In questi giorni sto “massacrando” Fabrizio De André attraverso l’intelligenza artificiale, facendogli cantare tutto quello che mi viene in mente, dal meglio del trash contemporaneo (compreso il classico Jessica Ti Amo, che i boomer credono abbia composto io e di conseguenza mi insultano per la semplicità dei miei sentimenti),
Ad alcuni memi della cultura incel italiana, come il Messaggio del Sabato Sera,
Ai migliori brainrot nazionali,
Fino al più noto dei magtaal mongoli, quello dedicato al “sublime signore” Gengis Khan:
Eccetera eccetera. Veniamo al punto: un’operazione del genere non necessiterebbe di alcuna spiegazione, perché in fondo risulterebbe divertente di per sé, e d’altro canto sarebbe suscettibile anche di una lettura che non contemplasse in automatico un intento dissacratorio (per esempio, potrebbe essere un modo indiretto per dimostrare l’eternità di una voce con un suo timbro unico, che riesce a risultare affascinante indipendentemente dai contenuti interpretati).
Tuttavia, è giusto spendere due parole sul cantautore italiano, in particolare sul motivo per cui potrei eventualmente riconoscergli solo capacità artistiche ma non poetiche o profetiche. Da una parte, chi mi segue su YouTube sa che in questo periodo ci sto dando dentro anche con le figure di Vasco Rossi, Jovanotti, Francesco Guccini e Franco Battiato, accettando persino richieste (Fabri Fibra ecc), e addirittura insegnando ai non-iniziati i segreti per utilizzare l’intelligenza artificiale a tale scopo.
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Il mio problema con Fabrizio De André è che mi piace(va) soltanto una sua canzone, Via del Campo. Tutte le altre le considero nenie inascoltabili, pur essendomi concesso talvolta di fischiettare Bocca di Rosa o Amore che vieni, amore che vai. Insomma, de gustibus, che importa. Più interessante, forse, ricordare come Via del Campo sia diventata la “colonna sonora” del mio primo anno delle medie, per migliaia di suggestioni che non possono nemmeno più recuperare visto l’alacre lavorio della “forbice” di montaliana memoria, peraltro ben rodata da metri cubi di alcol ingeriti negli ultimi venti e passa anni.
Posso rimembrare, per ridicolo vezzo gozzaniano (e poi basta coi poeti), che la “bambina” con gli occhi grigi “come la strada” esisteva e si chiamava Aurora, ma non era il solito amoruccio nato sui banchi della scuola, era già una storia insostenibilmente aragonesca (Il n’y a pas d’amour heureux anche a 12 anni… basta poeti!!!), così dolorosa nella sua insignificanza piccolo-borghese che si manifestava nell’insopportabilità della fauna dell’intero casermone di provincia adibito a scolatoio (scusate il calemburro) e che mi faceva identificare l’unico esemplare di femmina gentile in quella modestissima fanciulletta verso la quale mi aveva dirottato la figona della classe, che non ne poteva più della mia corte ammorbante (resa ancora più patetica dal fatto che all’epoca seguivo i consigli di mia madre, ché mio padre era tutto un le donne dovrebbero essere ammazzate dalla prima all’ultima, l’unico segreto per conquistarle è prenderle a calci e non considerarle mai, nemmeno degnarle di sguardo!!!… profonda saggezza patriarcale sfortunatamente mai applicata nei confronti della propria consorte).
Vabbè, in ogni caso, la biondona della classe mi presentò questa Aurora dell’altra sezione che intravvidi per circa una settimana e che mi parve, come detto, l’unica donzella minimamente cortese alla quale non interessassero i trucchi, i frappé del fast food, i sabato pomeriggi al centro commerciale, le impennate in motoretta eccetera. Purtroppo Aurora sparì e io ero troppo timido e coglione per andarla a cercare alla fine del corridoio alla sezione B.
