Poco tempo fa in Svezia fece (incredibilmente?) scalpore la scoperta di un’intera sezione della Biblioteca Reale di Stoccolma dedicata alla pedopornografia, imbarazzante lascito degli “anni ruggenti” del libertinismo scandinavo, che negli anni ’60 del secolo scorso toccò il suo apice con la legalizzazione della pornografia minorile. La Kungliga Biblioteket, obbligata a ospitare qualsiasi pubblicazione del Paese, si riempì di rivistacce da titoli inequivocabili come “Teenangels” e “Lolita”.
In quella stessa epoca, la Federazione Svedese per i diritti di Gay, Lesbiche e Transgender (che allora si chiamava più genericamente Riksförbundet för sexuellt likaberättigande “Federazione Nazionale per l’Uguaglianza Sessuale”) riuscì a persuadere il governo nazionale a creare una commissione per la depenalizzazione della pedofilia e dell’incesto (era il 1976).
La Svezia tuttavia vietò nuovamente la pedopornografia nel 1980, e gli svedesi preferirono lasciarsi alle spalle quella stagione: tuttavia i “reperti” dell’epoca (che sono comunque consultabili da chiunque, nonostante tali pubblicazioni siano attualmente proibite) ci riportano un tempo in cui la pedofilia era molto più tollerata rispetto a oggi.
Di quel clima si possono raccogliere testimonianze da tutta Europa: qualcuno ricorderà il celebre caso di Daniel Cohn-Bendit, che nel 1975 raccontò in un’autobiografia le sue esperienze erotiche in una scuola materna e nel 2009 fu costretto a scusarsi inscenando un ridicolo autodafé con cui addossò ogni colpa “agli anni ’70” (non che avesse tutti i torti, considerando cos’erano i “Verdi” tedeschi fino a pochi decenni fa).

Un episodio eclatante, che ebbe risonanza anche nel nostro Paese, fu quello riguardante il fotografo americano Will McBride, che collaborò con la psicologa Helga Fleischhauer-Hardt al primo libro pornografico per bambini, Zeig Mal!, tradotto in italiano nel 1978 da Savelli Editori come Fammi vedere! (sottotitolo: Un libro fotografico di educazione sessuale non conformista per bambini e grandi).
Gli “anni ‘70” di Cohn-Bendit arrivarono quindi pure in Italia, e basterebbe sfogliare qualsiasi rivista dell’epoca per trovare numerose conferme: la curiosità con cui si guardava alla pedofilia era fondamentalmente la stessa che si nutre oggi per la famigerata “cultura gay”.
Le riviste facevano a gara per intervistare questo McBride; riportiamo un tipico scambio di battute (da P. Bompard, Un fotografo famoso ha scelto l’Italia, “Fotografare”, dicembre 1979):
«Qualche anno fa hai prodotto un libro sulla educazione sessuale per i bambini. È stato tradotto in varie lingue ed ha venduto un totale di quasi un milione di copie. È anche stato accusato di essere un libro pornografico, per via delle fotografie che mostrano bambini che giocano con i propri e gli altrui organi sessuali, erezioni, ecc. ecc. Che reazioni hai avuto nei vari Paesi dove è stato pubblicato?
McBride – In Italia è presto per conoscere le reazioni del pubblico. Altrove le reazioni sono state spesso critiche e violente. Ma la cosa interessante è che gli educatori, i sociologi, pediatri, psichiatri, sessuologi, ecc., lo approvavano pienamente e lo mettevano, in molti casi, sugli scaffali delle scuole. I problemi sorgevano quando il “Pierino” lo prendeva dallo scaffale della scuola e se lo portava a casa e i genitori scoprivano che “Pierino” a scuola aveva un libro con foto “oscene”. Ci sono state parecchie reazioni negative, per esempio, nel Sud degli Stati Uniti, ed anche in Europa. Si diceva, appunto, che fosse un libro pornografico»
Molti altri esempi si potrebbero portare, come le recensioni a riviste americane dai titoli poco originali quali “International Lolita Magazine” o “New Lolita”, oppure le dotte elucubrazioni sul ruolo di prostituta-bambina dell’allora tredicenne Brooke Shields in Pretty Baby di Louis Malle. Erano i tempi, per fare l’esempio definitivo, in cui il fior fiore dell’intellighenzia francese (Althusser, Barthes, Derrida, Foucault, Sartre e de Beauvoir, André Glucksmann…) pubblicava appelli sulle prime pagine dei giornali per la “depenalizzazione di tutte le relazioni consentite tra adulti e minori” (incesto, pedofilia e rapporti tra minori stessi compresi, ovviamente).
