“Con tutto il rispetto, l’Ucraina non vale una Terza guerra mondiale”, scrive l’esperto militare Ruggero Stanglini nel suo editoriale per il numero di marzo di “Aeronautica & Difesa”. In effetti sembra che i meno schierati nel coro anti-russo siano proprio generali e strateghi, i quali a differenza di giornalisti e politici paiono più propensi non solo ad analizzare in modo neutrale le ragioni di Putin, ma talvolta addirittura giustificarle o condividerle.
Secondo Stanglini, l’articolo 10 della NATO pone “diverse condizioni, che è il caso di verificare prima di prendersela tout-court con Mosca”. In primo luogo, l’adesione può avvenire solo su invito di uno o più Paesi membri e non per semplice sollecitazione; in secondo luogo ogni adesione deve passare attraverso il consenso unanime dell’Alleanza; infine, punto più importante, ogni nuovo membro deve essere nelle condizioni non solo di “promuovere i principi del Trattato”, ma anche di “contribuire alla sicurezza dell’area del Nord Atlantico”.
Quest’ultima condizione non rende solo controverso un eventuale ingresso di Kiev, ma retrospettivamente fa sorgere più in generale dubbi sull’allargamento dell’Alleanza nell’Europa Orientale e nei Balcani (ci si potrebbe chiedere, giusto per citare le ultime new entry, in che modo Montenegro o Macedonia del Nord abbiano potuto aggiungere qualcosa in termini di sicurezza o peso geopolitico, almeno a compensazione di quel che rappresentano per gli stati membri, cioè “un onere per i bilanci […] e, al limite, un fattore di rischio”).
Staglini poi ricorda il caso del viceammiraglio Kay-Achim Schönbach, comandante della Marina Militare tedesca, che è stato costretto alle dimissioni il 22 gennaio 2022 dopo aver espresso, in una conferenza all’Istituto Manohar Parrikar di Nuova Delhi, opinioni “non ortodosse” nei confronti di Mosca. In particolare, l’alto ufficiale della NATO ha affermato che “Putin merita rispetto e portarglielo ha un costo praticamente pari a zero”, che la Russia è necessaria come partner bilaterale “contro la Cina”, precisando comunque che stesse parlando a titolo personale e da “cattolici praticante” (il quale dunque pensa che si debba collaborare con la Russia anche perché è un “Paese cristiano”). Lo stesso Schönbach ha poi ricordato che l’Ucraina non può attualmente aderire alla NATO perché non soddisfa anche i requisiti sulle dispute territoriali, a suo parere inficiati in particolare dall’occupazione dei russi del Donbass.
Il viceammiraglio, come dicevamo, è stato richiamato e qualche giorno dopo costretto alle dimissioni. In un contesto del genere non va perciò sottovalutata la schiettezza con cui gli esperti esprimono le proprie opinioni senza tema di censura. Peraltro, visto che stiamo riportando opinioni “politicamente scorrette”, e per ritornare al fatidico articolo 10, dal canto nostro possiamo aggiungere un dettaglio dimenticato pressoché da tutti, ovvero che l’Ucraina ha diverse dispute territoriali, alcune quasi secolari, anche con Paesi appartenenti alla NATO, come Polonia, Romania e Ungheria. Se con i primi due Kiev ha firmato dei trattati negli anni ’90, che comunque non hanno impedito lo scoppio di crisi diplomatiche (come le dichiarazioni di Zelenskij di due anni fa sulla “occupazione” della Bucovina da parte di Bucarest), con la nazione magiara gli scontri sono praticamente all’ordine del giorno (tanto per dire: dopo la famigerata “legge sulla lingua” Budapest ha posto il veto non solo sull’ingresso di Kiev sulla NATO, ma persino sulle commissioni che dovrebbero almeno prenderlo in considerazione!).
In conclusione bisognerebbe almeno domandarsi del perché chi si occupa di guerra per mestiere, e per giunta è “allineato” quasi per deformazione professionale (dato che nella maggior parte dei casi questi esperti vestono una divisa), dimostra una libertà d’opinione infinitamente più grande rispetto all’universo politico-mediatico.