Una scuola bianca: lo sfogo di un insegnante americano alle prese con degli studenti neri

A White Teacher Speaks Out
(Christopher Jackson, American Renaissance, Luglio 2009)

Una battutaccia esprime, in termini rozzi, il rapporto tra neri e bianchi nell’America di oggi: “Cosa fa un uomo bianco circondato da 20 neri? L’allenatore. E un bianco circondato da 1000 neri? La guardia carceraria”. Potrei aggiungerne un’altra: “Cosa fa un bianco circondato da 30 neri? L’insegnante”.

Fino a poco tempo fa insegnavo in una scuola prevalentemente frequentata da studenti neri in uno Stato americano del Sud-Ovest. Ho accettato il lavoro perché all’epoca non aveva idea delle differenze razziali e le scuole “nere” inoltre non sono schizzinose. Mi è stato offerto un lavoro, e improvvisamente mi sono trovato nell’Africa più nera. Tranne che non ero in Africa, ma in America.

I neri in quella scuola superavano di gran lunga i bianchi (il rapporto era di cinque a uno) e praticamente non c’erano ispanici. Le mie lezioni erano frequentate solo da studenti neri, anche perché le classi migliori si erano prese la maggior parte dei bianchi. C’erano anche alcuni insegnanti neri, ma eravamo quasi tutti bianchi.

La grande stampa non si occupa granché delle condizioni nelle scuole nere: i giornalisti parlano di “caos”, “degrado”, “mancanza di disciplina”, senza affrontare la realtà. Ecco perché ho deciso di raccontare la mia esperienza.

La maggior parte dei bianchi ignora come i neri si comportino in gruppo e il primo impatto può essere sconvolgente. Una delle cose più sconcertanti è il rumore: i miei studenti non avevano idea di cosa fosse il decoro. Non era insolito che cinque neri mi urlassero contro contemporaneamente. Invece di calmarsi e aspettare un attimo di tregua nel frastuono per fare il punto (un’usanza che adottano anche agli studenti bianchi più disagiati), i neri non perdono occasione per darsi sulla voce.

Era inutile tentare di zittirli a zittirli: specialmente le insegnanti bianche, lasciavano subito perdere. Ho assistito a una lezione di una collega che scongiurava i ragazzi di fare meno casino, e quello per tutta risposta hanno preso a urlare ancora più forte fino a coprire del tutto la sua voce.

Molti dei miei studenti neri sembravano soffrire della sindrome di Tourette, per quanto erano incapaci di aspettare il proprio turno per parlare. Volevano solo urlare le idee che avevano per la testa. Se parlavo del governo, quelli urlavano: “Servono più democratici, Clinton brava!”. E dopo due minuti, lo stesso tornata a urlare “Clinton brava!”.

Chiunque è costretto a frequentare giovani neri dovrà costantemente sorbirsi il rap. I miei ragazzi inventavano pezzi ciondolando per l’aula, rappando nel loro gergo aspro e aggressivo. I concetti espressi erano impregnati di infantile megalomania: “Chi ha le scarpe più fighe, chi ha i denti d’oro più fighi?”. Il rapper dilettante di solito finiva il pezzo vantandosi nei termini più volgari immaginabili delle sue schiave sessuali: “Quella scopa aaahhhhh, quella succhia aahhhhh, lecca ahhhhhh” (immaginate un lungo gemito fastidioso). A mio parere il rap è una delle cose più degenerate uscite dalla nostra nazione ed è tragico che abbia infettato i giovani bianchi in tale misura.

Le donne di colore amano ballare, o per meglio dire “roteare”: danzano in corridoio, in classe, sulle sedie, sotto le sedie, ovunque. Una volta ho ricevuto una chiamata al cellulare e sono dovuto uscire dalla classe: sarò stato via due minuti, ma quando sono tornato le ragazze nere si erano messe in fila sculettando per la gioia dei compagni.