A darmi coraggio ci sarebbe stata, forse, la ballatina di De André che però parlava di puttane (o peggio, come vedremo tra poco), e che in definitiva mi suggestionava in un altro senso, poiché innestata su precocissime letture flaubertiane (fomentate dalle edizioni economiche della Biblioteca Ideale Tascabile, che oggi inondano tutti i rivenditori di libri online come inestirpabile gramigna cartacea), le quali mi facevano –letteralmente– sognare l’apertura di un nuovo bordello proprio nei pressi della scuola media, dove io e i miei compagni ci saremmo potuti recare almeno un pomeriggio a settimana, per investire finalmente in modo degno le magre mancette (sprecate fino a quel momento in figurine e videogiochi).
Purtroppo, in quell’epoca così funesta, dopo la sosta natalizia, a cavallo tra il 1998 e il 1999 De André spirò e, nonostante la televisione fosse infinitamente più discreta di quella odierna, comunque saltarono fuori ricordi e testimonianze dei suoi cari fottutissimi amici, tra i quali per l’appunto un Paolo Villaggio che fece sapere all’Italia intera che Via del Campo era dedicata solo e soltanto ai travoni…
Anche qui, lasciatemi dire due parole (come sempre a sproposito): da preadolescente la mia parte preferita della canzone iniziava nel momento in cui De André pronunciava la parola “puttana”, perché il tono che assumeva alle mie orecchie acerbe suonava identico a quello -per l’appunto- del Paolo Villaggio dei “film seri”, che i miei genitori mi costrinsero a guardare per tutti i 90s stile Cura Lodovico allo scopo evidente di giustificare l’overdose di Fantozzi assimilata negli anni gaudenti.
Spero abbiate capito: quanto De André sibila “puttana” a denti stretti ancora oggi a me suona piuttosto simile a Fantocci che si incazza, o a Villaggio che si inventa attore drammatico (comunque grandissimo, sia chiaro). Vabbè, anche qui sticazzi, ciò di cui stavo discutendo era l’aneddoto dell’attore zeneize che poi sarebbe stato incastonato in decine di biografie, necrologi e pagine web post-boomeristiche come testimonianza diretta del cantautore:
«Una volta salii in camera con un certo Giuseppe, che si faceva chiamare Joséphine e mi apparve come una bellissima ragazza bionda. Ma, una volta venuti al dunque, scoprii facilmente che era un uomo e che non era ancora andato a Casablanca. Senonché era talmente bella e aveva un seno così strepitoso che restai ugualmente. Ci fu un rapporto, per così dire, orale. Anzi, ce ne furono più di uno. Ridiscesi, e sotto ad aspettarmi c’erano Paolo Villaggio e Giorgio Leone, un altro amico. Feci loro un racconto dettagliato dell’incontro, come era nelle nostre abitudini, dissi che la mia compagna occasionale aveva una ventina d’anni e assomigliava a Franca Rame, e solo alla fine precisai: “C’è solo un problema, ha l’uccello”. Loro cominciarono a sghignazzare e a prendermi in giro. Ma poi tornarono in via del Campo, per più di un mese, a cercare il mio amico Giuseppe».
All’epoca non conoscevo tutti i dettagli, ma comunque mi venne metaforicamente da vomitare. Questi stronzi andavano a trans, mica a donne. E stiamo parlando di maschi, magari meridionali, che negli anni ’70 del secolo scorso si iniettavano la cera da pavimenti nel petto (forse memori del “punturone” del militare?) per farsi venire un seno florido. Io non volevo farmi fare un pompino da Giuseppe con una parrucca bionda, l’uccello terrone e della roba cancerogena buttata dentro a caso per simulare due “mammelle”.
