Trumponomics e “populismo economico”: lezioni dagli Stati Uniti

Nel 2019 Steve Moore e Arthur Laffer, due importanti economisti di simpatie repubblicane, diedero alle stampe l’ancora fondamentale “manifesto” economico di Trump, Trumponomics, un’accattivante disamina alla quale partecipò anche Larry Kudlow, storico rappresentante della Reaganomics che, per evitare “conflitti d’interessi”, non firmò il volume in quanto chiamato alla direzione del National Economic Council.

Il volume non ha suscitato la dovuta attenzione da parte della stampa per chiari motivi ideologici: all’epoca solo il Financial Times gli dedicò un articolo, peraltro all’unico scopo di scomunicare le idee di Moore (poiché ai tempi era in lizza per la Federal Reserve): a dire del foglio britannico, l’economista sarebbe stati un pericoloso sostenitore di una looser monetary policy, ispirato da un perverso appetite for easy monetary policy. Ed effettivamente Trumponomics è un peana all’espansionismo monetario che a tratti sembra volutamente provocatorio, in particolare quando ricorda  che  anche i più devoti (a parole) al culto del “pareggio di bilancio” alla prova dei fatti si sono comportati in maniera sfacciatamente keynesiana.

L’esempio più lampante è rappresentato da quei neocon con la bava alla bocca per lo “spendaccione” Trump che plaudirono allo stimulus bushiano negli anni ruggenti in cui si rese necessario “abbandonare i principi del libero mercato per salvare il libero mercato” (ipse dixit): quasi un trilione (sic) di dollari venne perlopiù impiegato in sgravi fiscali…

La polemica fu particolarmente accesa durante gli anni del “socialista” Obama, che per Moore e Laffer è stato perlopiù un keynesiano impotente, visto che il suo stimulus (molto più strombazzato di quello di Bush, sempre per motivi politici) piuttosto che rilanciare l’economia servì a far arrivare qualche soldino agli “amici degli amici”, dal National Endowment for the Arts all’industria dell’auto elettrica, fino ai milioni di dollari devoluti a un giardino zoologico di proprietà dello Stato…

L’attuale paradigma economico-politico che riduce qualsiasi forma di keynesismo a “eresia”, è nel migliore dei casi aria fritta, e nel peggiore propaganda. Nessuno è davvero convinto che “l’alto debito pubblico sia distruttivo economicamente e persino moralmente”: sono parole dell’economista francese Olivier Blanchard, il figlio di Troika che va ancora di convegno in convegno a piangere sul latte versato. L’austerità è uno strumento così poco efficace sotto così tanti punti di vista che a una potenza imperiale che si rispetti è sconsigliato usarlo persino nei confronti dei propri vassalli.

Perciò è agevole dimostrare come per la “destra” (economico-finanziaria) i sacri dogmi della disciplina fiscale valgano solo per i tempi “più normali degli altri”: in tutte le altre occasioni, più che il TINA, vige invece il TTID (This Time Is Different) – tutto ciò s’intende, naturalmente, dalla prospettiva dei nostrani Chicago Boys (quelli col “master”, ricordate?). Fa comunque piacere, almeno a un lettore italiano, scoprire che oltreoceano gli economisti conservatori più ascoltati alla Casa Bianca siano dei fanatici della spesa pubblica improduttiva.

Venendo alla “sinistra”, anche questa fazione politica nelle sue varie espressioni coltiva il proprio “specchietto per le allodole”, principalmente colorato di rosso, verde e arcobaleno: per esempio, predicando le famose “patrimoniali” come forma di austerity dal volto umano; proponendo la decrescita come ultima possibilità di crescita; e indirizzando gli stimoli all’economia in rigagnoli improduttivi (vedi associazionismo di tutte le tendenze sessuali e ideologiche).

