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Tre olandesi e un filippino: storia della cultura indonesiana

Ha fatto molto ridere la gaffe di Erick Thohir sui “tre olandesi” dell’Inter, in cui è incappato durante un’intervista a una televisione indonesiana: «Sono interista da quando l’Inter comprò il trio degli olandesi e poi con l’arrivo di Ronaldo».

L’imprenditore giavanese ha poi precisato su Twitter che in verità voleva riferirsi ai “tre tedeschi” (Brehme, Matthaus e Klinsmann) e non a Gullit, Rijkaard e Van Basten. Tuttavia, nonostante la dichiarazione fosse stata rilasciata in lingua madre («Saya sudah menjadi fans Inter, sejak mereka membeli trio Belanda, kemudian Ronaldo datang»), nella rettifica il Nostro, per giustificarsi, ha preferito puntare sull’assonanza tra Deutsche e Dutch come causa indiretta del lapsus, anche se nella lingua indonesiana i due aggettivi non si somigliano affatto (“trio Belanda” –da Holanda–  in alcun modo può essere confuso con “trio Jerman”).

È probabile che Thohir non si sia sbagliato per motivi linguistici, ma culturali: l’Indonesia nel corso della sua storia ha “conosciuto” l’Europa del Nord quasi esclusivamente attraverso le Indie orientali olandesi. Il dominio dei pirati “arancioni” (che durò in pratica fino al 1949 e la cui spietatezza è testimoniata dal classico Max Havelaar), ha influito profondamente sulla mentalità degli indonesiani (e anche su quella degli olandesi, come si è visto nelle ultime elezioni), persino dal punto di vista psicogeografico. Per questo, qualsiasi individuo proveniente dall’Europa settentrionale, sia egli tedesco, norvegese, finlandese, a Giakarta e dintorni è suscettibile di trasformarsi, quasi per riflesso condizionato, in “olandese”.

Nelle letterature del sud-est asiatico tale “confusione” sul Vecchio Continente è tipica di un certo “esotismo all’inverso” (“inverso”, s’intende, solo per noi): per esempio, il “Dante delle Filippine” Francisco Balagtas (1788-1862), ambientò il suo romanzo Florante at Laura (1838) in un’Europa immaginaria racchiusa tra l’Albania e la Grecia, quasi antesignana dell’Asia salgariana. Anche nella letteratura indonesiana moderna ci sono diverse testimonianze di un simile approccio; un esempio interessante –perché coinvolge l’Italia– è la poesia Lagu Gadis Itali (“Canto di una ragazza italiana”) di Sitor Situmorang (1923-2014), in cui persino Napoli diventa un luogo fuori dal tempo e dallo spazio.

Fatti i debiti mutamenti, si tratta della stessa forma mentis che ha ispirato la famosa battuta del presidente della Sampdoria Massimo Ferrero rivolta proprio contro Thohir (“Caccia via quer filippino”): purtroppo per lui non è valsa alcuna giustificazione storico-culturale, dato che poi è stato multato e sanzionato.

Da questo punto di vista, la scusa dell’“ignoranza” per Thohir dovrebbe valere ancor meno, in quanto rampollo di una delle famiglie più in vista della borghesia cosmopolita asiatica, i cui rappresentanti non si vergognano di chiamare i proprio figli “Erick” (in onore del condottiero vichingo Erik il Rosso) e “Garibaldi” (sì, a questo mondo esiste un Garibaldi Thohir, che è anche uno degli uomini più ricchi dello stesso, seppur non immune da scandali finanziari).

Penso che alla fine dovremmo essere più tolleranti nei confronti di un “filippino” e capire che egli è per certi versi esentato dall’aver sempre presente la geografia europea. Certo, è un po’ inquietante il fatto che in Indonesia l’Inter sia conosciuta come Inter Milan (mentre il Milan è solo Milan): sarebbe spiacevole scoprire che il Presidente si sia confuso sin dall’inizio…

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