Turetta Non Esiste è un meme creato tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024 sull’onda del clamore mediatico suscitato dall’omicidio della studentessa universitaria ventiduenne Giulia Cecchettin da parte del suo ex fidanzato Filippo Turetta avvenuto a novembre dell’anno scorso nel veneziano.
L’evoluzione a cui è andato incontro il meme non impedisce di analizzarne in modo distinto sia la diffusione, sia i propositi per cui esso è stato creato, i quali risiedono nella critica alle dinamiche paradossali e illogiche tramite cui si esprime la comunicazione di massa, caratterizzate, in questo come in altri episodi, da un’enfatizzazione strumentale e fortemente selettiva di taluni fatti di cronaca per fini ideologico-politici estranei ai propositi morali (o moralistici) così facilmente esibiti dai “padroni della voce”.
Partire dai presupposti per cui l’inesistenza di Filippo Turetta è diventata un meme potrebbe essere un esercizio utile alla comprensione della fragilità strutturale delle fantasmagorie imbastite dalla mediasfera nazionale e spacciate da essa come “la realtà”, tra le quali, sempre nel caso in questione, si annoverano le accuse collettive al “maschio italiano”, la colpevolizzazione di un presunto “partiarcato” e, detto col massimo rispetto per il loro dolore, le esibizioni di dubbio gusto dei parenti della vittima. Ed è su questi presupposti che vorrei concentrarmi, lasciando agli altri l’entusiasmo o l’indignazione per gli sviluppi successivi.
Fino ad oggi all’Affaire Turetta avevo dedicato solo una manciata di articoli, peraltro scritti sull’onda dell’irritazione dovuta al delirio mediatico (per citare: Femminicidio e dissonanza cognitiva, 19 novembre 2023; Le femmine vogliono “bruciare tutto”? Comincino a non bruciare l’arrosto e le camicie da stirare, 22 novembre 2023; Modelli di mascolinità positiva? Ma lasciateci in pace…, 23 novembre 2023; Bruciate Tutto, dissero le falene volando verso la candela, 29 novembre 2023).
Se torno a parlarne, è esclusivamente per analizzare la riuscitissima operazione di memetic warfare che va sotto l’etichetta di Turetta Non Esiste (d’ora in avanti TNE). [La mia opinione “seria” sull’episodio è del resto nota, ma la sintetizzo in due parole per chi non mi ha seguito: a mio parere l’omicidio Cecchettin è un delitto passionale che, per quanto tragico, non si differenzia dalla stragrande maggioranza dei casi di questo tipo, relegati perlopiù nell’ambito della cronaca locale (come dimostra del resto il diverso trattamento ricevuto dall’uccisione a coltellate di una donna incinta da parte dell’ex amante, un quarantenne di origini kosovare, a poche settimane dal delitto Cecchettin, nonché a una quarantina di chilometri dal luogo in cui si è verificato quest’ultimo). La classificazione di tali episodi come “femminicidi” e la loro successiva trasfigurazione in “emergenze nazionali” variano in base a criteri che davvero poco hanno a che fare con la “corretta informazione”].
La prima “pillola rossa” lanciata da quel network indicato generalmente come “mattonista” risale ai giorni immediatamente successivi alla sovraesposizione mediatica della sorella maggiore della vittima, ed è identificabile nelle speculazioni sull’abbigliamento e sui profili social di Elena Cecchettin, tacciata di “satanismo” e accusata di aver fatto entrare un demone nel corpo dell’ignaro Turetta per portarlo a compiere un sacrificio rituale allo scopo di propiziare una specie di matriarcato wicca.
Sennonché gli effetti di questa “schizoteoria” non devono esser stati all’altezza della aspettative, nel momento in cui l’obiettivo di certi “mattoni” lanciati nell’infosfera non dovrebbe esser semplicemente quello di épater le bourgeois tramite il surriscaldamento dei contatori dei fact checkers, ma anche, se non soprattutto, spingere verso nuove frontiere della paranoia una particola sezione dell’immensa area grigia della cultura di massa (definibile con vari epiteti: “normaloidi”, dall’inglese normie o normalfag, oppure per chi tende ai sociologismi Middlebrow o CMSK –ceto medio semicolto-), composta da diverse specie di “fruitori”, tra cui i più pittoreschi sono decisamente i cosiddetti boomeroni redpillati.
La visione dei “mattonisti” (cosca che rispetto ma con la quale non ho nulla a che fare principalmente per questioni anagrafiche), come mi ha testimoniato uno dei suoi più illustri rappresentanti, è infatti quella di una infosfera italiana radicalizzatasi (principalmente nel periodo post-covid) nei due campi opposti del debunkerismo e del boomerpostaggio, una conformazione che obbliga qualsiasi trollata proveniente da tale fazione a sottostare alla necessità, per dirla in modo banale, di “prendere due piccioni con un fava”.