Molte persone di colore, in particolare le donne, sono incredibilmente obese. Alcune sono così grasse che hanno bisogno di sedie speciali per contenere la loro mole. Non sto dicendo che non ci siano studentesse bianche sovrappeso, ma è una questione di statistica, e anche di morale: molte ragazze nere non si preoccupano per nulla.

“Le donne di colore sono grosse signor Jackson”, mi dicevano i miei studenti.
“Allora è accettato nella comunità nera essere un po ‘sovrappeso?”
Due ragazze nere obese iniziano a ballare di fronte alla cattedra: “Lo sai prof che ai ragazzi piace ciucciare la frutta più succosa”.

I neri sono le persone più portate agli insulti in cui mi sia mai imbattuto: “Guarda che schifo di maglietta, sei un bastardo, hai le labbra troppo grosse”. A differenza dei bianchi, che affrontano con tutte le cautele la questione razziale, a loro non importa nulla. Una volta avevo bisogno uno studente che andasse a consegnare un messaggio e quando ho chiesto trenta mani scure si sono improvvisamente alzate. Ai miei studenti piaceva lasciare l’aula anche solo per pochi minuti, lontano dall’occhio dell’autorità bianca. Ho scelto un ragazzo dalla pelle chiara per consegnare il messaggio. Uno studente molto nero era indignato: “Hai scelto il mezzosangue”. E subito altri neri si sono uniti al coro: “È un mezzosangue!”.

Da decenni siamo alle prese con lo scarso rendimento scolastico degli afro-americani. Non c’è dubbio che molti neri arrivino a scuola già svantaggiati, e non per colpa loro. A casa imparano un dialetto che è quasi un’altra lingua: non solo pronunciano male le parole, sbagliano pure la grammatica (per esempio per chiedere di andare ai servizi dicono: “Dove il bagno essere?”, Whar da badroom be?). Gli studenti scrivono come parlano, dunque è questa la lingua delle loro verifiche e dei compiti. Anche i bianchi hanno i loro dialetti e accenti: la differenza è che volenti o nolenti, la maggior parte di essi supera il problema e impara a parlare correttamente; molti neri invece no.

La maggior parte dei neri a cui ho insegnato non aveva alcun interesse per lo studio: insegnavo storia e dicevano che non gli piaceva perché era tutta una questione di bianchi. Naturalmente, l’insegnamento della storia era già corretto in nome della “diversità”, ma agli studenti neri questo non bastava. Allora assegnavo loro una ricerca su qualche personaggio storico afro-americano, tipo Marcus Garvey. Non le facevano mai.

Chiunque insegni ai neri impara presto che hanno una visione completamente diversa del governo rispetto ai bianchi. Una volta ho deciso di fargli scrivere un tema sulle cose che il governo dovrebbe fare per migliorare l’America. Ho dato la stessa consegna a tre classi per un totale di circa 100 studenti, di cui circa 80 erano neri. I miei pochi studenti bianchi hanno espresso idee generalmente “conservatrici” (“Licenziare quelli che non lavorano”); i neri invece hanno scritto quasi tutti che “abbiamo bisogno di più roba dal governo”.

La loro idea di spesa pubblica era una specie di salvadanaio magico che non si svuota mai. Una ragazza di colore sosteneva il bisogno di maggiori servizi pubblici e io cercavo di spiegarlo che le persone venivano tassate per pagare quei servizi: “Sì, i soldi vengono dai bianchi, ma quelli sono avari comunque”.
“Molte persone di colore guadagnano oltre 50.000 dollari all’anno e li toglieresti anche dalla tua stessa gente”, le ho risposto.
“Quelli sono mezzo-sangue”, ha concluso con l’approvazione della classe.

Molte ragazze nere sono perfettamente a loro agio col welfare: nel giorno in cui si deve parlare del lavoro che si vuole fare, una ragazza ha detto che avrebbe fatto molti figli per avere più soldi dal governo.

Una volta abbiamo discusso dell’uragano Katrina e dello stupro di una ragazza in uno stadio adibito a centro per gli sfollati. Alcuni l’hanno presa alla leggera: “Non è un grosso problema, pensavamo di morire e volevano solo divertirsi un po'”. Alcune teste nere hanno annuito.

