Even a Military-Enforced Quarantine Can’t Stop the Virus, Study Reveals
(Jeffrey A. Tucker, American Institute for Economic Research, 13 novembre 2020)
Il New England Journal of Medicine (SARS-CoV-2 Transmission among Marine Recruits during Quarantine, 11 novembre 2020) ha pubblicato uno studio che va al cuore della questione del famigerato lockdown. Il dubbio fondamentale infatti riguarda se e in che misura un blocco generale, per quanto estremo, sia in grado di fermare il contagio. Se la risposta fosse affermativa, gli eccezionali costi sociali ed economici di essi potrebbero anche essere accettati. In caso contrario, molti Paesi avrebbero posto in essere un esperimento catastrofico, distruggendo miliardi di vite, i diritti umani e libertà per niente.
Già ad aprile un importante studioso israeliano di statistica attestò che il virus diventa endemico 70 giorni dopo il primo ciclo di infezione, indipendentemente dalle politiche adottate per fermarlo. Il più grande studio globale sui lockdown rispetto ai decessi pubblicato da Lancet non ha riscontrato alcuna associazione tra quarantene draconiane e morti per milione.
Persistere su questa strada a questo punto potrebbe sembrare inutile ma, per qualche motivo, la maggior parte dei governi mondiali, incluso quello degli Stati Uniti, hanno ancora l’impressione di poter fermare le trasmissioni virali attraverso una serie di “interventi non farmaceutici” (non-pharmaceutical intervention, NPI) come obbligare la popolazione a indossare mascherine, praticare il “distanziamento sociale”, rimanere a casa, non formare assembramenti, oltre che a chiudere aziende e scuole e vietare gli spostamenti. Niente di simile è stato provato su tale scala in tutta la storia umana, quindi si potrebbe supporre che i responsabili politici si siano avvalsi di qualche base scientifica per giustificare la loro fiducia in certe misure.
Uno studio condotto dalla Icahn School of Medicine del Mount Sinai Hospital (New York) in collaborazione con il Naval Medical Research Center ha messo alla prova il concetto di lockdown. A maggio, 3.143 nuove reclute dei Marines hanno avuto la possibilità di partecipare a uno studio sulla quarantena estrema (insieme a misure antivirus). Lo studio è stato soprannominato CHARM (COVID-19 Health Action Response for Marines) e ha visto la partecipazione di un totale di 1.848 reculte, mentre le altre hanno seguito regolarmente l’addestramento di base.
Le reclute partecipanti all’esperimento hanno dovuto sottoporsi a un regime di lockdown ancora più rigido rispetto a quelli finora sperimentati dai civili. Le reclute hanno indossato costantemente (tranne quando dormivano o mangiavano) mascherine a doppio strato, hanno dovuto rispettare un distanziamento sociale di almeno due metri, non hanno mai potuto lasciare il campo di addestramento, è stato vietato loro di usare oggetti che avrebbero potuto contribuire alla trasmissione tramite il contatto con le superfici (come cellulari e computer).
Sono state inoltre alloggiate in camere doppie con lavandino, hanno consumato i pasti in refettori e utilizzato bagni comuni. Tutte le reclute coinvolte nell’esperimento erano tenute a pulire i propri alloggi quotidianamente, disinfettare i bagni dopo ogni utilizzo e mangiare pasti preconfezionati in una sala da pranzo disinfettata dopo il passaggio di ogni plotone. La maggior parte dell’addestramento è stato condotta all’esterno. Tutti i movimenti delle reclute sono stati supervisionati e sono stati organizzati dei flussi unidirezionali di spostamento, con punti di ingresso e uscita dell’edificio designati per ridurre al minimo il contatto tra le persone. Tutte le reclute, indipendentemente dalla partecipazione allo studio, sono state sottoposte a screening giornaliero della temperatura e dei sintomi. Sei istruttori assegnati a ciascun plotone hanno lavorato a turni di 8 ore e fatto rispettare le misure di quarantena. Se le reclute manifestavano sintomi compatibili col Covid-19, venivano sottoposte a tampone rapido e messe in isolamento in attesa dei risultati definitivi.
