Una lesbicona iraniana del Pentagono ha ebreato Israele divulgando i suoi piani d’attacco all’Iran

Il canale Telegram Middle East Spectator ha pubblicato un rapporto top secret dell’intelligence americana, ricevuto da una talpa al Dipartimento della Difesa, che descrive in dettaglio i preparativi israeliani per l’attacco all’Iran: si tratta di resoconti delle “grandi manovre” dell’aeronautica di Tel Aviv che allo stato attuale sarebbero dovuti essere condivisi solo con i servizi dei cosiddetti Five Eyes, gli alleati degli Stati Uniti (Australia, Canada, Nuova Zelanda e Regno Unito).

Le rivelazioni hanno causato un terremoto mediatico-politico internazionale: tra le varie dimostrazioni di fedeltà alla lobby sionista ha colpito quella di Donald Trump, che ha affermato manco fosse un deputato della Knesset che “Israele non può fidarsi degli Stati Uniti” (altro che America First!).

Adesso sono naturalmente tutti alla ricerca della fonte segreta, e sembra che lo Snowden o il/la Manning di turno sia stato individuat* in tale Ariane Tabatabai, una analista americana di origine iraniana che lavora per il Pentagono e, tra le altre cose, ha partecipato al rilancio dei negoziati sul nucleare con Teheran.

La Tabatabai, nonostante alla fine del 2023 fosse già finita al centro delle polemiche per la sua aperta collaborazione con il Ministero degli Esteri persiano, era rimasta al Pentagono anche dopo il processo interno, che aveva portato i vertici della difesa americana a una conclusione netta: “Siamo onorati di averla al nostro servizio”.

Il fatto è che l’eroica Ariane fa parte della cordata LGBTQecc… assunta dall’Amministrazione Biden per questioni di immagine, e questo status castale le ha obiettivamente consentito di godere di un’ampia libertà di azione.

Ognuno può pensarla come vuole, ma è salutare che il mondo rida degli Stati Uniti, di Israele e della lobby sionista, perché qui si intrecciano diversi livelli di demenza: in primo luogo, è un dato di fatto che le comunità ebraiche di oltreoceano siano indirettamente responsabili della creazione delle cosiddette “quote arcobaleno”, che hanno portato una ridda di gay, lesbiche e trans ad assurgere ai più alti livelli del potere americano.

E non si parla solo del versante progressista: a nessuno è sfuggita l’imbarazzante propaganda dei conservatori “omofobi” che dal 7 ottobre 2023 hanno iniziato a dichiarare “scacco matto” ai filopalestinesi ricordando come Israele sia il Paese più LGBTQ-friendly del Medio Oriente (o del mondo, a questo punto). Sì, gli stessi che si oppongono al matrimonio omosessuale in patria riescono al contempo a presentarlo come “fiore all’occhiello” della superiorità ebraica verso la barbarie islamica.

Al di là del discorso gay-lesbo, c’è l’incredibile decadenza politicamente corretta delle istituzioni americane che non riescono a preparare una guerra neanche per finta. Le assunzioni ai vertici delle loro istituzioni seguono ora infatti le linee guida classificate sotto l’acronimo DEI (Diversity, Equity and Inclusion), e la stessa Tabatabai è stata assunta proprio in quanto donna, lesbica e nata in un Paese straniero (per il resto, con tutto il rispetto possibile, il suo curriculum equivale a quello di qualsiasi altro ricercatore di medio-basso livello). Di questo passo, prima di bombardare o invadere un altro Paese, Washington si dovrà assicurare di aver garantito un posto di spicco nel suo complesso militare-industriale a tutti i trans e disabili presenti sul posto.

Ciliegina sulla torta, ci sono alcuni falchi della lobby ebraica come Pamela Geller che invocano direttamente la pena di morte per la povera Tabatabai, rea di aver fatto quello che gli ebrei al Pentagono fanno regolarmente: aiutare la nazione a cui si sentono più legati.

(mangereste?)

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2 thoughts on “Una lesbicona iraniana del Pentagono ha ebreato Israele divulgando i suoi piani d’attacco all’Iran

  1. In generale, l’ennesima dimostrazione che la “doppiezza nella lealtà” non è un fenomeno esclusivo della ensemble ebraica, ma un fenomeno universale che mina alle fondamenta l’esperimento fallito del multiculturalismo e del multirazzialismo all’interno delle istituzioni di uno Stato.

    Non c’è collante o sogno universalista che tenga.

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