Per tornare al primo meme/mattone, l’insinuazione che una ragazza dell’Italia odierna, la quale partecipa come migliaia di altre di un’estetica satan chic propalata con ogni mezzo espressivo (arte, abbigliamento, musica, cinema, persino religione), possa effettivamente avere avuto qualche esperienza nell’ambito dell’occulto (parliamo però di roba da teen horror americano), non potrebbe chiaramente lasciar di stucco il piddino medio, nemmeno se a ritwittarla fosse il sindaco leghista di Vergate sul Membro.
È probabile che a partire da tale constatazione il mattonismo abbia maturato un’idea così incredibile da non poter essere creduta da nessuno, se non dagli “sbufalatori” di professione e dai boomeroni redpillati (anche “onorari”) di cui sopra. Inoltre, sono personalmente convinto che TND sia stato in parte pensato come versione italiana della Breakfast Question, cioè uno strumento che potesse fungere da test cognitivo informale per il proprio interlocutore (posto che la fatidica domanda “Come ti sentiresti se non avessi fatto colazione questa mattina?” perde ogni validità nel contesto di generale trollaggio, anche inconsapevole, rappresentato dalle interazioni sui social).
Non è difficile identificare per sommi capi come questa intelaiatura sia stata messa in piedi: il contesto da cui si parte, come si è detto, è quello della critica alla comunicazione di massa, che nel caso di Turetta si esplicita nella mera constatazione che, nel contesto dell’infosfera, l’assassino non dovrebbe esistere, ovvero che l'”italiano medio” tour court non avrebbe alcun bisogno di conoscerne il nome, nello stesso modo in cui ignora il nome di tutti gli altri uomini (dai 40 ai 45 secondo le varie statistiche) che nel 2023 hanno ammazzato le loro compagne (a meno che un “italiano medio” particolare non sia parente della vittima, o che eventualmente l’episodio non si sia verificato a meno di 50km di distanza dal luogo in cui vive, o ancora che non sia un poliziotto, un giudice o una guardia carceraria).
Perciò, rebus sic stantibus, deve esser stato piuttosto breve il passo dal TNE come critica a una creazione mediatica basata su strumentalizzazioni e disonetà intellettuale (che non implica in alcun modo l’inesistenza fisica del soggetto), al TNE memetico che da mesi sta devastando il discorso pubblico nazionale come un mattone che distrugge la lavatrice in cui viene lanciato (la metafora è puramente casuale).
Si possono rintracciare almeno due precedenti “storici” di questa sorta di psy-op dal basso (in senso lato): il primo risale al 2012, quando negli Stati Uniti (e dove, altrimenti?) le teorie del complotto su una sparatoria avvenuta alla Sandy Hook Elementary School del Connecticut (nella quale un 19enne autistico uccise venti bambini), lanciate su una piattaforma dedicata al trolling professionistico (4chan) come critica specularmente demenziale alla cagnara sulla “cultura delle armi” e sull’urgenza di provvedimenti draconiani contro il possesso legale di una pistola, divennero parte integrante del mainstream nel momento in cui il guru schizoteorico Alex Jones cominciò a girare decine, se non centinaia, di video sulla Sandy Hoax, obbligando un’importante fetta del pubblico americano a infilarsi volente o nolente in quella tana del bianconiglio, arrivando a coinvolgere persino la tv di stato iraniana e ponendo le basi per il caleidoscopio QAnon.
Vorrei ricordare che, allo stato attuale, InfoWars, la creatura di Jones, è stata messa all’asta per pagare la cifra di circa un miliardo (sic) di dollari alle famiglie delle vittime che gli hanno fatto causa per diffamazione: pur essendo convinto che TND non possa portare a esiti di tale tipo (in ogni caso a pagare dovrà essere il buon Musk), ma uno dei punti “vincenti” dei querelanti è stato proprio il fatto che i mass media avessero smesso di riportare la “realtà” dalla loro prospettiva per discutere di “squadroni della morte”, crisis actors e green screens (o, per meglio dire, delle pagine di Facebook che ne parlavano).
Un altro “precedente” che voglio riportare è avvenuto nientedimeno che in Italia, penso a metà del 2021, su Twitter (non ne rimangono che sparute testimonianze a causa della censura ancora vigente sul social network): un bel giorno qualcuno si era messo in testa di negare l’esistenza del 2002. Sì, intendo proprio l’anno: l’idea stessa di affermare che dal 2001 si era passati direttamente al 2003 perché in quel periodo “non era successo nulla” oppure “non mi ricordo che sia mai esistito un 2002”, aveva avuto un successo incredibile (se paragonato alla verosimiglianza della “teoria del complotto”), segnatamente nel rivelare l’effettiva polarizzazione dei due “campi” a cui si accennava, anche se all’epoca erano stati perlopiù gli aspiranti debunker a dar la caccia al “terrapiattista” di turno per provare l’ebbrezza di sentirsi “dalla parte della scienza”.
Alla luce di tali esempi, in specie l’ultimo, si evince come TND possa valere da “cartina tornasole” di un’effettiva radicalizzazione degli opposti estremismi. Ripeto, non voglio discutere delle evoluzioni che il meme ha subito, anche se è un dato di fatto che d’ora in avanti ci saranno persone che crederanno per sempre (o comunque per il tempo che gli resta da vivere, ma i boomer sono piuttosto longevi nonostante i vaccini) che un Filippo Turetta non sia mai esistito e che si sia trattata di un’operazione dei servizi segreti o della massoneria volta a far ottenere qualche finanziamento in più ai “centri anti-violenza”.
