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We Won’t Die Christian-Democrats! Vivek nomina la Grande Sostituzione durante il dibattito repubblicano

Il candidato presidenziale Vivek Ramaswamy (nato in Ohio nel 1985 da una coppia di indiani) durante l’ultimo dibattito repubblicano è andato giù durissimo col complottismo: oltre ad aver affemarto che l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 è stato un inside job, che nelle ultime elezioni Trump ha perso a causa dei brogli e che il governo ha mentito sull’11 settembre, ha nominato il famigerato Great Replacement, la “teoria della Grande Sostituzione” (s’intende, ovviamente la sostituzione etnica) affermando che “non si tratta di una fantasia di estrema destra, ma di uno dei punti principali del programma del Partito Democratico“.

Le dichiarazioni di Vivek hanno fatto il giro della galassia reazionaria, galvanizzando personalità come Nick Fuentes che gli ha dedicato l’ultima puntata del suo show interpretando la sua performance come la dimostrazione che ormai certe idee siano diventate mainstream.

Lo stesso Vivek, citando un account di estrema destra che lo aveva sempre criticato (ma non questa volta), ha aggiunto su X/Twitter che:

«Definire “complotto” la “Grande Sostituzione” è una mossa da manuale della sinistra: promuovere in modo trasparente una politica tossica, per poi etichettarla come teoria del complotto quando l’altra parte ne contesta i vantaggi. Abbiamo bisogno di un vero dibattito per stabilire se agevolare intenzionalmente l’immigrazione clandestina di massa per cambiare il volto di questo Paese sia un bene per l’America oppure no, perché è esattamente ciò che sta accadendo. Penso che sia un male, ma se la sinistra crede che sia una buona cosa, dovrebbe sostenerlo apertamente».

Fino a questo momento, il buon Ramaswamy era stato snobbato dalla destra. Per esempio, a una sua affermazione che l’America è una “idea” basata sulla “legge” (una retorica che ovviamente serviva a propagandare la favola dell’immigrazione cosiddetta “legale”), un influecer reazionario gli aveva risposto che “non tutti abbiamo terre d’origine come l’India in cui tornare” (polemica giusta, visto che il candidato aveva ventilato un pensiero del genere nella sua autobiografia), aggiungendo che anche gli americani “indigeni” avrebbero bisogno di un posto da chiamare “casa” in cui preservare il proprio lignaggio.

Sembra che il buon Vivek abbia recepito il messaggio. Fino a pochi anni fa sarebbe stato impensabile. Forse qualcosa sta davvero cambiando.

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