Trump 2020

https://twitter.com/RealJamesWoods/status/1096523508811591680

“These are the wildest times”, twitta James Wood a commento di un video memetico postato da Trump che preannuncia una campagna elettorale ancora più frizzante di quella precedente. In un momento in cui l’America era stata sedata da decenni di “fine della storia” e di pilota automatico tecno-globalista, l’ingresso in politica del tycoon ha avuto un effetto dirompente, restituendo dignità politica a un bipartitismo perfetto non più sostenibile. La prima corsa di Trump è stata a tutti gli effetti quella di un candidato indipendente, intenzionato a violare tutti gli steccati del politicamente corretto: nella sua imprevedibile cavalcata ha tirato in ballo, tra le altre cose, Wikileaks e l’FBI, la guerra in Iraq, la moglie messicana di Jeb Bush, gli immigrati musulmani, Papa Francesco, il muro di Israele, gli stupri di Bill Clinton eccetera eccetera. Si è comportato da Dio Imperatore dei meme e una volta eletto non ha deluso le aspettative da Chaos President (come lo aveva bollato l’unico Bush a non esser diventato presidente).

Il primo discorso “ufficiale” della campagna presidenziale 2020 (quello che segue l’appoggio unanime del Partito Repubblicano alla sua ricandidatura), si è appena tenuto a El Paso (Texas).

Trump irrompe al cospetto di un pubblico galvanizzato da Nessun dormaSympathy for the Devil, mentre dall’altra parte del quartiere si svolge l’insignificante protesta del democratico Beto O’Rourke, un tizio irlandese che si fa chiamare come un sudamericano e che purtroppo dovremmo sorbirci per qualche tempo (probabilmente vi sarete già imbattuti in qualche capolavoro di genuflessione della stampa italiana).

Come in una riproposizione rilassata del Discorso sullo Stato dell’Unione, il Presidente snocciola i suoi successi nel campo del trade deficit (abbattuto dal lato della domanda) e dell’occupazione femminile, afro-americana, ispanica e asiatica, annuncia l’introduzione del Right-to-try come parte di una rivoluzione medicale più ampia (che comprende l’eliminazione dell’Aids e del cancro infantile, nonché il calo progressivo del prezzo dei farmaci), il ritorno degli Stati Uniti al primo posto della lista degli esportatori di petrolio e gas naturale nel mondo, l’abbandono di qualsiasi velleità militaristica e il ripristino della cara vecchia mentalità “isolazionista” tipica del paleo-conservatorismo.

Numerose le vicende storiche evocate, in conformità alla sensibilità texana: lo slogan della rivoluzione (“Come and take it!”) e gli eroi della battaglia di Alamo come simboli del destino di libertà al quale sono chiamati gli americani, uniti a riferimenti meno diretti come quello sul Great Tariff Debate del 1888 coi quali Trump ha voluto inserire il suo operato nel solco della tradizione politica nazionale. A un pubblico texano non si poteva propinare di più, considerando i sentimenti da America profonda di quell’elettorato, in aggiunta alla presenza di Ted Cruz (un altro al quale ha insultato la moglie, è un vizio), che nel 2016 era peraltro riuscito a rubargli qualche voto ricordando le sue origini newyorchesi (“Da Manhattan non vengono molti conservatori”).

Per la memetica potenza di fuoco c’è dunque ancora tempo, soprattutto se l’avversario sarà qualche lunatica delle nuove leve del Partito Democratico (o se sarà ancora la cara vecchia Hillary, capace di ricandidarsi in tutta scioltezza senza che un solo giornalista si azzardi a dirle alcunché).

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