Sempre per restare in tema di America, la sinistra democratica (quella dei Bernie Sanders e delle Ocasio-Cortez) ha “scoperto” la MMT, la cosiddetta Teoria Monetaria Moderna che ha funzionato alla grande (si fa per dire) quando il figlio di Galbraith ha provato a fare di Varoufakis un interlocutore credibile di fronte agli eurocrati (se qualcuno volesse investigare su chi “ce lo aveva mandato” a Bruxelles, dovrebbe giungere alla conclusione che Trump è ancora un “Obama che ce l’ha fatta”).

Abbracciare la MMT senza nemmeno averla capita rappresenta comunque un tentativo di superare “a sinistra” la Trumponomics: lo riconosce persino uno dei critici più accaniti della “teoria”, il Nobel Paul Krugman (clintoniano d’annata), che aveva provato, seppur da conventional Keynesian, ad aprire il dibattito sul “New York Times”, in vista dell’obiettivo comune di superare il terrorismo psicologico sul “debito”.

Insomma, il “populismo finanziario” di Trump continua a triofanre su tutta la linea, costringendo la destra a fare “buon viso a cattivo gioco” (fingendo che l’espansionismo monetario di ogni amministrazione repubblicana sia eternamente indirizzato solo a tagliare le tasse) e la sinistra a proporre soluzioni speculari a quelle adottate dall’attuale Presidente (cercando appunto di declinarle in modo politicamente corretto).

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12 thoughts on “Trumponomics e “populismo economico”: lezioni dagli Stati Uniti

    1. אם מנתח מבצע ניתוח מיותר על מטופל, זה רשלנות רפואית. אם מחוקק, באותה מידה, הורס ערך, מסכן פרנסות ומוריד את רמת החיים, זו רשלנות כלכלית.

      אױ װײ

  1. L’espansione monetaria non ha molto a che fare con l’aumento del debito e non sembra affatto che trump voglia aumentare la spesa pubblica, anzi dichiara di voler fare esattamente il contrario. Del resto, i dazi comporteranno un aumento dell’inflazione e quindi una diminuzione del debito (semplicemente perché la moneta vale meno). Aumentare l’offerta di denaro aumenterà a sua volta l’inflazione e i danni ricadranno sui salariati. Davvero ci sfugge come possa considerarsi una cosa positiva, specie da parte di individui che non sono certo degli imprenditori.

    1. Queste sinceramente sono idee stantie, non so come una persona come te possa ripetere certi slogan davvero VETUSTI! I dazi sono stati pensati apertamente allo scopo di sostituire i beni non importati tramite la produzione nazionale, chiaramente c’è un piano ben definito (nonostante si pensi che Trump sia pazzo). E poi sinceramente mi pare che in questi anni, dalla crisi del 2008 fino alla pandemia, si sia visto come “attivare la stampante” non abbia portato ad un aumento dell’inflazione. Quello che è successo nel post-covid è dovuto più alle politiche di lockdown e di stop obbligati (comunque una sorta di “dazio” nel contesto di post-globalizzazione in cui ci troviamo) che all’aumento della “base monetaria”.
      L’idea che i lavoratori siano eterne “vittime dell’inflazione” è roba da anni ’70, passata -almeno in Italia- dalla retorica comunista a quella social-liberista che ovviamente sa solo proporre ricette deflazionistiche per il “bene del popolo”. Il dogma della “stabilità dei prezzi” è il più funereo che i tecnocrati abbiano potuto escogitare.

      1. Ma non è una questione ideologica, l’aumento dell’inflazione con l’aumentare dell’offerta di moneta è semplicemente una conseguenza economica inevitabile, a meno che non esista una grande capacità produttiva non utilizzata. Più moneta significa più domanda, più domanda più produzione, finché è possibile, e poi aumento dei prezzi senza aumento di posizione. Questo non richiede nemmeno la conoscenza della teoria economica, è proprio logica elementare. È altrettanto ovvio che l’aumento di domanda provoca sempre un certo aumento dei prezzi, anche se esiste capacità produttiva, perché l’adeguamento della produzione di norma è più lento dell’aumento di moneta. Ad ogni modo, non sarà necessario attendere molto per vedere gli effetti, e ovviamente li vedrà sopratutto chi ha uno stipendio pressoché fisso.