Il mio capo dipartimento una volta chiese a tutti gli insegnanti di porre una domanda agli studenti: “Pensi che sia giusto infrangere la legge a tuo vantaggio?” Sì, è stata la risposta preferita: come ha aggiunto uno studente, conta solo Get dat green, “arraffare i verdoni”.

C’è un livello di conformismo tra i neri che i bianchi troverebbero insopportabile. A loro piace un solo tipo di musica: il rap. Votano per un solo partito: democratico. Danzano nello stesso modo, parlano nello stesso modo, fanno casino allo stesso modo e non superano gli esami allo stesso modo. Certo, ci sono delle eccezioni ma sono rare.

I bianchi sono diversi. Ad alcuni piace la musica country, ad altri il metal, altri preferiscono il pop, e ad altri ancora -purtroppo- il rap. Votano per partiti diversi. Tra di loro ci sono gli atleti, i secchioni e i bulli. I neri sono tutti… neri, e mettono subito in riga quelli tra loro che escono dal seminato.

Un punto su cui tutti i neri sono d’accordo è che ogni cosa è “razzista” (racis, “rasista”, come dicono loro). Hanno assorbito completamente il dettato liberal: “Hai fatto i compiti?” “No, i compiti so’ rasisti”; “Perché hai ricevuto un voto così basso?” “Verifica razzista”.

Quando ho trattato dei filosofi britannici, la prima cosa che hanno notato riguardo a Bentham, Hobbes e Locke è che “So’ tutti bianchi!”. Ho detto loro che che non c’erano neri nella Gran Bretagna del XVIII secolo e ovviamente mi hanno risposto: “Rasismo!”.

I miei studenti non erano in grado di vedere il mondo se non attraverso la lente della propria negritudine. In una classe c’era uno studente tedesco che un giorno ha presentato una ricerca con immagini tipiche del suo Paese, fotografie della sua scuola e della sua famiglia. Di tanto in tanto i compagni urlavano: “E i neri dove sono?!”. Il tedesco esasperato ha provato più volte a spiegare che non c’erano persone di colore dove viveva lui. Gli studenti non gli hanno creduto. Ho spiegato loro che la Germania è in Europa, da dove provengono i bianchi, e l’Africa da dove provengono i neri. Insistevano sul fatto che lo studente tedesco fosse razzista e si rifiutasse di frequentare le persone di colore.

I neri sono profondamente interessati alle loro caratteristiche razziali. Ho imparato, ad esempio, che per alcuni di loro il tipo di capelli “bello” è quello meno crespo, più facile da modellare e considerato più attraente. I neri sono anche orgogliosi di avere pelle chiara e si insultano a vicenda per questo. Inoltre disprezzano gli ispanici, specialmente se appena arrivati: i colleghi mi sconsigliavano di parlare dell’argomento in classe. I bianchi per loro sono “razzisti”, ma almeno ci considerano americani: ci odiano ma ci considerano intelligenti e laboriosi. Se avessero il potere, sono comunque convinto che ci lascerebbero qualcosa. Ma non ai messicani, i messicani per loro sono nulla.

Che dire dei ragazzi neri che vanno dietro alle ragazze bianche? Ne sono ossessionati. I genitori bianchi farebbero bene a tenere le loro figlie lontane dalle scuole nere. Ho assistito alla seguente sceneggiata innumerevoli volte: un ragazzo nero si avvicina a una ragazza bianca, le gira attorno con arroganza ma non minaccioso, e le chiede “Quando vieni con me?”. A questa avance si può rispondere in due modi. La ragazza bianca più sicura si infastidisce e risponde: “Non voglio uscire con te!”. Quella più timida abbassa lo sguardo, tira fuori qualche scusa ma poi risponde “no”. La reazione del ragazzo nero è sempre la stessa: “Sei razzista!”. Molte ragazze bianche – troppe – si fanno venire i sensi di colpa perché non vogliono uscire con i neri. La maggior parte delle ragazze bianche nella mia scuola si tiene alla larga, ma alcune, in particolare quelle con problemi di droga, vanno coi neri.