Discutere in modo neutrale di pedofilia era accettato nei salotti e l’aggancio con la cultura gay, come si è potuto osservare nel caso svedese, non faceva per nulla indignare le associazioni omosessuali (del resto è noto che per qualche tempo alla International Lesbian and Gay Association fu affiliata l’associazione pedofila americana NAMBLA). Perciò i pedofili potevano apparire come “compagni di strada” nella lunga battaglia per la liberazione sessuale; come tutto questo non abbia però condotto a una legalizzazione progressiva della pedofilia, è ancora materia di discussione.
A mio parere si possono chiamare in causa due eventualità: prima di tutto, la divergenza sempre più netta tra la “militanza” omosessuale e quella pedofila; e in secondo luogo l’attenzione che da oltre un decennio viene data agli abusi sui minori da parte del clero cattolico.
Per quanto riguarda il primo punto, è un fatto che a partire dalla metà degli anni ’80 il mondo gay si è sempre più allontanato da quello pedo: anche in Italia è giunto un’eco di tale dissidio, per esempio con la soppressione degli annunci pedo nella rivista gay “Babilonia”. Si potrebbe persino dire che per un lungo periodo gli omosessuali siano diventati i primi censori di questo tipo di “sottocultura”, mentre fino a un attimo prima si tendeva a considerare le tendenze omo e pedo come parte di una stessa consuetudine, genericamente definita pederastia.
Venendo alla seconda ipotesi, potrebbe apparire provocatorio affermare che il più grande ostacolo posto alla legalizzazione della pedofilia sia rappresentato dallo scandalo dei preti pedofili: eppure è proprio da quando si è cominciato a parlare del tema, che il dibattito ha preso una piega inaspettata.
All’accettazione dell’omosessualità a livello collettivo, avrebbe infatti dovuto seguire naturalmente (diciamo così) quello di altre “libertà” sessuali: negli anni ’90, nonostante tutto, c’era ancora grande attenzione da parte della stampa a non “demonizzare”, a non scatenare la “caccia alle streghe”. Ancora nel 2000 un noto sociologo italiano, Ilvo Diamanti, poteva scrivere sul “Sole 24 Ore” che i pedofili «ci danno la possibilità di indignarci, magari di odiare, ritrovando almeno in questo, tra tanta frammentazione sociale, un motivo di unità».
Dopo che il problema della pedofilia nel clero è emerso con tutto il fragore possibile, gli appelli alla sensibilità e alla comprensione sono stati messi da parte. Si trattava del resto di un’occasione ghiottissima per riaprire il Kulturkampf: che però il dibattito, come abbiamo detto, non dovesse proseguire in tal modo lo si evince, per fare un esempio, da certi articoli sulla stampa inglese con cui si tenta periodicamente di “normalizzare” la questione, e che in genere suscitano una ridda di reprimende e commenti furiosi. Se fossimo negli “anni ’70” di Cohn-Bendit, probabilmente la proposta di diventare più “tolleranti” verso la pedofilia apparirebbe più come una richiesta di routine che come un minaccioso ballon d’essai.
