Come è noto, l’“emergenza fake news” è quella cosa iniziata con l’elezione di Trump e conclusasi, almeno temporaneamente, con quella di Macron (che però è già diventato cattivo); infatti, fino al novembre dell’anno scorso, come si può verificare con una breve ricerca negli archivi dei principali quotidiani italiani, le formule prevalenti per indicare una “bufala” erano ancora espresse nell’idioma gentile; è con la repentina e coordinata adozione del nuovo “marchio internazionale” che si è assistito a una nuova fase, piuttosto grossolana, della psychological warfare.
In verità, se volessimo fare un conteggio meramente quantitativo delle fake news, probabilmente scopriremmo che il politico più colpito (prima dell’avvento di Trump) è stato nientedimeno che… Recep Tayyip Erdoğan: proprio lui, il Sultano che nel tempo libero, tra le altre cose, gestisce l’Isis e promuove la pedofilia (per ricordarne giusto un paio, perché contro il Nostro ne sono state sparate talmente tante che ormai è impossibile tenere il conto).
In ogni caso, ci sarebbe abbastanza materiale per stilare un libro bianco su questa guerra mediatica (alcune storielle sono molto divertenti, come quella di Erdoğan che fa censurare il Don Giovanni di Mozart perché invidioso dei successi del seduttore veneziano con le turche). Tuttavia sarebbe in primo luogo necessario capire chi dovrebbe occuparsi di tale “operazione-verità”, visto che i meno interessati a difendere Ankara dalle calunnie sembrano proprio i suoi stessi rappresentanti ufficiali: l’abulia con cui regolarmente gli ambasciatori transigono anche sulle panzane più clamorose sembra in effetti una delle cause della recente proliferazione delle fake news anti-turche (che laggiù traducono letteralmente come yalan haberler, oppure, con una espressione legata alla prima bufala “ufficiale” della Turchia moderna, asparagas, come la scritta sulla catapecchia di una coppia formata da un turco e da una ricca newyorchese, in realtà sua sorella -sempre turca-, la quale ha ispirato una storia inventata dal nulla su due giovani hippie in amore).
Prima o poi sarà necessario prendere qualche provvedimento per contrastare una tendenza che, se al momento danneggia “soltanto” l’immagine della Turchia agli occhi degli italiani (non che sia un fenomeno trascurabile, considerando anche gli effetti negativi sul turismo), a lungo andare potrebbe trasformarsi in qualcosa di più pericoloso (si pensi alla dilagante curdomania, foriera di ripercussioni terroristiche). Obiettivamente appare temerario lasciare l’onere di una controffensiva, che andrebbe combattuta in primis a livello istituzionale e diplomatico, esclusivamente a blog o siti anti-bufale, che per giunta non possono limitarsi a smentire le notizie false, ma devono anche giustificarsi di continuo perché, dicendo la verità, hanno preso le difese del “Gran Visir di tutti i Terr…oristi” (così infatti l’opinione pubblica italiana è condizionata dalla propria stampa a considerare il Presidente turco).
È chiaro che con l’andar del tempo pure gli “sbufalatori” di professione perderanno interesse e propenderanno per argomenti più neutrali (o almeno più “politicamente corretti”), archiviando per sempre il tag “Turchia”. Del resto tale eventualità si sta già verificando: alcune “leggende nere” su Erdoğan continuano a circolare senza che nessuno si preoccupi di rettificare alcunché; in fondo, perché compromettersi con un personaggio che regolarmente viene additato come causa di tutti i nostri mali (dall’immigrazione al terrorismo, dal conflitto in Siria all’avanzata del populismo, dalle primavere arabe a non so che altro)?
Per esempio, verso la fine dell’estate scorsa i giornali italiani, sulla scorta di quegli inglesi, riportarono all’unisono la notizia che le pièce di Dario Fo (insieme a quelle di Shakespeare, Cechov e Brecht) erano stati bandite da tutti i teatri turchi: i primi furono quelli del “Foglio, poi rilanciati in pompa magna dal Corriere con tanto di intervista al premio Nobel (che un mese dopo sarebbe scomparso senza nemmeno sapere che i suoi spettacoli vanno ancora in scena!) e seguiti a ruota da tutti gli altri (La Stampa, Il Fatto Quotidiano eccetera): come volevasi dimostrare, nessun sito anti-bufale si è mai preoccupato di approfondire la vicenda (appunto per questo, ripeto, sarebbe utile capire a chi spetta di puntualizzare che una notizia è falsa, quando nessuno si fa avanti per smentirla…).
Il “caso” in questione è indicativo, poiché sarebbe bastato il traduttore di Google per capire il modo in cui la notizia è stata manipolata. In due parole, è andata così: a seguito del tentato colpo di stato dell’anno scorso, il consiglio delle compagnie teatrali nazionali (che La Stampa chiama Turkish State Theatres e definisce “la più importante compagnia”…?) ha deciso di modificare i palinsesti per far sì che la nuova stagione iniziasse con opere di artisti turchi. Mossa discutibile, non c’è dubbio, ma tutto sommato un compromesso accettabile per placare gli animi di una società sull’orlo di una guerra civile. Non per questo, infatti, il governo impedirà ai suoi cittadini di assistere a uno spettacolo controverso come Morte accidentale di un anarchico (messo in scena a Smirne nel novembre dell’anno scorso, proprio in uno dei teatri “controllati dallo Stato”). Per inciso, non so quanto un’opera del genere (perlopiù espressione delle fisime personali dell’autore, ma parce sepultis) abbia da dire a un pubblico che non solo ha attraversato quella tragica stagione in circostanze quasi identiche alle nostre (con qualche golpe in più), ma che oggi è ancora costretto a fare i conti con gli “amati militari” (© Antonio Ferrari), osannati peraltro dagli stessi giornali di cui sopra, che l’anno scorso non vedevano l’ora di godersi il putsch fanta-kemalista (e adesso parlano di khomeinizzazione).
Questo è quanto. Il perfido Erdoğan, dopo aver militato nell’Isis, sterminato gli armeni, fatto piangere Putin, messo in galera Don Giovanni, aver organizzato un golpe contro se stesso, islamizzato l’Olanda e Lindsay Lohan, ha fatto pure morire Dario Fo di dolore… Ci si domanda se l’1% di frottole raccontate sulla Turchia fossero state usate contro Israele quanti “professionisti dell’informazione” sarebbero stati crocifissi (in senso metaforico, s’intende). A questo punto, tanto varrebbe creare un generatore automatico di bufale contro Erdoğan e lasciare che questo bot prenda il posto di tutti gli “inviati speciali”: se non altro il giornalismo italiano ne guadagnerebbe in lucidità e onestà intellettuale.