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Un gruppo di scienziati americani conferma che Ghost è una cagata pazzesca

Ghost
(Dirty Movies, 12 febbraio 2020)

Ghost, che nel 2020 compie trent’anni, non è un film sul dolore e l’amore “trascendente”: il classico, tornato nei cinema americani in occasione di San Valentino, non ci impressiona affatto.

Tutti hanno visto Ghost prima di aver visto Ghost. Tutti conoscono l’iconica scena in cui Demi Moore modella ceramiche mentre Patrick Swayze si siede dietro di lei con Unchained Melody degli Everly Brothers in sottofondo. È stata parodiata da chiunque, dai Griffin a Una pallottola spuntata, e a ragione: pur essendo kitsch è una scena memorabile, un ritratto dell’amore che trascende il tempo.

Queste parodie offrono però false aspettative su ciò che Ghost è in realtà: meno una esaltazione del potere trascendente dell’amore che un miscuglio di generi compositi nel quale nessuno prevale. Nonostante l’enorme successo di incassi (oltre 500 milioni di dollari in tutto il mondo), il resto del film non vale quella scena iconica.

Il film è diviso in due parti: prima e dopo la morte di Sam Wheat. La prima parte è molto più coinvolgente, con la giovane coppia di yuppie ancora timorosa che il loro amore sia passeggero. Sam commenta un incidente aereo visto in TV dicendo che non dovrebbe andare a Los Angeles perché “non c’è due senza tre” (una falsa pista per quelli che già sanno dove la pellicola andrà a parare).

Il punto è che la morte può prenderci in qualsiasi istante e che l’amore che possiamo provare sulla terra è una cosa speciale. I contatti tra i due amanti in quei momenti sono ancora stentati: Sam, il tipico macho Swayze, è incapace di comunicare a Molly quanto la ama davvero. Grezzi e sbozzati, i due protagonisti sembrano persone reali. La scena “classica” di cui sopra è il suo modo di dire che lui si prende cura di lei: le loro carezze al tornio sono il simbolo della vita che vorrebbero condividere insieme.

Tutto ciò cambia dopo che Sam viene ucciso da un criminale. Ghost ci obbliga a inutili ostacoli narrativi senza darci il tempo di renderci conto dell’immensa perdita di Molly. Sam non è solo letteralmente un fantasma, ma anche metaforicamente: allo stesso modo Molly è ancora sbozzata, in attesa di essere modellata sul tornio.

In realtà, Ghost non si addentra affatto nella natura del dolore. Questa storiella – in parte commedia, in parte complottismo, in parte rappresentazione di un purgatorio, in parte thriller d’azione – si perde in una trama contorta che coinvolge omicidi e transazioni bancarie illecite. Pertanto, Sam non ritorna per stare con Molly (il che potrebbe essere commovente), ma solo per impedire che vengano commessi altri crimini.

Whoopi Goldberg ha vinto un Oscar per il brillante ruolo di personaggio secondario (solo la seconda donna nera a ottenere tale riconoscimento) come una spiritista in grado di comunicare con Sam. Anche il suo personaggio tuttavia è in qualche modo deludente: come osservò Roger Ebert commentando la scena in cui Sam bacia Molly attraverso il corpo della medium: “Dovrebbe essere un momento coinvolgente vedere Goldberg che bacia Moore, ma ovviamente il film scende a compromessi e ci mostra Swayze che la tiene in braccio – peccato, perché la versione più coerente sarebbe stata più spirituale e commovente”. Mentre la prima scelta sarebbe apparsa una migliore rappresentazione del potere dell’amore di trascendere qualsiasi cosa, la seconda è solo l’ennesimo esempio di come le regole del gioco vengano cambiate per il bene della sceneggiatura.

Questo film è completamente indifferente alla logica. A tratti è impalpabile, a tratti sembra toccare alcune corde, al principio non lo “senti”, poi qualcosa ti smuove. Questo tipo di manipolazioni ci estrania dal percorso emotivo dei personaggi, che termina con un climax tipicamente hollywoodiano che avrà appagato i botteghini nel 1990 ma ha distrutto il potenziale della pellicola come opera d’arte davvero commovente.

Jerry Zucker, noto per lavori molto più stravaganti col trio Zucker, Abrahams e Zucker, come Police Squad (1982) e Airplane! (1979), sembrò il regista meno adatto al film, che forse avrebbe potuto avere successo come pura commedia. Il fantasma innamorato (1991) di Anthony Minghella, pellicola britannica uscita solo un anno dopo e contenente una premessa molto simile, è un’opera molto più commovente e divertente, in grado di rappresentare le diverse emozioni associate al dolore con sfumature e profondità reali. Si consiglia allora di guardare questo piuttosto che Ghost, ora in tutti i cinema per il trentesimo anniversario.

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