C’è un’altra cosa che mi colpisce dei neri: sembrano non possedere alcun senso del romanticismo. Ciò che unisce uomini e donne è il sesso, puro e semplice. Ci sono molti bianchi degenerati, ovviamente, ma alcuni dei miei studenti bianchi erano capaci di vera devozione e tenerezza, emozioni che sembravano assenti nei neri, specialmente i più giovani.

Le scuole nere sono violente e i pochi bianchi che sono troppo poveri per scappare vengono travolti. La violenza è incredibile, soprattutto nel contesto in cui si verifica: i neri un attimo prima sorridono e fanno gli amici, poi improvvisamente cominciano a menare. È una cosa davvero strana. Non molto tempo fa, stavo camminando attraverso i corridoi e un gruppo di ragazzi neri era davanti a me. All’improvviso hanno iniziato a picchiarsi con un altro gruppetto nel corridoio.

I neri sono molto suscettibili alle “offese”: una volta ho accidentalmente urtato la scarpa bianca di uno studente e lui ha reagito immediatamente minacciando di picchiarmi. L’ho fatto scortare fuori da una guardia di sicurezza (anche se solitamente non aggrediscono gli insegnanti, si limitano a pestarsi tra di loro per ragioni simili).

Le vere vittime sono i bianchi poveri. Sono sempre in pericolo e la loro istruzione ne risente. I bianchi sono particolarmente soggetti a un bullismo “minore”: vengono schiaffeggiati o presi a calci mentre cercano di aprire un armadietto. Le botte vere i neri le riservano ad altri neri.

C’era un sacco di sesso promiscuo tra i miei studenti e questo creava ancora più violenza. Le ragazze nere litigavano costantemente per i ragazzi neri. Non era raro vedere due studentesse strapparsi letteralmente i capelli a vicenda mentre un poliziotto tentava di dividerle. Il ragazzo nero per cui litigavano si godeva lo spettacolo ridendo. Al contrario, i ragazzi raramente litigavano per le ragazze.

Le gravidanze precoci sono comuni tra i neri, anche se molte ragazze erano così grasse che non riuscivo a capire se fossero incinte o meno. Non so quante abbiano abortito, ma di solito quelle che partorivano poi tornavano a scuola e i genitori si prendevano cura de piccolo.

A parte gli agenti di polizia sempre all’erta, un indizio che indica la presenza di una scuola nera dei dintorni sono le gabbie che proteggono i distributori automatici. Gli addetti al rifornimento ogni volta devono fare un lavoro certosino per sbloccarli e, anche se le aziende non vorrebbero investire in tutta questa protezione, sanno benissimo che gli studenti neri sono sempre pronti a scassinare le loro macchine, dunque per loro diventa più economico blindarle che sostituirle ogni volta.

Le guardie di sicurezza sono presenti ovunque nelle scuole nere, una per corridoio. A volte fanno da “supplenti” alle classi scoperte, ma perlopiù scortano gli studenti dal preside. Sono disarmate, ma sono sempre in contatto con il dipartimento di polizia.

Bisogna ammettere che le scuole nere di provincia sono più sicure: uno dei motivi è quantitativo, nel senso che una scuola nera di 300 studenti è più sicura di una con 2000. Inoltre, gli studenti nelle aree rurali, bianchi e neri, spesso sono cresciuti assieme e si conoscono almeno di vista.

C’era tantissimo spaccio nella mia scuola: un modo per fare una marea di soldi ma anche per “schiavizzare” le ragazze tossicodipendenti, che diventavano (bianche e nere) il giocattolo di chiunque potesse procurarle le droghe.

Uno dei miei studenti era un noto spacciatore. Tutti lo sapevano. Aveva 19 anni ed era ancora in terza superiore. Una volta gli ho dovuto dare il voto più basso che avessi mai dato. Era stato in galera quattro volte da quando aveva 13 anni, e nella mia classe era seduto accanto alla piccola Caroline, bianca.

