Solitamente per approcciare un idioma da zero vado alla ricerca dei prestiti linguistici e mi “aggancio” a quelli per poter già comprendere qualcosa nell’immediato. Per quanto riguarda il malgascio, l’esercizio appare facilitato non solo dai numerosi prestiti dal francese e dall’inglese, ma soprattutto dalla sua appartenenza al sottogruppo maleo-polinesiano della famiglia austronesiana, assieme all’indonesiano e al malese (che in parte già conosco); in effetti il malgascio è “africano” solo per ragioni geografiche.
Per esempio, nella frase Manasa ny tanako amin’ny savony aho [“Mi lavo le mani col sapone”], si può riconoscere “tanako” dal malese tangan [“mano”] e savony dal francese savon. Gli altri elementi sono facilmente identificabili: manasa [“lavare”] è il verbo (la struttura della lingua è verbo-oggetto-soggetto); aho è quindi il soggetto (“io”); tanako [“mani”] è il plurale di tanana; ny è l’articolo determinativo; amin sta per “con”.
Un altro esempio: Manoratra taratasy amin’ny penina ny mpianatra [“Lo studente scrive una lettera con la penna”]. Il soggetto, sempre alla fine della sentenza, è “lo studente” [ny mpianatra] che scrive [man-oratra, prefisso per formare il verbo + prestito dal malese surat, “lettera”], una lettera [taratasy, stessa radice di “carta” giunta attraverso il malese “kertas”, prestito arabo (qarṭās) di un prestito greco (khartes)] con la penna [amin’ny penina, “con” + prestito dall’inglese pen].
Un ultimo esempio, dalla pagina della Wikipedia malgascia dedicata all’Italia, che consta di una sola riga: I Italia dia firenena iray any Eoropa. I Roma, izay tanàna ngeza indrindra ao Italia no renivohiny. “L’Italia è una nazione dell’Europa. Roma, che è la città più grande dell’Italia, è la capitale”. I è l’articolo per i nomi propri (presumo che il soggetto sia a inizio di frase per motivi “enciclopedici”); iray= “una”; any = “in”; izay = “che”; tanana = “città”; ngeza indrindra = “più grande”; renivohiny= “capitale”.
Per il momento ho trovato un ottimo compendio in uno studio del linguista Matt Pearson, che nonostante definisca il malgascio «a language of the Philippine type» (?) e si dedichi esclusivamente al prefisso t-, offre comunque diversi rudimenti. Non mi stupisce, per citare un caso, scoprire che in tale idioma sia presente un abbozzo di aspetto verbale («T-marking is something like perfective marking on verbs in languages like Russian and Chamorro»), come nell’esempio che segue (illuminante se si tiene appunto in considerazione il prefisso t-):
Nikapa hazo tamin’ny famaky ah [“Ho tagliato il legno con l’accetta”]
Nikapa hazo amin’ny famaky ah [“Ero solito tagliare il legno con l’accetta”]
Il verbo è in entrambi i casi al passato (lo indica il prefisso n-, ché al presente sarebbe mikapa), ma l’aggiunta della t- alla preposizione amin [“con”] dà un senso di unicità all’azione, mentre la sua assenza indica, per dirla col linguista, «that the speaker was in the habit of cutting wood with an axe».
Chiudiamo infine con un proverbio che riassume la filosofia del fihavanana malgascio (forse traducibile con solidarietà): «Aleo very tsikalakalam-bola toy izay very tsikalakalam-pihavanana», ovvero “Meglio perdere un po’ di denaro che perdere un’amicizia”.
Alla prossima. Veloma!