        1. Questa di cui parli non è “La Teoria Economica”, ma la teoria quantitativa della moneta, che peraltro non considera nemmeno una “conseguenza inevitabile” un procedere parallelo tra aumento dell’offerta monetaria e l’inflazione. Lasciamo però perdere le teorie, perché in fondo ognuno ha la sua (l’economia non funziona sulla base della “logica elementare”, ma perlopiù su dinamiche controintuitive e talvolta prettamente “illogiche”, dato che in virtù di tale “logica”, per dire, il Giappone dovrebbe essere più povero di una nazione africana), e parliamo della pratica: perché, giusto per fare l’esempio che ho evocato prima, il quantitative easing non ha prodotto inflazione, che peraltro era lo scopo cui si era proposto? La domanda è retorica, ovviamente, perché qui si parla di economia reale e non di giochi di prestigio draghiani. E per l’appunto, come hai detto tu, se la produzione si espande facilmente, l’aumento di domanda viene assorbito senza aumenti di prezzo, che è poi l’obiettivo base di questo nuovo corso “tariffario” americano.

  2. 1 I dazi sono stati pensati apertamente allo scopo di sostituire i beni non importati tramite la produzione nazionale, chiaramente c’è un piano ben definito (nonostante si pensi che Trump sia pazzo).
    questa è divertente: ce la riproporrai quando se li rimangerà tutti o quando avrà un attacco cardiaco?

    2 L’idea che i lavoratori siano eterne “vittime dell’inflazione” è roba da anni ’70, passata -almeno in Italia- dalla retorica comunista a quella social-liberista che ovviamente sa solo proporre ricette deflazionistiche per il “bene del popolo”.

    anche la confindustria è troppo a sinistra per te: https://www.ilsole24ore.com/art/per-l-impatto-dell-inflazione-perso-79percento-potere-d-acquisto-rispetto-fase-pre-covid-AGjgtIIC

    3 Il dogma della “stabilità dei prezzi” è il più funereo che i tecnocrati abbiano potuto escogitare.

    mi figuro gli altri, di dogmi

    1. Tu commenti prendendo un articolo a caso de “Il Sole 24 Ore” che ovviamente non hai letto per dimostrare quale punto? Giusto per farti sapere: non sono stati né i dazi né l’aumento di offerta monetaria a causare l’inflazione attuale.
      Se Trump si “rimangiasse” i dazi, ciò non toglierebbe la necessità di trovare un modo per reindustrializzare il Paese. Il vero problema è che gente come te è ottusa (e siete la maggioranza), dunque bisogna sempre “indorargli la pillola” per fargli accettare cose che non accetterebbe dall’altra “fazione politica”. Infatti i democratici hanno migliaia di espedienti per giungere allo stesso risultato, mascherandoli da ambientalismo e altre amenità sinistroidi: ma per gli Stati Uniti ora serve una cura da cavallo.

      1. “Giusto per farti sapere: non sono stati né i dazi né l’aumento di offerta monetaria a causare l’inflazione attuale.”

        non l’ho mai scritto but you are some sort of mind reader, i guess;

        “Se Trump si “rimangiasse” i dazi, ciò non toglierebbe la necessità di trovare un modo per reindustrializzare il Paese. ”

        comunque quando i fondi pensione americani s’incazzeranno potrai tentare di convincerli che i dazi reindustrializzeranno il paese: good luck, boy

        1. Al bar del paese ti danno retta? Per me hai dei rapporti con gli altri commensali stile virgin vs chad.
          Comunque visto che parli inglese, fuck you e adieu

  3. Almeno apprezzate la mia onestà: essere uno di { [ ( loro ) ] } non mi ha impedito di risparmiare dai dazi Isreale.

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