Un giorno, gli ho chiesto: “Perché vieni a scuola?”. Non mi ha risposto, ha guardato fuori dalla finestra aspirando l’aria tra i denti. Un suo amico lo ha fatto al posto suo: “Qui si becca verdoni, droga e femmine”.

Alcuni di voi potrebbero pensare che ho disegnato una crudele caricatura degli studenti neri. Dopotutto, secondo i dati ufficiali, circa l’85 percento di loro riesce a diplomarsi. Sarebbe istruttivo sapere quanti di quelli ci sono arrivati con un calcio nel didietro. Spesso c’è troppa pressione sugli insegnanti per farli passare a ogni costo, così la scuola si fa una bella reputazione e i docenti non rischiano nulla. Molti di questi studenti avrebbero dovuto essere bocciati, ma il sistema scolastico collasserebbe se dovesse rimandarli tutti.

Le mie esperienze alla fine hanno influito sulla mia concezione degli afro-americani: ho perso tutta la simpatia per loro. Addirittura tra i bianchi che insegnano da troppo tempo questo sentimento può trasformarsi in odio. Un mio collega ha smesso di andare al fast-food perché frequentato da neri. Ne aveva abbastanza, già li doveva sopportare a scuola. Prima o poi bisogna pagar il pegno per anni di frustrazione.

C’è un segreto indicibile tra gli insegnanti: quasi tutti si rendono conto che i neri non riescono a seguire l’istruzione “bianca” tradizionale. La soluzione suggerita è aumentare la “diversità” degli insegnamenti, oppure semplicemente “cambiare”. Si può fallire un milione di volte, ma l’importante è cambiare. Ecco perché i liberal continuano a fare e disfare i programmi scolastici. Per esempio, agli insegnanti viene detto che i neri hanno bisogno di istruzioni pratiche e più lavoro di gruppo, che imparano meno attraverso la lettura e dunque servono più lezioni orali. L’implicazione è che abbiano caratteristiche tali per cui necessitano di un percorso diverso di insegnamento.

I bianchi hanno imparato in un certo modo per secoli, ma questo non funziona con i neri. Naturalmente, ciò implica differenze razziali ma, la maggior parte degli insegnanti liberal direbbe che stili di apprendimento diversi provengono da caratteristiche culturali indefinibili, uniche per i neri. Pertanto, le scuole devono cambiare, l’America deve cambiare. Ma in cosa? Come trasformate la fisica quantistica in “istruzione pratica” o “lavoro di gruppo”? Nessuno lo sa, ma dobbiamo continuare a cambiare finché non troviamo qualcosa che funzioni.

La scuola pubblica è sicuramente cambiata da quando la mia generazione la frequentava. Un’amica che insegna alle elementari mi dice che ogni settimana gli studenti vengono sottoposti a lezioncine sulla diversità, scaturite direttamente dalla mente di qualche burocrate. Mi ha fatto vedere le ultime trovate: un poster gigante che mostra un gruppo di handicappati, musulmani, ebrei, gay, poveri, ricchi, mulatti, gialli, ecc. seduti a un tavolo sorridenti mentre svolgono un qualche esercizio assieme. Al poster è allegata una serie di domande, per esempio: “Questi ragazzi sono sicuramente diversi, ma sembrano felici: potete indicare quale nella foto secondo voi è un americano?”.

Un bambino di otto anni indicherà il bambino bianco. E l’insegnate dovrà correggerlo, come da regolamento: “No, Billy, tutti questi bambini sono americani, americani come te”. La settimana dopo arriva un altro poster. Questo è ciò che accade nelle scuole prevalentemente bianche, di classe media, elementari di tutto il mondo.

Concludo con un “colpo di scena”: a me piace ancora insegnare, anche perché oltre a offrire una carriera stabile per un appartenente alla classe media, ti dà la possibilità di influenzare positivamente la vita dei bambini. Nel nostro mondo moderno e atomizzato, i bambini spesso comunicano pochissimo con gli adulti (persino coi genitori), quindi esiste il potenziale per un vero dialogo tra alunno e insegnante, discepolo e maestro.