Questo mi fece incazzare. Tale merda mi costrinse a meditare su tutta la musica anni ’70 che i boomer avevano dovuto ascoltare per sentirsi fighi. Ed è precisamente il motivo per cui non ho più nemmeno canticchiato Via del Campo per oltre vent’anni, fino a quando, poche settimane fa, la redazione di Fuori dal Coro, programma Mediaset condotto da Mario Giordano, non l’ha proposta per il solito -sacrosanto- servizio sugli immigrati cattivi, con tappa -ovviamente- a Genova:
La “narrazione” è, come al solito, involontariamente comica, nel momento in cui mette Via del Campo come colonna sonora per un panorama in cui “i carrugi sono terra di nessuno”, “in Via del Campo c’è prostituzione dal mattino alla sera” (e per fortuna Faber è morto!) , “la legge italiana tra questi vicoli sembra sospesa” e -ciliegina sulla torta- “La storica Via del Campo è un’enclave africana e il museo di Fabrizio De André è circondato da vedette e spacciatori“.
Ecco, mentre guardavo il servizio sui magrebini cattivi, sono riuscito a reprimere qualsiasi rigurgito sinistroide sul fatto che blah blah è sempre stata terra di delinquenti, blah blah il museo De André è dedicato a tutti i cantautori genovesi e blah blah fassismo muh. Ho pensato solo a quanto sia sfigata tutta la cultura del dopoguerra nel ditirambismo maudit che contrastava già in tempi non sospetti con qualsiasi utopia socialisteggiante sulla perfetta coincidenza tra anarchia politica ed estenuazione del crimine.
Mi sono ricordato tutti i motivi per cui non riuscirò mai a essere de sinistra nemmeno se mi offrissero un posto da consigliere comunale, ma è una conclusione tanto complessa che andrebbe confinata nell’inesprimibile, ovvero nella mistica. Allo stato attuale, potrei solo comunicarla con la mentalità di un dodicenne:
Allora, tu vuoi le case chiuse ma fingi di essere di sinistra e quindi sei a favore della Legge Merlin, i matusa liberali continuano a cantare certe canzoni di merda perché tu dici che in realtà non erano puttane ma erano trans e dunque “più ultimi degli ultimi”, a parte che sei ricchione e non lo sai, ma comunque ok va bene andiamo avanti dunque le donne italiane non posso fare più le puttane ma possono farlo o le negre appena sbarcate oppure i trans, in ogni caso gente deviata vabbè lasciamo stare, quello a cui sto pensando è, ma perché non c’è un bordello nel quartiere? Aspetta, ma quando andavate a puttane voi vecchi eravate fuorilegge quindi vi sentite tipo uno che è riuscito a scappare da Alcatraz anche se in realtà poi è un ragioniere statale che non ha mai lavorato in vita sua? Ma che delusione… voi non siete nemmeno capaci di andare a puttane! Io non voglio farmi fare nessun pompino da Giuseppe, adesso magari andrò in palestra, mi metterò il gel nei capelli, cercherò di sembrare una persona decente per non finire a cercare puttane inesistenti -per giunta nemmeno vaginomunite!- mentre Là Fuori -intendo le scuole medie- è l’Inferno… Fanculo tutti quanti, ora mi metto ad ascoltare Top of the Pops o qualsiasi cagata che passa su MTV per non ridurmi a scoparmi da dietro Calogero Ossigenato… Mannaggia alle donne, al tempo e al governo…
PS: Fra i tanti “crimini” da attribuire a De André, c’è anche l’utilizzo dell’espressione “tutta notte” in un tema scolastico. Eppure nella lingua italiana (lo attesta anche l’Accademia della Crusca) l’omissione dell’articolo è accettato da secoli: la prof in quel caso mi disse che ero stato influenzato dall’inglese “perché sei di Milano”, ma in realtà era uno pseudo-citazione di Via del Campo. Oltre a perdere una figa dodicenne per questa canzonaccia, ho pure beccato un voto meno in italiano: la mia unica “vendetta” rimane proporne una versione onirica e demenziale in cui Faber è finito all’inferno e si gode la vita lo stesso…
tutto ormai vecchio e inutile, non solo deandre’
Ok matusa
la domanda è: Faprizio Dembelè, oggi, avrebbe cantato la disperazione dell’incel?
