanda così posta si può rispondere in maniera completa che, sebbene, come dice la legge, gli ebrei per loro colpa siano condannati alla servitù perpetua e così i signori delle terre in cui abitano possano togliergli i beni come se fossero proprietà loro [di tali signori], ciò andrebbe messo in pratica in maniera moderata, affinché gli ebrei non vengano in alcun modo privati del sostentamento necessario a vivere, perché occorre ancora che conduciate «una vita decorosa di fronte agli estranei» (I Tess 4:12), affinché «il nome del Signore non sia bestemmiato» (1 Tim. 6,1), e l’Apostolo ammonisce i fedeli con il suo esempio di «non dare motivo di scandalo né ai Giudei, né ai Greci, né alla Chiesa di Dio» (1 Cor. 10,32); questo sembra essere ciò che si dovrebbe osservare, ovvero che, come hanno stabilito le leggi, gli oneri loro imposti non esigano ciò a cui non erano abituati nei tempi passati, perché spesso sono le cose insolite a turbare gli animi degli uomini.
Pertanto, in virtù di questo criterio della moderazione, voi potete, secondo le consuetudini dei vostri predecessori, imporre una sanzione agli ebrei, solo se, tuttavia, nient’altro vi si oppone. Ora mi sembra che, per quanto ho potuto dedurre dalle domande che mi avete posto, i vostri dubbi siano aumentati riguardo al fatto che gli ebrei della vostra terra sembrano non avere altro che ciò che hanno acquisito con la depravazione dell’usura [per usurariam pravitatem]. E perciò di mi chiedete se non sia lecito esigere da loro qualcosa, e a chi debbano essere restituite ciò che viene preteso.
A questo proposito mi pare che la risposta debba essere questa: poiché gli ebrei non possono trattenere lecitamente le cose che hanno estorto agli altri con l’usura, ne consegue che, anche se aveste ricevuto queste cose da loro, non potreste trattenerle lecitamente, a meno che non si tratti di cose che essi avessero finora estorto a voi o ai vostri predecessori. Se infatti possiedono cose estorte ad altri, queste cose, una volta richieste loro, le dovrete restituire a coloro ai quali gli ebrei erano tenuti a restituirle: pertanto, se si scoprissero persone a cui gli ebrei hanno applicato l’usura, i proventi di tale attività dovrebbero essere riconsegnati alle vittime; altrimenti dovranno essere accantonati per usi pii secondo il consiglio del Vescovo diocesano e di altri uomini onesti, o anche per il bene comune dei vostri territori se si presentasse una necessità e l’utilità lo richiedesse; né sarebbe illecito se voi richiedeste nuovamente agli ebrei i proventi dell’usura conservando l’usanza dei vostri predecessori, con l’intenzione di spendere il denaro per gli scopi a cui si è appena accennato.
SECONDA RISPOSTA
Ora, in secondo luogo, avete chiesto che qualora un ebreo dovesse peccare, dovrebbe essere punito con una sanzione pecuniaria, nonostante sembri che non abbia altro denaro che quello proveniente dall’usura.
A tale domanda sembra che si debba rispondere, in linea con quanto detto sopra, che è opportuno che egli [l’ebreo] sia punito con una sanzione pecuniaria, affinché non venga tratto alcun vantaggio dalla sua iniquità. Mi sembra anche che l’ebreo, o chiunque pratichi l’usura, dovrebbe essere punito con una sanzione maggiore degli altri, per far sì che [sia evidente che] il denaro sottrattogli gli appartenga ancor meno. A questa punizione pecuniaria si può aggiungere un’altra punizione, affinché non sembri sufficiente come punizione quella di impedirgli di possedere il denaro dovuto ad altri. Tuttavia il denaro prelevato agli usurai in nome della pena non può essere trattenuto, ma deve essere speso per gli usi sopra indicati, se costoro non posseggono altro che denaro da usura.
Se tuttavia si dicesse che i sovrani delle nazioni ne subiscono un danno, si dovrebbe imputar loro questo danno come derivante dalla loro stessa negligenza. Infatti sarebbe meglio se costringessero gli ebrei a lavorare per guadagnarsi da vivere, come fanno in alcune parti d’Italia, piuttosto che, vivendo oziosamente, si arricchiscano con la sola usura, e così i loro governanti venissero defraudati delle entrate. Allo stesso modo, e anche per loro colpa, i sovrani verrebbero defraudati delle proprie entrate se permettessero ai sudditi di arricchirsi solo con la rapina o il furto, poiché sarebbero tenuti a restituire [al vero proprietario] tutto ciò che avevano preteso da essi [i ladri].
TERZA RISPOSTA
In terzo luogo è stato chiesto qualora essi [gli ebrei] offrissero del denaro di propria iniziativa, o qualche altro tipo di offerta [encenium], se sia lecito accettarlo.
