A pochi giorni di distanza da questo meme, la realtà lo ha replicato esattamente, come accade ormai di continuo. Il contesto è la seconda metà degli anni ’20 del XXI secolo, quando Matteo Salvini, Ministro dei Trasporti, ha promulgato un editto draconiano contro i guidatori d’auto, tradendo lo “zoccolo duro” del suo elettorato che, dopo essersi rinvigorito con ginepro, assenzio, limoncello, per anni ci ha dato giù tutto di gas per le vie della Brianza e del Rodigino, intonando per l’appunto un noto inno del bardo di Zocca: LIBERI LIBERI SIAMO NOI!!!
Il Gran Visir della Ciurma, l’organizzazione boomer che nei decenni passati ha arroventato le calli lombardo-venete, non ha fatto attendere la sua risposta, incentrata come prevedibile su uno dei dogmi della propria generazione, la droga:
«Il ministro Matteo Salvini ha fatto in modo per il vostro bene che se avete fumato una canna anche una settimana prima e venite fermati potete essere arrestati immediatamente e vi viene ritirata la patente per tre anni».
Il traditore del Salmo LLSN (“Liberi Liberi Siamo Noi”) l’ha buttata sul patetico, invitando il suo principale riferimento religioso e filosofico a confrontarsi con i parenti delle vittime dei drogati al volante. Penso che a nessuno sfiori la tentazione di affrontare il tema da una prospettiva seria: semmai, ci si potrebbe domandare da quale “spirito” muova una iniziativa obiettivamente suicida dal semplice punto di vista politico.
Al di là della riduzione della questione al consumo di cannabis, che è il leitmotiv di un’opposizione sinistroide perennemente monopolizzata dalle istanze dei Radicali anche per puro opportunismo (perché in fondo sappiamo che i piddini vedono di buon grado qualsiasi legge che riduca l’utilizzo dei mezzi privati, ma hanno bisogno di intestarsela pena l’accettazione di una “normalità” democratica che disdegnano), ci sono già da considerare le 80.000 patenti venete al di sotto dei 20 punti che rischiano la sospensione per le stesse infrazioni (sorpassi azzardati, passare col rosso, non allacciare la cintura ecc) che, prima del nuovo “Codice”, sarebbero state punite con una decurtazione e un’ammenda.
A meno di non ipotizzare un’estrema limitatezza mentale del Ministro (comunque un argomento forte), bisogna forse considerare che le condizioni generali del Lombardo-Veneto sono le stesse di duecento anni fa: un’eterna tensione tra esigenze di “ordine pubblico” e tributi al mito della “libertà” sobillato da ogni rivoluzione fallita; un clima di Restaurazione che si muove ambiguamente tra europeismo e “sovranismo”; un’eccessiva dipendenza dallo “spettacolo” come veicolo privilegiato per la propagazione di messaggi etici, politici o sociali.
Chiaramente è una bestemmia (non solo dalla prospettiva artistica) paragonare il Liberi Liberi di Vasco Rossi al Va, pensiero di Giuseppe Verdi, ma l’ispirazione di fondo è la stessa. Sì, è imbarazzante proporre certi paragoni, ma io sono un animo grigio e gretto che riesce a malapena a esercitare l’idolatria in ambito religioso, figuriamoci estetico.
Stiamo discutendo di liriche del disincanto, sentimento che si può esaltare con l’apparato mitologico di riferimento o anche riversare tutto nell’intimità, come fa un Blasco crepuscolare alle prese con un calo della libidine che proietta sulla società di fine anni ’80 del secolo scorso. L’Italia edonista e depoliticizzata che aveva contributo a creare con le sue canzoni è spuntata da un momento all’altro e lui non si è ritrovato spaesato.
Le risposte rivoluzionarie (droga libera, sesso libero, libertà libera) hanno risalito un metaforico esofago provocando nell’artista una tristezza postcoitale, da riflusso mal riuscito. La trasgressione è ormai di massa, la “provocazione” non ha più alcun muro contro cui sbattere, come una pallina di gomma che non può rimbalzare a contatto col nulla.
Probabilmente se ci fosse stato un Metternich, o almeno un Pavolini a incanalare la sua anarchia esistenziale, Vasco Rossi avrebbe raggiunto uno spessore artistico superiore a quello espresso in cinquant’anni di pallidi ministri democristiani e destre mosce e per niente autoritarie. La mancanza di una dittatura (per parlare chiaro) impedisce del resto al talento di sciuparsi nell’ossessiva ricerca di un superamento dei limiti, una tendenza che lo rende sterile come la violenza sfogata nelle periferie e negli stadi invece che in una guerra, o lo sperma sparso in cavità infeconde piuttosto che in una prole numerosa.
Ognuno probabilmente ha i nemici che si merita, e a volte per le strane alchimie dell’umano la grandezza degli avversari genera un’influenza reciproca, chiasmatica. Si può dire che Salvini e Vasco siano due facce della stessa medaglia, e il “tradimento” dell’uno corrisponde a quello dell’altro (ricordiamo, tanto per dire, le posizioni del cantante a favore dei lockdown e della “responsabilità vaccinale”). Il boomerismo evidentemente esprime una questione che va oltre la mera diatriba generazionale e si interseca col fallimento della Rivoluzione, di ogni rivoluzione.
Chi si somiglia si piglia
https://www.ilfoglio.it/bandiera-bianca/2024/12/16/news/quella-strana-somiglianza-tra-vasco-e-salvini-7249348/
purtroppo a Vasco non è riuscito quello che riuscì a Luigi Tenco e Kurt Cobain (= affrescare la stanza col proprio cervello)