In conclusione, mi sento obbligato a spendere due righe (forse le più noiose, e ce ne vuole) sulla dimensione più sconcertante della vicenda, cioè il fatto che un’affermazione come “Turetta non esiste” sia potuta risultare credibile proprio in virtù dell’apparato ideologico messo in piedi dallo stesso sistema che irride a essa.
Ricostruiamo brevemente un importante pezzo di storia recente: come è noto, l’espressione fake news cominciò a essere utilizzata quotidianamente dalla stampa internazionale solo nel 2016, più esattamente un attimo dopo l’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti, trasformandosi in un motivo di polemica perenne contro chiunque non fosse allineato a quella specie di dottrina pseudo-sinistroide che appare come la condicio sine qua non per non essere cancellati dalla vita civile.
Ecco, un dato pacifico è che l’epidemia di fake news che avrebbe plagiato la mente degli elettori occidentali è di per sé stessa una fake news: l’infinita polemica contro il “popolino populista” è infatti partita dall’alto, in particolare da un certo Paul Horner, scrittore, comico e web designer, che nella seconda metà del 2016 creò siti-fotocopia di CNN, CBS e NBC a suo dire per “migliorare la società”, ma a ben vedere solo per lucrarci attraverso la sponsorizzazione (erano dei mirror demenziali con dominio .co, qualcosa di molto somigliante al nostrano “Lercio”, per intenderci).
Una sorta di art project dichiaratamente votato alla sensibilizzazione sui meccanismi dell’informazione eccetera, ma il cui scopo recondito era altrettanto evidente; come Horner dichiarò in un’intervista al “Corriere”:
«Io credevo che quelle notizie avrebbero danneggiato Trump e invece è successo il contrario. Ad esempio, quando ho scritto che gli Amish erano diventati suoi supporter, l’ho fatto per ridicolizzarlo, speravo che leggendo queste cose le persone pensassero che era una follia votare per lui. E invece i suoi supporter si limitavano a leggere il titolo e il sommario e, così facendo, hanno finito con il dare a quelle notizie il significato che volevano. Il punto è che quando leggi un mio articolo, vedi che, al di là del titolo e del primo paragrafo, più vai avanti e più la storia diventa ridicola e paradossale. Sono articoli di satira, ma sono stati usati per altri scopi».
Dopodiché di Horner non se n’è più parlato perché è venuto a mancare nel settembre 2017, a soli 39 anni: ironia della sorte, la notizia è ancora considerata una “bufala” per le circostanze misteriose in cui è avvenuto il decesso, in seguito a una overdose di fentanil (e invece, paradossalmente, è questo lo spaccato più reale di tutta la vicenda: la famigerata “epidemia di oppiacei” che ha maciullato la classe media americana, della quale il primo responsabile è la famiglia di “filantropi” dei Sackler).
Di conseguenza, TND si è limitato a mimare la mania sinistroide di irridere i “sempliciotti” (webeti ecc…), ponendo però una riflessione più profonda sulle cause per cui il cittadino medio sia diventato così credulo e abbindolabile, soprattutto in un Paese come l’Italia dove l’istruzione ha sempre avuto un marcato orientamento politico (e quindi certe certe domande dovrebbe porsele in primis la “sinistra”).
Al di là ancora dei sociologismi, il problema si riflette su un livello superiore, se pensiamo che accanto a fake news l’altra formula magica anti-trumpiana è stata “post-verità”: quasi che in decenni di decostruzionismo e studies l’idea di verità non sia stata ridotta dall’accademia a “concetto euro-occidentale profondamente radicato nell’illuminismo”, per citare la lettera aperta di alcuni universitari californiani stilata allo scopo di designare la veritas quale “strumento del suprematismo bianco”.
Per l’appunto: Quid est veritas? Con queste premesse qualsiasi intervento atto al contrasto delle fake news non può che tradursi in una catastrofe per la libertà di parola (pensiamo alle proposte di reclusione da 6 mesi a 3 anni): gli stessi che usano la dialettica come grimaldello per scardinare qualsiasi istituzione vorrebbero al contempo porre un limite legislativo alla corrosività della critica (perché tutto può essere messo in discussione, tranne il fideismo degli infedeli).
In tutto ciò, lo sfortunato Horner si è resto strumento (inconsapevole?) di un esteso progetto di censura che comincia a prendere forma in maniera definitiva: come se gli “imbonitori” ora chiedessero di mettere in galera quelli che si sono lasciati appunto “imbonire”. Come sempre, Piscis primum a capite foetet: le fake news sono un progetto nato per ridicolizzare il proprio avversario politico che tuttavia, avendo sortito effetto contrario, ora vengono addebitate a coloro i quali le hanno dovute “subire”. Una artefatta epidemia psichica curata col lockdown delle menti, soluzione ormai valevole per qualsiasi “campo”.