Al che la risposta è che sembra sia lecito accettarlo. Ed è utile che il denaro così ricevuto venga restituito a coloro ai quali è dovuto, o altrimenti speso, come si è detto prima, se [gli ebrei] non hanno altro che guadagni da usura.
QUARTA RISPOSTA
La quarta domanda è che se si riceve da un ebreo più di quanto i cristiani richiedano da lui, cosa si dovrebbe fare con ciò che avanza.
La risposta a ciò viene da quanto detto prima. Infatti che i cristiani non esigano dall’ebreo ciò che avanza può avvenire in due modi: o nel caso l’ebreo possegga beni non derivati dal guadagno dell’usura, e in questo caso è legittimo impossessarsene, osservando però la moderazione sopra menzionata (e lo stesso sembrerebbe dirsi se coloro ai quali è stata estorta l’usura dovessero poi ricevere dei doni [dagli ebrei] per buona volontà, ma solo qualora essi [gli ebrei] si mostrassero pronti a risarcire l’usura); in altro modo, può accadere che coloro dai quali gli ebrei accettarono l’usura siano nel frattempo scomparsi, o perché deceduti, o perché trasferitisi in altri paesi, e allora dovranno restituirla essi stessi; ma quando non compaiono persone precise alle quali sono tenuti a restituire, sembra che la procedura debba essere in linea con quanto detto sopra.
Ora ciò che è stato detto degli ebrei va inteso anche per [gli abitanti di] Cahors [cavorsinis] e per chiunque altro si ostini nella depravazione dell’usura [“cahorsino”, dal nome della regione francese, nel medioevo era diventato sinonimo di “usuraio non ebreo”].
QUINTA RISPOSTA
In quinto luogo, avete chiesto degli ufficiali e funzionari giudiziari [balivis et officialibus], se è legittimo che essi vendano i loro servizi, o ricevano un prestito da chi ha richiesto loro i servizi finché non siano stati ripagati.
Nel rispondere a questa domanda sembra che essa presenti due difficoltà, di cui la prima riguarda la vendita degli uffici. Riguardo a questa questione mi sembra che si debba considerare quanto sostiene l’Apostolo: «Tutto mi è lecito, ma non tutto giova» (1 Cor 6,12); ora, poiché non conferite agli ufficiali e funzionari giudiziari altro che il potere di un ufficio temporale, non vedo perché non sia legittimo vendervi tali servizi, a condizione che siano venduti in quanto si presume siano utili all’adempimento di tali servizi, e che i servizi non siano venduti a un prezzo tale da non poter essere recuperati senza danneggiare i vostri sudditi.
Tuttavia, tale tipo di vendita di uffici non sembra essere del tutto utile. Primo perché capita spesso che coloro che sono più adatti a svolgere tali uffici siano poveri, tanto che non potrebbero acquistare l’ufficio; e le persone migliori, anche se ricche, non cercano questi uffici né bramano il profitto che dall’ufficio si ricaverebbe. Ne consegue quindi che otterrebbero uffici nel vostro paese soprattutto gli individui peggiori, i più ambiziosi e amanti del denaro; è probabile che essi opprimerebbero i vostri sudditi e non provvederebbero fedelmente ai vostri interessi. Quindi mi sembra più opportuno la scelta di uomini buoni e adatti a tali uffici, ai quali potresti costringere anche i riluttanti qualora si rendesse necessario; perché per la loro bontà e la loro operosità ricaverete per voi e i vostri sudditi più di quanto potreste acquisire dalla suddetta vendita degli uffici. Il suocero di Mosè gli diede questo consiglio (Es 18, 21-22): «Sceglierai tra tutto il popolo uomini integri che temono Dio, uomini retti che odiano la venalità e li costituirai sopra di loro come capi di migliaia, capi di centinaia, capi di cinquantine e capi di decine. Essi dovranno giudicare il popolo in ogni circostanza».
Il secondo dubbio su questa questione potrebbe tuttavia riguardare il prestito. Sembra che si debba dire che se in base a questo patto [gli ufficiali] fanno un prestito per ricevere un ufficio, senza dubbio il patto è usurario perché ricevono il potere dell’ufficio per un prestito; perciò in questo affare darete loro l’occasione di peccare, e per ciò sarebbero anche tenuti a rinunciare all’ufficio così acquisito. Se però darete l’ufficio gratuitamente, e poi riceverete da loro un prestito che possono recuperare dal loro ufficio, ciò potrà avvenire senza alcun peccato.
SESTA RISPOSTA
In sesto luogo avete chiesto se sia legittimo imporre tasse ai sudditi cristiani.