Una relazione gratificante può crescere tra uno studente interessato e il suo insegnante. Sono stato in classe con un gruppo di studenti a discutere di idee e a giocare a scacchi fino a quando il bidello non ci ha cacciato. Mi sentivo il vecchio saggio che trasmetteva la sua storia, la cultura gli amori le vittorie e le sconfitte al giovane discepolo. A volte immaginavo di essere Tirteo, il poeta spartano che esortava i giovani all’onore e alla lealtà. Nulla di tutto questo però con i neri.

Insegnare può essere divertente. Per un certo tipo di persona è esaltante parlare di battaglie ed eroismo. È gratificante sfidare i pregiudizi progressisti, lasciare un segno sulle giovani menti, ma non ho potuto fare alcunché con gli studenti di colore.

Alcuni giovani bianchi possono ancora farti sciogliere il cuore: gli ultimi appartenenti alla classe operaia, i bimbi adottati e maltrattati che riescono ancora a mantenere un qualche candore. Il tuo cuore si scioglie per questi rifiutati dal mondo. Molti studenti bianchi possiedono una certa innocenza; le loro guance arrossiscono ancora.

Ho provato a far interessare i neri a Tirteo, a Beethoven, a Spengler, persino a John Rawls, o anche alla storia degli afro-americani. A loro non importa nulla. L’anima di un insegnante soffoca e comincia a cercare statistiche e dati a confermare il suo insorgente razzismo.

I neri impediscono la creazione di un ambiente sereno in classe. Senza volerlo, distruggono ciò che è più bello, che si tratti della fede nell’uguaglianza umana, dell’innocenza di tua figlia o persino degli ambienti scolastici.

Una volta ho letto in bagno la scritta “Fanculo ai bianchi”. E poco lontano da essa, una piccola svastica. Quel muro simboleggiava in qualche modo l’inutilità dell’integrazione. Nessun bambino dovrebbe essere costretto a cercare di imparare in tali condizioni. Non erano i razzisti a creare quelle condizioni e non era neppure la povertà; era l’elite bianca liberal e ignorante. Mi sovviene una citazione di Nietzsche: “Chiamo corrotto, sia un animale, sia una specie, sia un individuo, quando perde i suoi istinti, quando sceglie e preferisce ciò che gli è nocivo”.

Spesso si sente dagli egualitari che non importa quale colore prevarrà in un’America futura fintanto che preserviamo i nostri valori, dal momento che siamo una nazione piena di risorse. Questa cosa si può fare forse con gente di altri pianeti: ma con i neri, no.

Il “Consiglio nazionale per gli Studi Sociali”, l’autorità principale per l’educazione alle scienze sociali negli Stati Uniti, sollecita gli insegnanti a comunicare valori quali le pari opportunità, la proprietà e la democrazia. Anche se gli insegnanti potessero inculcare questa melassa nei bianchi, il liberalismo è condannato perché i non-bianchi sono refrattari a qualsiasi insegnamento al di là delle cose più basilari. Molti dei miei studenti sono rimasti dei semi-analfabeti, era impossibile insegnare loro qualcosa di astratto. Certo, ci sono le eccezioni, ma nessuna società si definisce attraverso le eccezioni.

Una volta ho chiesto ai miei studenti: “Cosa pensate della Costituzione?” “È bianca”, mi ha risposto uno senza alzare la testa. La classe ha cominciato a ridere e io pure insieme a loro, ridendo mentre il vulcano di Pompei eruttava, mentre i barbari erano alle porte, mentre il paese che amo, il lavoro che amo e la comunità che amo morivano di giorno in giorno.

Ho letto un libro di un rhodesiano in visita nello Zimbabwe. In viaggio con un amico, si ferma in un negozietto lungo l’autostrada e un uomo di colore si avvicina alla macchina chiedendo lavoro: “E che fine ha fatto il tuo lavoro di prima?”, gli chiede il bianco esiliato. Il nero risponde alla maniera semplice della sua razza: “Abbiamo cacciato i bianchi. Niente più lavoro. Dammi il lavoro”.