È difficile non riconoscere in tutto questo una manipolazione dell’opinione pubblica da parte del mainstream, il quale obbliga a una sorta di “demonizzazione selettiva” della pedofilia. Se l’attenzione viene infatti mantenuta ai massimi livelli quando si tratta del clero cattolico, ben diverso è l’atteggiamento nei confronti di altri “scandali”, quando coinvolgo la BBC (ma non voglio nemmeno dilungarmi su Jimmy Saville) o il parlamento britannico.
Tale ambivalenza, oltre a essere sconfortante, genera anche la fastidiosissima doppia morale di chi da un lato insorge contro la “pedofilia clericale” e dall’altro invece avanza proposte di depenalizzazione della stessa, a patto che non sia “clericale” (un caso classico è quello dei Radicali).
La situazione ricorda l’ormai proverbiale “stallo alla messicana” nel quale tre contendenti si tengono a vicenda sotto tiro e nessuno può sparare all’altro senza essere colpito a sua volta.
Abbiamo infatti da una parte le lobby LGBTecc che, dopo essersi ripulite da qualsiasi legame con la pedofilia (facendola diventare addirittura una sorta di capro espiatorio sul quale scaricare le “fobie” che un tempo erano riservate alla “pederastia” tout court), ora teme che l’eccessiva demonizzazione dell’orco possa portare a un nuovo “giro di vite” (come quello del 1980 in Svezia) e a un ripensamento anche su temi particolarmente cari agli omosessuali militanti quali il diritto all’adozione o la cosiddetta “educazione di genere” nelle scuole; dall’altra, invece, ci sono i propugnatori dell’amore libero a oltranza che vorrebbero promuovere o legalizzare «adulterio, masturbazione, orge, sadomasochismo, uso di pornografia e “gadget” sessuali (dal vibratore al viagra alle iniezioni nei corpi cavernosi), scambio di coppie, prostituzione, financo sesso con animali (se non si dà luogo a maltrattamento), e chi più ne ha più ne metta, il tutto sia in chiave etero che omo che transessuale», come scrisse a suo tempo un sublime pensatore italiano, che però si è rifiutato (come mai?) di aggiungere la pedofilia all’elenco, appunto perché troppo “compromettente” (s’intende rispetto ai tempi in cui non serviva ancora per polemizzare con la Chiesa).
Infine ci sono proprio i cattolici, che dovrebbero bere il calice fino alla feccia, cioè accettare la demonizzazione collettiva del clero affinché questa società conservi un residuo di repulsione per l’ultimo “atto impuro” da essa riconosciuto e giunga a considerarlo così connaturato al cattolicesimo da non poterlo mai accettare come “normale”.
Del resto, le statistiche parlano chiaro: oltre al fatto che la media di pedofili nel clero cattolico (circa il 4%) non si distanzia da quella dei criminali presenti fra protestanti, ebrei, mormoni, testimoni di Geova, buddhisti e Hare Krishna (peraltro in molti Paesi questa media è al di sotto di quella nazionale), un fatto è che, riferendoci agli Stati Uniti (i più puntuali sui dati), un centinaio di preti pedofili ha rappresentato più di un quarto di tutti i casi noti di abuso, il che significa che bisogna parlare di un gruppo esiguo di violentatori seriali di bambini e non di una pratica diffusa in ogni diocesi.
Non vorrei che apparisse di cattivo gusto affermare poi che la Chiesa abbia comunque fatto molta più “pulizia” al suo interno rispetto ad altri settori quali, giusto per dire, la pediatria o l’atletica. Il minimo comun denominatore tra questi ambiti è senza dubbio la presenza di bambini e ragazzi: il “predatore” va a caccia in territori sicuri, mascherandosi da sacerdote, medico, coach o insegnante.
Non mi sfugge nemmeno la gravità del fenomeno delle “false accuse”: molti individui, evidentemente affette da qualche patologia mentale, sono stati fomentati da associazioni anti-cattoliche per denunciare violenze e soprusi mai avvenuti. Per quanto l’istinto mi porti a sodalizzare sempre con i più piccoli, anche a me è capitato qualcosa del genere, nel momento in cui, quando ero insegnante alle elementari, un alunno fuori da scuola mi tacciò di “pedofilo”.