In questo bisogna considerare che i sovrani delle nazioni sono istituiti da Dio non per cercare il proprio tornaconto, ma per procurare il bene comune dei popoli. Infatti in Ezechiele si dice della colpa di alcuni sovrani: “I suoi capi in mezzo ad essa sono come lupi che dilaniano la preda, versano il sangue, fanno perire la gente per turpi guadagni» (Ez 22,27). E altrove si dice per mezzo dello stesso Profeta: «Guai ai pastori d’Israele, che pascono se stessi! I pastori non dovrebbero forse pascere il gregge? Vi nutrite di latte, vi rivestite di lana, ammazzate le pecore più grasse, ma non pascolate il gregge» (Ez 34,2-3). E per questo motivo furono stabiliti degli stipendi [reditus] per i principi di questa terra, affinché, vivendo di essi, si astenessero dall’impoverire i propri sudditi. E perciò nello stesso Profeta, sotto comando del Signore, è detto: «Questa sarà la sua terra, il suo possesso in Israele e così i miei prìncipi non opprimeranno il mio popolo» (Ez 45,8).
Accade però talvolta che i sovrani non abbiano entrate sufficienti per la difesa della patria e per quelle altre cose di prima necessità che si possono ragionevolmente aspettare dai principi: in tal caso è giusto che i sudditi provvedano alle cose che sono rivolte alla comune utilità. Ed è così che in alcuni paesi, per antica consuetudine, i sovrani impongono ai loro sudditi tributi che, se non sono eccessivi, possono essere richiesti senza peccato, perché, secondo l’Apostolo, «Chi mai presta servizio militare a proprie spese?» (1 Cor. 9,7). Così il sovrano che va in battaglia per il bene comune dovrebbe vivere anche delle cose della comunità o procurarsi dai commerci della comunità, o con le rendite assegnate, oppure, se queste cose mancano o sono insufficienti, per tramite dei tributi raccolti dai sudditi. E sembra che si pensi allo stesso modo se si presenta di nuovo una situazione in cui è necessario spendere molto per l’utilità comune o per preservare la genuina posizione del principe, per la quale il suo reddito personale o le tasse abituali non sono sufficienti: come nel caso di un’invasione nemica o situazioni simili, i sovrani possono esigere dai loro sudditi, oltre alle tasse usuali, anche qualcosa per l’utilità comune. Ma se volessero esigere oltre ciò che è stato stabilito, per il solo desiderio di averlo [pro sola libidine habendi], o per spese disordinate e smodate, ciò non è loro in alcun modo consentito. Per questo Giovanni il Battista disse ai soldati accorsi a lui: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno, contentatevi delle vostre paghe» (Lc 3,14), perché la rendita dei principi è come le loro “paghe”, e dunque si accontentino anch’essi di non pretendere altro, se non per la ragione suddetta, e se il beneficio è comune.
SETTIMA RISPOSTA
In settimo luogo avete chiesto, se dei funzionari avessero estorto qualcosa ai sudditi senza l’ordine della legge e se questo qualcosa fosse finito nelle vostre mani (o anche no), cosa dovreste fare al riguardo.
In tal caso la risposta è chiara, perché, se dovessero capitarvi [tali profitti estorti illegalmente] tra le mani, dovreste restituirlo alle vittime se fosse possibile, oppure spenderlo per usi pii o per l’utilità comune, se non si ritrovassero tali persone [le vittime dell’estorsione]. Se [tali proventi illeciti] non dovessero finire nelle vostre mani, dovreste costringere i funzionari a una simile restituzione, anche qualora non conosceste le persone specifiche alle quali hanno estorto, affinché non traggano profitto dalle loro ingiustizie; infatti questi funzionari proprio per questo dovrebbero essere puniti da voi piuttosto severamente, affinché gli altri si astengano in futuro da una condotta simile, perché, come dice Salomone, «Percuoti il beffardo e l’ingenuo diventerà accorto» (Prov. 19:25).
OTTAVA RISPOSTA
Infine voi chiedete se è bene che in tutta la vostra provincia gli ebrei siano obbligati a portare un segno che li distingua dai cristiani.
La risposta è chiara: secondo uno statuto del Concilio generale, gli ebrei di entrambi i sessi in ogni provincia cristiana e in ogni tempo dovrebbero essere distinti dagli altri popoli in virtù di qualche ornamento. Ciò è imposto dalla loro stessa legge, cioè che si facciano delle frange ai quattro angoli dei loro mantelli, attraverso le quali distinguersi dagli altri.
Queste sono, illustre e pia Signora, quelle che attualmente si presentano come risposte alle vostre domande, nelle quali questioni non vi impongo il mio giudizio in modo tale da non sollecitare piuttosto il giudizio degli esperti a sostenersi. Possa il vostro regno aver lunga vita.