Ad un certo livello, i miei studenti la pensano così. Un giorno infatti chiesi alle loro facce annoiate che mi fissavano: “Cosa accadrebbe se tutti i bianchi in America sparissero domani?” – “Saremmo fottuti” mi urla un ragazzo nero come la pece. Il resto della classe è scoppiato a ridere. Alcune volte qualche studente non riuscendo a fare i compiti mi diceva: “Non ci riesco, signor Jackson, sono nero”.

Il punto è che gli esseri umani non sono sempre razionali. Sarebbe nell’interesse stesso dei neri tenersi i bianchi, perché se poi li cacciano muiono di fame come in Zimbabwe. La maggior parte dei bianchi non pensa che i neri americani possano mai fare qualcosa di così irrazionale. Vedono i neri sorridere alla televisione, combattere i bianchi malvagi, incarnare i valori bianchi. Ma il vero nero non è in televisione, e ti tieni stretta la borsa quando lo vedi, e chiudi le portiere della macchina quando si avvicina coi pantaloni che pendono quasi fino alle ginocchia.

Ho partecipato a conferenze genitori-insegnanti che mi hanno spezzato il cuore: uno studente supplicava i genitori di portarlo via da quella scuola; i genitori venivano rassicurati sul fatto che le paure del figlio fossero infondate. Ma se amate i vostri figli, non regalategli vacanze costose o auto, ma solo un po’ di sicurezza e felicità nei suoi anni verdi. Regalategli una scuola bianca.

13 thoughts on “Una scuola bianca: lo sfogo di un insegnante americano alle prese con degli studenti neri

  1. “C’è un’altra cosa che mi colpisce dei neri: sembrano non possedere alcun senso del romanticismo. Ciò che unisce uomini e donne è il sesso, puro e semplice. Ci sono molti bianchi degenerati, ovviamente, ma alcuni dei miei studenti bianchi erano capaci di vera devozione e tenerezza, emozioni che sembravano assenti nei neri, specialmente i più giovani.”

    Ora capisco perché non ho mai visto un blackcel.

    1. in realtà è un po’ un pregiudizio, ce n’è una marea, soprattutto quelli che non riescono ad adattarsi al modello del “thug”

      1. Qui in UK i neri (specialmente i nigeriani) si comportano come lo stereotipo del gangsta rappar americano. Poi quando arrivano ai 40 anni impazziscono e diventano musulmani integralisti o evangelici di quelli convinti. I pochi che cercano di comportarsi da persone civili vengono ignorati e alla fine sono incels come quelli bianchi.

  2. Figlio mio, che traduzione di merda che hai fatto. Era meglio se lo passavi al Google Translate. Ascoltamme’, evita di tradurre gli articoli americani. Primo, non frega niente perche’ parlano di un’altra realta’. Secondo, traduci troppo male per renderli leggibili. Terzo, se proprio devi copiare (male) dai credito all’autore originale.

    1. 1) Gli articoli americani possono dirci molto sulla nostra realtà, visto che ormai anche molte scuole italiane stanno sperimentando lo stesso fenomeno di “ghettizzazione”, che oltreoceano ha radici storiche mentre qui sta sorgendo soprattutto in seguito alla forte immigrazione degli ultimi anni.
      2) Non ho tradotto Melville o Faulkner, lo stile del pezzo rispecchia quello dell’articolo originale: senza nulla togliere all’autore, si tratta di una “testimonianza” scritta quasi di getto. Chiunque può rendersene conto risalendo al testo originale. In ogni caso ben vengano le critiche, se espresse in maniera circostanziata e non attraverso un generico livore.
      3) Non ho “copiato” un bel niente, come al solito la traduzione di un pezzo viene indicata in cima, immediatamente nella prima riga.