Anche gli istruttori avevano l’obbligo di rimanere nel campo, indossare mascherine, mangiare pasti preconfezionati e sottoporsi a controlli giornalieri della temperatura e screening dei sintomi. Gli istruttori assegnati a un plotone in cui è stato diagnosticato un caso positivo sono stati sottoposti a test rapido 2 e, quando risultati positivi, rimossi dall’incarico. Alle reclute e agli istruttori è stato proibito di interagire con il personale non militare del campo, come gli addetti alle pulizie e alla mensa. Dopo che ogni classe ha completato la quarantena, è stata eseguita una sanificazione accurata delle superfici nei bagni, nelle docce, nelle camere da letto e nei corridoi; il dormitorio è rimasto libero per almeno 72 ore prima della rioccupazione.
Massimo rispetto per quelli che si sono offerti volontari per l’esprimente, poiché è noto la severità degli istruttori dei marine, un fatto che fa inoltre ipotizzare un rispetto estremo di tutte le misure.
Ebbene, quali sono stati i risultati? Incredibile a dirsi, il 2% delle reclute CHARM ha contratto il virus, anche se, a parte un solo individuo, nessuno ha mostrato sintomi. “Il nostro studio ha dimostrato che in un gruppo di reclute militari maschi prevalentemente giovani, circa il 2% è risultato positivo per SARS-CoV-2, durante una rigorosa quarantena di due settimane”.
Per quanto riguarda le reclute del gruppo di controllo non sottoposto ad alcuna quarantena, è emerso che esse hanno effettivamente contratto il virus a un ritmo leggermente inferiore rispetto a quelli obbligati a rispettare un regime estremo. Come si può osservare nella tabella qui sotto, è semmai l’applicazione delle misure più estreme ad essere associata a un maggior grado di infezione.
Lo studio ha ricevuto pochissima attenzione dalla stampa, nonostante provenga da una fonte autorevole come il New England Journal of Medicine. Anzi, i media mainstream hanno cercato di manipolare i risultati della ricerca, concentrandosi su dettagli secondari come la presenza di asintomatici tra i militari (CNN) o I limiti dello screening dei sintomi COVID-19 (ABC). Nessuna fonte giornalistica ha evidenziato la scoperta più importante: la quarantena estrema tra le reclute militari non ha in alcun modo fermato la diffusione del virus.
Lo studio è importante per la struttura di controllo messa in campo, poiché un conto è osservare l’assenza di effetti a livello nazionale (esistono innumerevoli variabili qui che potrebbero essere invocate: dati demografici, densità di popolazione, immunità preesistenti, grado di conformità e così via); ma uno studio sui marines consente di avere a disposizione un gruppo quasi omogeneo in termini di età, salute e aspettativa di vita. E anche questo studio conferma ciò che tanti altri hanno dimostrato: i lockdown sono inutilmente distruttivi. Non servono a contenere il contagio, fanno scempio dei diritti civili e producono perdite insostenibili.
I fanatici della quarantena continuano a richiamarsi alla scienza. Ma questo è quello che noi stiamo facendo. Quando però i risultati contraddicono la loro narrazione, costoro fingono che gli studi non esistano e vanno avanti con i loro piani abominevoli. Il lockdown non è un provvedimento scientifico, non lo è mai stato. Si tratta di un esperimento di ingegneria sociale gestito dall’alto che non ha precedenti in termini di costi per la vita umana e la libertà.
Sono andato a leggere l’articolo ma mi pare che tu abbia capito male – ammetto che non si tratta di un articolo molto chiaro e ho qualche dubbio anche sulla mia interpretazione, che però mi pare più plausibile della tua, e te la vado ad illustrare. Parto dalle cose certe: non hanno fatto nessun “lockdown”: hanno solo applicato delle misure di sicurezza a reclute che vivevano comunque insieme dentro una caserma. O se vogliamo l’intera caserma era in lockdown rispetto all’esterno, ma internamente c’erano centinaia di persone a contatto le une con le altre. Le misure di sicurezza sono state: non avere nessun contatto con persone esterne alla caserma, nessun contatto con inservienti e personale di servizio, avere contatti limitati con gli istruttori (che venivano sostituiti in caso di sintomi o positività al tampone), utilizzo di mascherina a doppio strato (ma parla di strati di “cloth” cioè tessuto, e non di ffp2 o ffp3) TRANNE durante i pasti, e durante il sonno, nei quali ci si toglieva la mascherina. Distanziamento di 6 piedi (180 cm). Pulizia e disinfettazione. Da notare che dunque le maschere non erano quelle a protezione totale e che le occasioni per infettarsi c’erano senz’altro perchè venivano tolte. Una situazione molto diversa rispetto al lockdown. Da notare anche che le reclute dormivano in stanze doppie, e quando dormivano non usavano le maschere. Mi pare ovvio che in questo modo le occasioni di contagio ci siano ! Non è di certo un lockdown ! (nei lockdown comunque accadono i contagi tra membri dello stesso nucleo famigliare, ovviamente, ma sono molto limitati quelli con persone esterne). Non vedo dunque cosa ci sia da stupirsi in questo studio. Riportano che nel test fatto nei primi due giorni c’era uno 0.9% di contagiati (dunque erano entrati già contagiati) e in quello dopo 2 settimane uno 1,9%, che non sorpende perchè è il doppio di quelli iniziali, e le stanze dove dormono sono stanze doppie. Tutto nella norma. Infatti riportano che i contagi sono avvenuti tra compagni di stanza o di plotone. Nella discussione finale infatti riportano come fattore di rischio stare nella stanza doppia con un infetto o stare nello stesso plotone.