Nella sua realtà alienata, archetipale, nella sua Italietta atemporale agraria e bigotta (quella dei rebus), aliena alla pornografia, all’eros virtuale, fatta di prostitute, ladri, santi, emarginati e pure di grandi celiboni (quelli di “Un ottico”, “Un giudice”, “il suonatore Jones”) sarebbe stato capace di cogliere la novità dell’incel? sarebbe stato così lucido da coglierne i caratteri peculiari e trasfigurarli in poesia? Insomma il suo eros fatto di carne e pietà, compassionevole e a-pornografico e intimo sarebbe proponibile per la redenzione del novello celibe?
I suoi celibi, solitari, outsider amareggiati, marginali, dissidenti silenziosi, tragici, sognatori dolorosi ma anche santi laici riuscirebbero a fare l’upgrade, a farsi senza corpo, a farsi stronzi, vendicativi, o persino a guadagnarsi una “goccia di splendore” droppando 10 euro a una putita di Onlyfans?
Posso dare un’impressione personale, avendo visitato negli anni la fu – molto fu – Superba. La mia città d’origine – che non cito – mi ha abituato ormai tristemente a certe cose. Ma devo dire che da nessuna altra parte ho avvertito in me un senso tale di straniamento, inquietudine e cupezza allo stesso tempo, nel percorrere i carruggi di Genova. Ci sono stati momenti che davvero ho pensato di non essere in Europa, ma proprio nel Terzo Mondo, in un miserabile stato afro-asiatico. Il codazzo di negri, travoni e altri cessi umani davanti al museo del nostro Vate, per quanto sia un qualcosa di grottesco, è ben esemplificante di un termine da lei citato, l’anarco-tirannia, quella commistione tra altoborghesia e umanità pezzente.
Fabrizio De André proveniva da una famiglia borghese altolocata, il padre presidente dell’Eridania e vicesindaco di Genova, il fratello braccio destro di Raul Gardini alla Ferruzzi-Montedison, lontanissimo dagli scarti umani, dagli “ultimi” di cui si faceva languido cantore. Questa fa capire quando la sua sia stata in verità la ribellione di un borghesuccio annoiato e viziato, la ribellione contro il suo ambiente “soffocante” ma da cui non voleva perderne i privilegi, difatti fu il papino che gli aprì la casa discografica. Questo estetismo verso gli “ultimi” non erano altro che il protearsi delle sue paranoie irenistiche, delle sue elucubrazioni da complessato, l’autoflagellazione per le sue nevrosi e sotto questo pseudo-amore per gli “ultimi” – da cui comunque se tenevano ben lontano! – si nascondevo l’odio FEROCE verso i penultimi, la gente normale che tirava avanti e non che si vuole abbassare a crogiolarsi nel marciume umano, volendo mantenere una dignità non consona ai predicatori dell’uguaglianza umana, che invece necessitano di santini lacrimati per lanciare merda “all’Occidente bianco e ricco”. Ecco allora i torvi disprezzi a cui indirizzava i suoi stornelli, verso chi se ne fotteva delle sue paranoie, se ne fotteva del marciume umano tanto adorato da lui! Un disprezzo tipico del semicolto panciuto e animato anche – anche se molti non vogliono ammetterlo – dall’odio di classe di un altoborghese imbolsito, a cui vedeva “gli ultimi” “i diversi” il compito di distruggere, lardare ciò che rimaneva di una società coscientemente pulita, normale e dignitosa.
Fabrizio De André è stato un laido, è un mito laido. Come il suo concittadino Don Gallo, come il defunto Bergoglio-Merdoglio.
Tanto amore riversato agli ultimi, tanta MERDA E FEROCIA RISERVATA VERSO DI NOI.
Colpevoli di essere gente normale
Ciao Mister!
Ti prego fai una cover!
https://www.ilprimatonazionale.it/approfondimenti/tunisini-molesti-al-concertone-la-realta-rompe-gli-slogan-femministi-287662/
O immigrato , portami via,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
O immigrato , portami via,
ché mi sento di morir.