      1. 1) La societa’ americana e’ (per nostra fortuna) diversissima dalla nostra. Noi non abbiamo il problema di razzismo generalizzato che genera fenomeni come quelli descritti.
        2) Il fatto che sia scritto male non giustifica tradurlo in modo vergognoso.
        3) Non per fare il puntiglioso scassaminchie, ma le fonti si mettono in fondo.

        1. No, la “fonte” la metto all’inizio per far capire immediatamente che è una traduzione e non sono io che scrivo (davvero questa critica non ha alcun senso, di che “fonti” stiamo parlando?). Per il resto, se riscontri errori si possono sempre correggere, ma se la traduzione ti fa schifo per partito preso pazienza, non so che fare.

    1. Non lo so, dovresti formulare la domanda in inglese e rivolgerla alla rivista che ha pubblicato il pezzo oltre dieci anni fa…

  3. Tu sei così ignorante che traduci “graduate” con “laurearsi” invece che con “diplomarsi”, che sarebbe la traduzione corretta dato che si parla di scuola superiore e non di college. L’autore invece è semplicemente un razzista che si inventa di sana pianta uno scenario terribile, e prende situazioni che verosimilmente succedono in forma episodica e straordinaria descrivendole come usuali, quotidiane e generalizzabili a qualsiasi persona afroamericana. E tutto senza il minimo stralcio di prova o documentazione, ci si deve “fidare” dell’autore.

    1. è vero, si tratta di una svista: in realtà varrebbe per entrambi, solo che il contesto indica che si sta parlando del diploma e non della laurea. Probabilmente mentre traducevo pensavo a uno dei tanti punti dolenti delle relazioni “razziali” in America, quella delle quote universitarie per i neri, le politiche per la cosiddetta affirmative action, e mi sono un po’ estraniato dal contesto. Comunque grazie per la segnalazione. Se ti fa sentire meglio credendo si tratti di una manifestazione di ignoranza, d’accordo, non so cosa farci, anche se non capisco tutto il livore: io mi sono limitato a tradurre un pezzo, peraltro dopo la segnalazione da parte di un lettore. Non ho scritto “condivido al 100% quello che dice”; del resto la fonte è un sito di estrema destra americano, dunque uno dovrebbe essere avvertito del “bias”.

  4. L’articolo mi ha fatto preoccupare, e parecchio. Poi, dopo avere letto alcuni commenti, mi sono rassegnato. Après nous le déluge, caro Mr. Totalitarismo!!!

  5. Molto interessante. In riferimento al fatto che gli studenti neri fanno casino per tutta la durata delle lezioni a 130 decibel, riporto le testimonianze di chi ha potuto presenziare a lezioni di studenti in Cina, dove le classi sono di 55-60 alunni, e dove MAI sentivi volare una mosca. Comunque, anche pensando alle magnifiche sorti & progressive della società multietnica, ma soprattutto pensando a quelli tra gli studenti cui piacerebbe anche studiare e usare la scuola per elevarsi socialmente (forse a cercare bene ce n’è qualcuno anche tra i neri, ma non ha modo di emergere dal bullismo di gruppo), e viste anche le esperienze della scuola da remote in tempi di covid, la scuola potrebbe cambiare in tal senso: si danno dei programmi e dei testi da studiare, ma senza frequenza, tanto sarebbe tempo perso , dedicato a bullismo, spaccio, sesso predatorio e degrado; a scuola si va , da soli, solo per sostenere dei test periodici, un po’ come all’Università. Nessun obbligo di frequenza. A fine anno la commissione degli insegnanti decide sulla base dei risultati se lo studente è promosso. Capisco che questo va contro tutti quanti, in Usa, Italia e non solo, sono convinti che a scuola non si vada per imparare a leggere scrivere, far di conto e, soprattutto, a pensare con la propria testa, ma si vada per essere indottrinati alle teorie politically correct dei burocrati e dei politici mainstream in tema di ambiente, diritti delle minoranze e quant’ altro… ma tant’è, sono all’ antica, e vorrei che chi esce da scuola potesse trovare un bel lavoro con cui vivere, e non puntare a una vita da obeso davanti alla Tv coi soldi del welfare.

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