“Although many infected recruits in both clusters had nearby room assignments and shared a bathroom, the epidemiologic analysis suggests that platoon membership and double-occupancy rooming were risk factors for infection, but room proximity and shared bathrooms were not ”
Veniamo ora alla parte su cui ho dei dubbi. Mi pare che non ci sia un gruppo di controllo come invece ritieni tu. Le reclute che non sono state sottoposte allo studio semplicemente non sono state testate durante le due settimane di permanenza ma solo alla fine. Ma per il resto sono state sottoposte allo stesso protocollo di sicurezza e hanno anche condiviso gli stessi plotoni e stanze doppie dei partecipanti allo studio ! Dunque non potresti dire che c’è un gruppo di controllo che non ha rispettato le misure ed è stato infettato allo stesso modo. Infatti nel paper non si parla proprio di gruppo di controllo, bensì viene spiegato come anche chi non faceva parte dello studio era sottoposto alle stesse misure:
“Otherwise, participants and nonparticipants were not treated differently: they followed the same safety protocols, were assigned to rooms and platoons regardless of participation in the study, and received the same formal instruction.”
Come ho detto prima però questo aspetto non mi sembra spiegato così chiaramente e mi riservo un dubbio sulla questione. Se ti sembra chiaro che invece ci fosse un gruppo di controllo mi potesti segnalare le parti dove il dubbio viene risolto ?
Ehm… io non ho “interpretato” l’articolo, l’ho solo tradotto. Forse avrei dovuto tradurre direttamente lo studio, ma di solito non si fa per diversi motivi (sul web nessuno legge, si prediligono sintesi/sinossi). Comunque sì, le reclute non sottoposte al lockdown sono state testate esattamente come le altre, c’è scritto sia nel pezzo che nello studio. Era quello uno degli scopi della ricerca del resto.
Sì certo che sono stati testati tutti alla fine. In realtà chi partecipava allo studio è stato testato anche al primo giorno e al settimo. Ma il discorso che facevo io è un altro: anche chi non “partecipava allo studio” era in “supervised quarantine” ed era sottoposto allo stesso regime di misure anti-covid. Se guardi la table 2 sembra proprio essere come dico io, mostra che chi non partecipava allo studio restava in supervised quarantine. E mi pare anche che questo sia confermato dalla della frase “Otherwise, participants and nonparticipants were not treated differently […]”. Per questo ho scritto che non mi pare che ci fosse il gruppo di controllo e che quindi non si può dire che la quarantina abbia dato lo stesso risultato della non-quarantena: erano tutti in quarantena !
Per questo motivo ti chiedevo di indicarmi in che punto sarebbe spiegato invece che i non partecipanti sarebbero stati invece un gruppo di controllo che non faceva la quarantena, perchè ho letto tutto l’articolo e non ho trovato nulla che si potesse interpretare in quel senso.
Però ero dubbioso perchè mi sembrerebbe molto strano dire “facciamo uno studio: anche chi non partecipa viene poi testato alla fine e durante tutto lo studio viene trattato come chi partecipa”. Era questo che mi crea un dubbio che mi sia sfuggito qualcosa.
Concordo con Paolello: nel gruppo controllato dall’inizio c’erano 16 positivi, dopo 14gg il totale cumulativo era di 51 (di cui io 10% sintomatico).
I non partecipanti (che non sono gruppo di controllo) avevano una percentuale inferiore di positivi, ma non sapendo quanti fossero positivi 14gg prima non fornisce informazioni utili sull’efficacia delle misure.
Poi se interessa sviscero meglio e riporto.