«Il proposito di fondare un’etica umanitaria sulla base dell’evoluzione è rimasto, come per altro ogni tentativo di fondare una morale laica, allo stadio di wishful thinking. […] Ma i puri secolaristi, privi di qualsiasi affiliazione religiosa e poco inclini alle fisime spiritualistiche, non riescono a rinunciare al bisogno di sentirsi buoni. Sarebbe il loro ideale se qualche biologo neodarwinista dimostrasse che la società, sin dai primordi, si fonda sull’altruismo e sulla tolleranza. E perciò che
essere buoni costituisce un vantaggio evolutivo, unico criterio con cui possono misurare il bene. Ogni anno, qualche volenteroso prova a dimostrarlo, invano».
Così Roberto Calasso nel suo ultimo volume, L’innominabile attuale (che abbiamo recensito in due parti, qui e qui). Secondo il celebre paradigma di Arbasino (approfondito poi da Edmondo Berselli), «in Italia c’è un momento stregato in cui si passa dalla categoria di “brillante promessa” a quella di “solito stronzo”. Soltanto a pochi fortunati l’età concede poi di accedere alla dignità di “venerato maestro”».
Non vorremmo che Calasso fosse lì lì per tentare l’impresa di retrocedere da “Venerato Maestro” a “Solito Stronzo”: per intanto il passaggio ha attirato l’attenzione di Giuliano Ferrara, che vi ha intravisto «un delizioso ritratto analogico, per niente digitale, di Michele Serra».
La polemica è allettante, ma ci si domanda se, al di là di questo bisogno di sentirsi buoni (che anela a una base biologica), resti qualcos’altro a noi poveri umani. Per giunta è lo stesso Calasso, da classico immanentista, a porre il problema della “sovversione” (= utilitarismo; automatizzazione; estinzione del sacrificio ecc…) in termini drammatici, à la “crisi del mondo moderno” per intenderci.
Ovviamente non si tratta di fare del cosiddetto “buonismo” l’unica ideologia a renderci ancora umani (anche perché questo “buonismo” non è che una branca del sadismo, il cui unico scopo è occultare le urla e i corpi delle vittime), ma difendere il mos maiorum con ogni mezzo necessario.
Per fare un esempio angosciante, in questi anni stiamo assistendo a una “normalizzazione” mediatica della pedofilia. I motivi sono piuttosto evidenti: la rivoluzione sessuale ci ha fatto entrare in un “cortocircuito hegeliano” dal quale non possiamo più uscire se non “legalizzando” qualsiasi cosa: perché la Overton window sarà pure una paranoia reazionaria, e lo slippery slope argument una fallacia logica, ma l’istituzione di nuovi “diritti sessuali” segue esattamente le stesse dinamiche per ogni gruppo che ne beneficia.
Credo che uno dei motivi per cui la pedofilia è ancora un “tabù” sia semplicemente perché non abbiamo più alcun argomento da opporvi, quindi preferiamo minimizzarla, fingere che non sia un problema oppure indignarci solo quando riguarda i preti. Tutte le obiezioni “metafisiche” sono state appunto gettate nel famigerato “cestino della storia” e ormai l’argomento è diventato una sorta di stress test per qualsiasi ideologia politica (come l’anarchismo).
In particolare, quella corrente che definirei magnifico-progressista (in onore alle “sorti” leopardiane) estesa a tutti i liberali-libertari-libertini, stigmatizza da “destra” la lotta alla pedofilia come un tentativo statalista di controllare la vita degli individui, mentre da “sinistra” come una caccia alle streghe e una negazione del valore “riabilitativo” della pena (perché lo dice la Costituzione ecc…).
Chi ha mai avuto la sfortuna di imbattersi in una di queste persone, può capire ciò a cui mi riferisco: di solito per spuntarla, bisogna lasciar da parte qualsiasi rilievo morale e puntare dritto alla “utilità”. Talvolta, per esempio, faccio leva sull’ossessione contemporanea per le sigarette: «Se vedessi fumare un bambino una bambina [ché i maschi sono considerati criminali dalla nascita], non accuseresti chi vuole impedirglielo di “tobaccofobia” o “proibizionismo”, giusto?» (se risponde “no”, forse è il caso di non invitarlo più a cena).
In conclusione, ben venga la manipolazione dell’unico criterio del vantaggio evolutivo, se utile a preservare l’umanità da tutto questo. Dirò ancora di più: ben venga una ripresa dello scientismo o, perché no, del positivismo ottocentesco, come fonte del diritto (e a questo punto anche dei dogmi, visto che il cattolicesimo vuole auto-distruggersi).
Un ottimo spunto è rappresentato da questo video: una scimmia, battendo educatamente contro il vetro, tenta di impedire a una sciacquetta di turbare il suo cucciolo sculettando (i degenerati anglosassoni lo definiscono twerking). Finalmente un po’ di sana sessuofobia in nome di San Darwin? Non penso potremmo chiedere di più (e di meglio) dalla nostra epoca.
Sì, il discorso è quello. Per questo dico: meglio un'etica laica che mi dice che non si possono violentare i bambini "perché fa male alla salute" (come il fumo!), piuttosto che un "sacro" che invece lo giustifica a seconda delle sensibilità e inclinazioni (anche il "perdonismo" ha la sua "santità", se si comprende la mia interpretazione del "buonismo" proposta in diversi luoghi).
Non mi stupisce l'interesse di Ferrara nei confronti del venerato maestro. L'ipotesi che l'opera di Calasso sia recuperabile in chiave cristianista appare sempre meno peregrina. Ci vuole certo molto mestiere e una buona dose di spregiudicatezza , ma questo non fa difetto all'Elefantino. Si può usare la critica anti-illuminista per sbertucciare l'etica laica (e sin qui c'è poco da obiettare) e si può invocare la "mancanza del sacro" per irretire gli ultimi fedeli recalcitranti e/o nauseati dall'andazzo immanentista di buona parte della predicazione attuale. Ovviamente il tutto funziona fin quando non si specifica a quale tipo di sacro faccia riferimento il nume adelphiano.