Avrei voluto fare un putiferio, ma poi pensai a varie cose: in primo luogo, che anche un mio professore al liceo era stato apostrofato con lo stesso epiteto su un muro della scuola e aveva presentato al Preside in persona le sue dimissioni per “lavare l’onta” (mentre alla fin fine bastò lavare il muro); in secondo luogo, che un mio collega in quella stessa scuola, un ex manovale siciliano diventato (giustamente) insegnante di sostegno, era stato accusato di aver mostrato dei “video pornografici” agli alunni quando aveva solo messo un video da YouTube per farli stare buoni durante un’ora buca e tra le pubblicità “obbligatorie” era comparsa l’immagine di una signorina in abiti succinti intenta a fare chissà che (ormai gli spot sono tutti così).
Infine, ho pensato che il coglioncello decenne non sapesse davvero il significato di “pedofilo” e perciò col massimo tatto provai a investigare: alla fine saltò fuori che nella sua testa il “pedofilo” era il famigerato Jonathan Galindo, uno di quei fenomeni internet stile Blue Whale a cui periodicamente il mainstream dedica articoli e servizi a raffica. Si trattava di una sorta di “uomo nero” che tra il 2019 e il 2020 circolava sui social più con le dinamiche della leggenda metropolitana che del meme. Insomma, uno che faceva paura ai bambini, non so come dire. Un’idea, in ogni modo, molto distante da palpeggiamenti e approcci di varia natura.
Ho raccontato questa cosa solo per ricordare a me stesso quanto faccia male al cuore e all’anima un’accusa del genere, e di conseguenza per tentare di immedesimarmi in quei sacerdoti innocenti che sono stati infamati solo per ragioni “politiche” (ma la questione chiaramente va oltre il politico). Poi però penso al fatto che uno non si fa prete solo per non finire disoccupato (altrimenti avrebbe insegnato alle elementari!), e che se davvero crede in quel che predica potrebbe pure accettare un martirio in forma di character assassination.
Quello che voglio dire è, per concludere, che nella pedofilia risiede il nastro di Möbius della dittatura libertina odierna, nel senso che il sesso è bellissimo, tutti dovrebbero scopare con tutti, ma no, i bambini no. Almeno, da tale prospettiva le camarille sinistroidi hanno di molto cambiato il loro approccio al tema dagli “anni ’70” di cui sopra. Si può di conseguenza riconoscere nella pedofilia non tanto un tabù, quanto una vera e propria “spina nel fianco” del libertinismo di massa.
Nelle false accuse e nella demonizzazione collettiva del clero cattolico perciò intravvedo in ciò qualcosa di provvidenziale, come se Dio avesse deciso di sacrificare i più vicini a sé per far ammettere alla società che il sesso non è affatto “educativo” e che l’ultimo concetto a cui potrebbe accompagnarsi è quello di “libertà”.
È vero che per far fruttificare le virtù eroiche e nobilitare del martirio qualche futuro santo ci sarebbero volute persecuzioni ben più brutali, ma le società occidentali al giorno d’oggi non possono di certo permettersi un Diocleziano. Esse stesse puntano il dito contro il “prete pedofilo” per provare a richiudere un vaso di Pandora ormai da troppo tempo scoperchiato. Ma quale proposta potrebbero avanzare, pena di morte solo per i pedofili che si sono camuffati da preti? Qualsiasi altra pensata, dalla depenalizzazione sulla base del “consenso” al ritorno obbligato al mos maiorum, non troverebbe alcuna linfa nelle stantie istituzioni che ci reggono. Dio invece potrebbe puntare ad un altro diluvio universale… ma è troppo buono, checché se ne dica…
Le “femministe ” sul tema parlano poco:
https://www.caramellabuona.org/pedofilia-femminile/
https://juliebindel.substack.com/p/female-sex-tourism-white-middle-aged